Bene, non c’è voluto molto. Quasi un decennio. Il New York Times [in inglese] all’inizio della scorsa settimana ha improvvisamente “scoperto” che le guerre americane per il “cambio di regime” portano a stati falliti, che portano a caos e morte, che a loro volta portano a guerre d’attrito internazionali condotte mediante milizie delegate.
Nonostante la Libia sia stata ignorata a lungo dai media ufficiali dopo la “liberazione” del paese da parte di Obama e Hillary nel 2011, quando l’allora Segretario di Stato Clinton esclamò [in inglese] gioiosamente e fanaticamente “Siamo venuti, abbiamo visto, è morto!”, in riferimento alla brutale esecuzione sul terreno di Gheddafi per mano dei jihadisti spalleggiati dagli USA, il Times sembra ora suonare una musica differente, osservando nel suo ultimo e lungo reportage [in inglese] dal conflitto:
Almeno sei differenti nazioni straniere stanno alimentando il caos in Libia, fornendo armi, mercenari o consiglieri militari alle fazioni rivali che lottano per il controllo del paese ricco di petrolio.
Ma nessuno di questi attori esterni è mai stato ritenuto responsabile, riuscendo ad evitare le indagini sfruttando le divisioni internazionali sulla Libia o i propri agganci alle potenze occidentali come gli USA.
A volte riescono perfino ad evitare persino di essere menzionati.
Il reportage denota che in molti casi queste potenze straniere con “legami con le potenze occidentali come gli Stati Uniti” sono responsabili di omicidi di massa, come nel bombardamento [in inglese] del luglio 2019 di un centro di detenzione a Tripoli che ha ucciso 53 persone, principalmente migranti.
E, prevedibilmente, quegli stati che sono fedeli alleati dell’alleanza occidentale, come gli Emirati Arabi Uniti, sono raramente nominati nei reportage investigativi. Citando un reportage delle Nazioni Unite di 13 pagine pubblicato la scorsa settimana, che è stato il risultato delle indagini sull’attacco al centro dei migranti, il New York Times osserva [in inglese]:
Quello che non e ‘riuscito a fare, pero’, e ‘ stato identificare il colpevole. “Uno stato estero”, hanno concluso gli investigatori.
La riluttanza delle Nazioni Unite ad identificare o anche solo a suggerire chi vi sia stato dietro il bombardamento è sintomatico, dicono gli analisti, della debolezza dell’embargo di 9 anni sulle armi alla Libia, un embargo così ampiamente disatteso che gli investigatori inviati in Libia lo scorso anno hanno detto che rischia di divenire uno “scherzo cinico”.
E non ci si ferma agli Emirati (un alleato chiave nel Golfo), che è stato uno dei principali sostenitori del generale Khalifa Haftar e delle sue forze, ma anche i francesi erano indirettamente coinvolti, visto che viene ritenuto che gli aerei da guerra Mirage, prodotti in Francia, siano stati usati per portare a segno gli attacchi contro i civili.
Il governo di Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite, lo ha descritto [in inglese] come un “massacro intenzionale”.
Max Abrahms commenta così in un tweet:
“Almeno sei nazioni straniere stanno alimentando il caos in Libia, fornendo armi, mercenari o consiglieri militari alle fazioni rivali che lottano per il controllo del paese ricco di petrolio”.
Sì, il cambio di regime crea vuoti di potere che sono riempiti da attori egoisti e guerrafondai.
Anche altre nazioni regolarmente sfuggenti alla responsabilità o allo scrutinio sono menzionate dal Times:
Dalla parte di Haftar, gli Emirati Arabi Uniti sono seguiti da Russia, Giordania, Egitto e Francia. La Turchia sta dalla parte dell’assediato governo di Tripoli.
Sembra che, nonostante l’embargo delle Nazioni Unite, in vigore da lungo tempo, recentemente rinnovato e con il presunto impegno da parte delle potenze mondiali alla conferenza sulla Libia di Berlino del 19 gennaio, armamenti e combattenti stranieri continuino a entrare in massa nella Libia devastata dalla guerra. Il New York Times nel suo reportage [in inglese] nota inoltre:
Gli ispettori delle Nazioni Unite pubblicano reportage ogni anno documentando la profusione di armi che i paesi stranieri hanno iniettato nel campo di battaglia libico: aerei da guerra, droni armati, artiglieria a guida laser, sistemi di difesa missilistica e un enorme volume di piccole armi.
“Nonostante ciò, nessuno rischia alcuna punizione, o nemmeno una censura. Dal 2011, gli ispettori hanno fornito dossier con i dettagli delle violazioni dell’embargo da parte di numerosi paesi, inclusi gli Emirati, a un comitato sanzionatorio del Consiglio di Sicurezza” hanno riferito due funzionari.
Ma naturalmente, in un’ironia più profonda, pur lamentandosi di come nel 2011 il paese sia “sprofondato in una guerra civile dopo la deposizione del colonnello Muhammar Gheddafi”, il Times non riesce ancora ad ammettere chi per primo [in inglese] si è immischiato e ha fatto sì che si aprisse [in inglese] l’attuale inferno in Libia.
Quel paese, stabile [in inglese] fino a quel momento, all’improvviso “piomba in una guerra civile”….. Chissà cosa sarà mai accaduto… [in inglese]
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Articolo di Tyler Durden pubblicato su ZeroHedge il 5 febbraio 2020
Traduzione in italiano di Eros Zagaglia per SakerItalia
[le note in questo formato sono del traduttore]
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