Ciò che è accaduto il 6 gennaio al Campidoglio non sorprende. Si poteva evitare. Si sarebbe potuto impedire se l’Establishment democratico, che ha mantenuto le chiavi del potere durante tutto il mandato di Trump, avesse veramente voluto una transizione presidenziale senza problemi. Mesi prima delle elezioni, l’élite del Progetto per l’Integrità della Transizione aveva diffuso l’allarme, ripetuto a gran voce da parte dei media liberali, che Trump avrebbe perso e rifiutato di riconoscere la sconfitta.

C’era un modo semplice e ovvio per evitare un tale dramma. In un articolo di Consortium News dello scorso agosto, suggerivo come si poteva fare.

Mi sembra che, se l’Establishment democratico vuole dare priorità a delle elezioni e ad una transizione pacifica, evitando la possibilità che Trump possa rifiutare i risultati, la cosa intelligente e ragionevole da fare sarebbe quella di rassicuralo sui due fronti che – suggeriscono – potrebbero spingerlo a puntare i piedi: le accuse di frode del voto postale e la minaccia di accuse penali contro di lui […].

Per quanto riguarda lo scrutinio postale, dovrebbe essere immaginabile che siano giustificati i sospetti di Trump […]. In un’epoca in cui chiunque può fotocopiare un documento, la posta è lenta ed esistono molti modi con cui le schede possono essere distrutte; tali sospetti non sono inverosimili […].

In nome della pace domestica, perché non provare a trovare un compromesso? Kamala Harris ha introdotto una legislazione che estende il voto postale. Perché, invece, non allungare l’orario delle votazioni, aprendo i seggi non solo il secondo martedì di novembre ma anche il sabato e la domenica precedenti? Questo darebbe più tempo agli elettori che sono preoccupati per il Covid-19 di mantenere le distanze l’uno dall’altro, come fanno quando vanno al supermercato. Ridurrebbe l’astensionismo, il tempo necessario per il conteggio, e soprattutto i sospetti legati al voto postale. Ma più Trump è diffidente rispetto al voto postale, più i Democratici insistono sul renderlo universale.

Diventa sempre più chiaro che l’odio per Trump ha raggiunto un tale livello che all’establishment democratico e ai suoi tirapiedi non basta sconfiggere Trump alle urne. Lo stanno in pratica istigando a contestare le elezioni, così possono avere qualcosa di più eccitante e decisivo: un autentico cambio di regime.

Ciò che quindi abbiamo ottenuto è stato qualcosa di più eccitante. Non esattamente un cambio di regime, perché stiamo piuttosto assistendo ad una riaffermazione del regime che è stato proprio lì durante i quattro anni, per lo più deformi, del mandato di Trump. La velocità con cui i suoi collaboratori e alleati lo hanno abbandonato nella sua ultima ora, rende tutto chiaro: è sempre stato un presidente senza una squadra, che ha agito in base alle intuizioni, alla retorica, e ai consigli di suo genero e di alcuni addetti ai lavori che erano davvero estranei.

Ma quello che stiamo ottenendo è davvero eccitante: una presunta “insurrezione” presumibilmente istigata da Trump per “rubare le elezioni” (cosa che era assolutamente impossibile). Le scene dei disordini sono state subito sfruttate per gettare lui e i suoi seguaci in un abisso di ignominia, se non addirittura di procedimenti penali e reclusione.

Graffito di Otpor a Belgrado, 2001. (Wikimedia Commons)

Più simile a Otpor
Quella del 6 gennaio non è stata una insurrezione. Chiunque voglia sapere cosa sia una insurrezione, dovrebbe andare a vedere la rivolta armata sponsorizzata dagli Stati Uniti che ha rovesciato il presidente cileno, regolarmente eletto, Salvador Allende l’11 settembre 1973. Il trambusto al Campidoglio è stato più simile a ciò che è accaduto quando nel 2000 i militanti di “Otpor[in inglese], addestrati dagli Stati Uniti, hanno fatto irruzione nel parlamento serbo nel mezzo delle elezioni presidenziali, e hanno dato fuoco alle urne elettorali. Oppure date un’occhiata ad un’insurrezione particolarmente attinente, cioè quella del 2014, in cui dei manifestanti davvero violenti hanno occupato il parlamento ucraino e hanno rovesciato il governo, un evento salutato dall’allora Vicepresidente americano Joe Biden come una grande vittoria della democrazia. Poi c’è stato il colpo di Stato in Honduras appoggiato da Hillary, il tentativo quasi riuscito di rovesciare la democrazia in Bolivia, la farsa di Guaidò in Venezuela appoggiata dagli Stati Uniti, ecc. ecc. ecc.

No, un’insurrezione non è quella in cui una grande folla, convinta che il suo candidato sia stato imbrogliato, sfoga la sua indignazione irrompendo nel “suo” Parlamento senza avere alcuno scopo. Gran parte delle persone che sono entrate girovagava facendosi dei selfie, senza alcuna chiara idea di cosa fare dopo. In base agli standard mondiali, la “violenza” del 6 gennaio è stata molto lieve, l’unico caso di violenza armata è stato il colpo fatale ad una fan di Trump, Ashli Babbitt, il cui rischioso tentativo di scavalcare una barricata poteva essere facilmente respinto.

L’irruzione era così lontana dal realizzare un piano pro-Trump, che ha sortito l’effetto opposto. L’immediato risultato politico dell’irruzione di una folla indisciplinata è stato quello di bloccare i senatori repubblicani, che erano cosi inclini di presentare le loro argomentazioni contro la legittimità del voto di novembre. Semmai, l’azione ha avuto un effetto favorevole al presidente eletto Biden.

Si potrebbe pensare che nel momento della vittoria un vero statista dimostri le qualità necessarie per guidare una nazione, offrendo di unire tutte le persone in quanto Americani. Lui ha fatto il contrario.

Proprio il giorno dopo gli accadimenti al Campidoglio, dal Delaware (il suo piccolo rifugio fiscale e Stato di origine) Joe Biden si è scagliato contro i suoi oppositori come se fossero, niente di meno, dei terroristi.

“Non erano dei manifestanti”, ha dichiarato, “non oso chiamarli manifestanti. Erano una folla di rivoltosi, di insorti, di terroristi interni. E’ elementare. E’ semplice”.

Donald Trump, ha detto Biden, “ha fin dall’inizio scatenato un attacco totale alle nostre istituzioni democratiche, e ieri non è stato altro che il culmine di quell’attacco accanito”. Trump ha avvelenato l’ambiente politico utilizzando “un linguaggio che gli autocrati e i dittatori usano in tutto il mondo per mantenere il potere”.

Di sicuro il linguaggio di Biden era meno simile a quello di un magnanimo vincitore che unisce le persone rispetto a quello usato dagli autocrati e dai dittatori per mantenere il potere. Ha detto che Trump stava cercando di “negare la volontà del popolo americano”, proprio come Trump ha detto di lui. L’intero problema era che “la volontà del popolo americano” era ben lontana dall’essere unanime.

Il Centro Tirannico
Quindi, anche prima del suo insediamento, il Presidente-eletto Biden ci ha dato un amaro assaggio dei giorni a venire. Non ci dev’essere alcuna sacra unità, ma una divisione sempre più profonda tra il Buono (i vigili liberali), il Cattivo (i Russi e gli altri nemici della nostra democrazia) e i Brutti Americani, da etichettare come terroristi interni, suprematisti bianchi e fascisti.

Il centro tirannico, che va dagli opportunisti repubblicani alla Squadra, si può radunare intorno alla purga necessaria dei terroristi interni, silenziando le loro comunicazioni e facendoli adeguatamente licenziare dai propri lavori.

E’ da molto tempo che l’Establishment è determinato a schiacciare Trump. Ma si parla di “purgare” anche tutti i suoi sostenitori. Biden sta già parlando come un presidente di guerra, chiedendo misure per combattere il nemico interno come quando si conducono le grandi guerre.

La natura oligarchica del Partito della Guerra americano si capisce dalla velocità con cui le aziende private dei social media mettono a tacere il dissenso, persino il Presidente degli Stati Uniti ancora in carica. Chi, in effetti, governa realmente gli Stati Uniti? Il Presidente è solo un rappresentante dei poteri economici, il cui ruolo è servire questi interessi? E il problema di Trump è che lui non è stato scelto per questo lavoro.

Trump è riuscito a fare appello a milioni di Americani scontenti senza offrire un programma elettorale coerente per sostituire il Partito della Guerra con una politica capace di trasformare la nazione in un rifugio di pace e prosperità. La sua confusione rispecchiava la confusione ideologica di una popolazione scandalosamente poco istruita in storia e in idee politiche. L’illusione che Trump fosse il leader dissidente di cui gli Americani avevano bisogno, è costata la vita ad Ashli Babbit, e ha portato migliaia elettori di Trump a quella che equivale ad una trappola. Lo stesso Trump è stato condotto nella trappola.

E’ necessario un approccio della politica completamente differente per ripristinare la democrazia in America. Tutti gli appelli alle identità e alle ideologie non fanno altro che acuire la confusione e le divisioni, dato che impediscono alle persone di capirsi le une con le altre. L’amministrazione Biden sembra intenzionata a rafforzare questa confusione e le divisioni facendo ricorso proprio alle identità e alle ideologie. Credo fermamente che solo un approccio accuratamente razionale, di ampie vedute, fattuale e pragmatico ai problemi pratici chiaramente definiti, possa portare la pace negli Stati Uniti, una pace che possa favorire la pace nel mondo.

Stando fuori della mischia è facile definire le questioni importanti che dovrebbero dominare il dibattito politico negli Stati Uniti. Noi invece assistiamo ad uno scambio torrenziale di insulti. L’élite dell’establishment non può abbassarsi e scambiare punti di vista con i populisti, stigmatizzati come deplorevoli, razzisti, misogeni, suprematisti bianchi, fascisti e ora anche “terroristi”.

La sfocata denuncia dell’élite da parte dei populisti  descrive i Democratici di Wall Streets come “socialisti”, e finisce in accuse di campagne di vaccinazione genocide, occulti riti pedofili e satanismo.
Negli Stati Uniti la censura e la repressione ci stanno andando giù pesante. I satelliti europei copieranno l’America come al solito?
Invece di un qualcosa che somigli ad una chiara divisione politica, l’America si sta via via spaccando a causa di un odio reciproco cieco e rovente.

Ciò di cui ha bisogno la vita politica americana non è più censura, ma l’autocensura della ragione. E questo è molto lontano.

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Articolo di Diana Johnstone pubblicato su Consortium News l’11 gennaio 2021
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per Saker Italia.

[I commenti in questo formato sono del traduttore]


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