Abbiamo incontrato Aleksey Pushkov, Presidente della Commissione del Consiglio Federale sulla politica dell’informazione della Federazione Russa, durante la sua conferenza dal titolo «Russia ed Europa: tensione senza ragione», che si è svolta il 3 luglio presso il Centro Russo di Scienza e Cultura a Roma.

Politico, professore presso il MGIMO (Università Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali), scrittore, giornalista e autore del programma di informazione e analisi politica Postscriptum (TV Tsentr), Aleksey Konstantinovich Pushkov dal 1988 al 1991 ha lavorato come ghostwriter per Mikhail Gorbachev, ed è stato successivamente direttore dell’Istituto di Studi Internazionali Contemporanei presso l’Accademia Diplomatica Russa. Nel 2011 è stato eletto alla Duma nella lista del partito Russia Unita.

Russia e Europa sono il simbolo di una “contrapposizione non necessaria”: è la lapidaria definizione di Aleksey Pushkov, che fotografa l’attuale situazione di separata ostilità fra due blocchi che di contrapposto non hanno – o non dovrebbero avere – nulla.

Due blocchi contrapposti per ragioni politiche, più che storiche o “valoriali”: da Mosca a Vladivostok passando per la penisola di Sakhalin, ogni russo si definisce europeo. Per ragioni storiche e culturali, non sapremo mai se la Russia è la fine dell’Europa o l’Europa stessa è la continuazione del continente russo. Ma anche dal punto di vista degli interessi politici ed economici, tra Russia e Europa non c’è soluzione di continuità.
Perché allora questa contrapposizione, per di più non necessaria? Ancora una volta – secondo Pushkov – la spiegazione dell’inerzia europea nel gioco tra Stati Uniti e Russia (e Cina) è la conseguenza di una crisi creata ad hoc.


Le tre crisi artificiali

Pushkov identifica tre “crisi artificiali”: il conflitto russo-georgiano, la Siria e l’Ucraina.

Ricordando che il conflitto del 2008 contro la Georgia di Saakashvili fu causato per proteggere la popolazione di Ossezia del Sud e di Abcasia, Pushkov sottolinea che non furono mai superati i confini interni georgiani e che la natura dell’intervento era a sostegno delle richieste di indipendenza delle due territori. Così come il blocco occidentale sosteneva – anche militarmente – l’“idea democratica” del Kosovo, che si proclamò indipendente proprio lo stesso anno. In pochi mesi, però, i media europei cominciarono a costruire la “narrazione” della Russia aggressiva, dando sostanza alla teoria dell’“isolamento internazionale” della Russia, formulata per la prima volta da Dick Cheney.

Se quindi l’occidente bombardava Belgrado per sostenere il Kosovo, perché per pura coerenza non ha anche bombardato Tiblisi? Non cercavano forse Abcasia e Ossezia del Sud la loro emancipazione, altrettanto popolare e democratica, dalla Georgia?

Successivamente abbiamo assistito alla crisi in Siria e gli scenari diventano più complessi perché, come illustra Pushkov, qui si scontrano le visioni geopolitiche di USA e Russia. Da una parte l’America è impegnata dal 2003 (siamo nel periodo dell’amministrazione di George W. Bush) nel cosiddetto “take out”, cioè nelle azioni di cambio regime in paesi geostrategici come Iraq, Iran, Libia, Yemen e Siria. E famosissima la dichiarazione di Wesley Clark, ex comandante in capo delle forze NATO, che in un memorandum alla Difesa USA, parla della decisione di “fare fuori 7 nazioni in 5 anni” (tra cui, appunto, la Siria). Lo ricordiamo tutti, era il periodo della primavera araba, della mobilitazione “democratica” contro i dittatori. Ma quale conseguenza ha portato questa mobilitazione? Semplice, quello di dare spazio al “sogno del califfato”, sicuramente una utopia, che però ha portato agli attentati di stampo jihadista in Europa, in Russia e, di recente, in Sri Lanka.

In Siria quindi si è giocata la partita per fermare l’effetto take out, una partita che ha destabilizzato un paese tra i più avanzati rispetto ai paesi arabi, multietnico e multiconfessionale.
Ancora una volta ci chiediamo: perché contro la Siria di Assad e non contro la monarchia dell’Arabia Saudita? Perché non combattere il terrorismo islamico dopo l’attentato alle Torri Gemelle?

Pushkov continua dicendo che tutti gli attori coinvolti in Siria sanno che è impossibile mandare via Assad, dato che manca una vera alternativa. Gli USA non appoggiano il processo di Astana, e il processo di Ginevra è attualmente concluso (nessuno ha accettato, quindi è in coma); qualcuno parla di costituire una coalizione per sostituire Assad. Ma in Siria ci sono circa una decina di gruppi che sono in conflitto l’uno con l’altro e, alla richiesta di indicare qualche personaggio alternativo, tacciono tutti. E comunque Assad controlla l’esercito, i servizi segreti, la polizia, il 70% del territorio siriano. L’unica possibilità per tornare alla normalità, è dare all’attuale governo la possibilità di vivere bene, perché ogni cambio di governo porterà problemi maggiori. Ecco perché siamo arrivati allo stallo in Siria: perché USA e Europa non riescono a vedere la situazione reale, che chiaramente non permette di cambiare il governo attuale.  Non vogliono Assad, ma non propongono alternative.

La terza crisi artificiale è quella che si apre nel 2013 e diventa la crisi in Ucraina. Secondo Pushkov, in quel periodo probabilmente la UE accarezzava l’idea dell’espansione, un sogno europeo che è poi diventato il sogno ucraino. Durante Maidan una manifestante portava uno striscione che diceva “voglio andarmene in giro per l’Europa con gli slip di seta”. Purtroppo, dopo i fatti di Odessa, dopo il 2% di Pravij Sektor alle recenti elezioni per la Rada, dopo il crollo del PIL, in Ucraina si sono resi conto che ad avere gli slip di seta erano sempre le stesse persone. Era invece cambiato il rapporto tra la Russia e l’ucraina di Poroshenko, rapporto che – nel gioco “o con me o contro di me” del sogno europeo – si era inevitabilmente e definitivamente compromesso.

Quello che ora in Europa si vive come uno strappo (referendum in Crimea) o una guerra civile (Donbass) è invece solo un diverso esito della storia della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Ora che in Europa non fa più gola far entrare nella sfera di influenza una nazione con un PIL passato in pochi anni da 200 a 114 miliardi di dollari, non si parla più di difesa dei diritti democratici.

Oltre alle tre crisi artificiali, l’inutile contrapposizione si concretizza nelle sanzioni antirusse. Secondo Pushkov, sono inefficaci o addirittura hanno l’effetto contrario, visto che spingono le persone ad un atteggiamento di autoprotezione e di forte consenso verso il leader.
Ma soprattutto le sanzioni danneggiano economicamente l’Europa perché hanno un impatto fortissimo sulle esportazioni, mentre colpiscono in ridottissima parte il commercio americano.
Perché allora l’Europa è in questo stato di inerzia? Sicuramente il legame con gli USA e la NATO hanno costruito un paradigma difficile da cambiare ma ora, con Trump che parla chiaramente di America First, che senso ha sostenere una politica di contrapposizione? Utile e necessaria a chi?

Madre della politica è la necessità

Non sarà facile e sarà sicuramente lento uscire dal paradigma, sostenuto soprattutto da nazioni come la Polonia e i Paesi Baltici. Ma quando gli europei capiranno che la Russia non ha alcun interesse per una guerra contro Tallin, allora dovrà uscire dall’inerzia di un falso sistema di valori.
Che cosa sta succedendo ora? Che cosa succederà? Lo dice direttamente Pushkov: “In Ucraina, per esempio, io ritengo che la situazione di contrapposizione tra la Russia e l’Europa non abbia portato beneficio a nessuna delle due parti. Da un lato, l’illusione europea che il colpo di Stato avrebbe creato delle nuove condizioni non ha portato alcun vantaggio all’Europa stessa, neanche dal punto di vista finanziario. Basta guardare il Donbass e la Transnistria, che fa parte della Moldavia ma che nel 1992 ha dichiarato la propria indipendenza. Oltretutto, il mercato interno è molto ridotto e non si può certo pensare all’Ucraina come un paese di sbocco delle merci europee o di investimenti finanziari. Si è creata quindi una situazione inaffidabile, a cui si aggiunge un altissimo livello di corruzione. Indubbiamente sono gli imprenditori a perderci. Guardate l’agricoltura, quanto è crollata l’importazione di prodotti agricoli! Noi ora compriamo in qualsiasi paese dell’America latina, ma non compriamo più merci europee. Abbiamo già detto in maniera molto chiara che, quando verranno tolte le sanzioni europee alla Russia, la Russia rivedrà la propria politica verso l’Europa. Speriamo che la visita di Putin possa essere un impulso positivo in questo senso.

E l’Europa dovrà fare presto: al momento l’equilibrio multipolare vede Russia, Cina e USA. Di questi tre paesi, due sono fortemente attivi con la loro presenza internazionale (e uno lo sarà presto). In un tempo relativamente breve, l’Europa dovrà creare una massa critica tale da cambiare la linea strategica verso la Russia. L’Europa non ha alcuna chance di dialogare con la Cina e di mettere a fattor comune il mercato e i consumatori: lo potrà fare solo tramite la Russia. La Nuova Via della Seta è un accordo fondamentale perché coinvolge i paesi euroasiatici. Tale condizione aumenterà la concorrenza con l’Unione Europea ma anche con la Federazione Russa. La Cina diventerà un concorrente molto potente. E’ questo il momento importante, quello cioè in cui l’Europa può mantenere la sua concorrenzialità. Parliamoci chiaro: se guardiamo il PIL, già dal 2014 la Cina è la più grande potenza economica mondiale. Quindi, se alla Cina si aggiungono altri paesi orientali e medio-orientali, come pensa la UE di poter far concorrenza alla Cina? E se l’Europa non abbandona la politica delle sanzioni, come riuscirà a competere e a relazionarsi con la Cina senza la Federazione Russa? In caso contrario, invece, la Russia potrà invitare Europa e Cina ad un tavolo globale di tipo economico. Io dico sempre ‘la madre della politica è la necessità’: questa necessità strettamente economica creerà il presupposto per una relazione diretta tra Europa e Russia, spezzando il paradigma americano.
Le figure che recentemente sono state elette nelle elezioni europee, fanno parte del mainstream politico europeo, persone cioè che hanno un approccio, diciamo così, “classico”. Ma indipendentemente da questi personaggi, questo ciclo di contrapposizione tra Russia e Europa è ora all’inizio della sua fine. Perché dico questo? In Europa sono già stanchi di questa contrapposizione, visto che da tempo abbiamo relazioni stabili e, direi, positive anche con il precedente governo europeo. Mi ricordo per esempio quando Renzi partecipò al forum economico di San Pietroburgo, o il Presidente italiano venne in visita in Russia, e lo stesso Putin non è la prima volta che viene in Italia. Questa tendenza si nota non solo con l’Italia ma anche con altri paesi europei, soprattutto con la Finlandia, con l’Ungheria di Orban, con la Francia di Macron (che ora addirittura sottolinea i suoi ottimi rapporti con Putin), con la Germania della Merkel. La somma di queste relazioni è quindi consistente. Come si dice in inglese, in questo caso possiamo parlare di “game changer”, cioè di quel fattore che permette di cambiare l’andamento del gioco. A questo si aggiunge il fatto che l’Europa si è già stancata dell’Ucraina: solo tre o quattro anni fa ripeteva che l’Ucraina era molto importante, mentre oggi la situazione ucraina rimane certamente importante, ma sono altrettanto importanti le relazioni con la Federazione Russa. Vale a dire che stiamo andando verso una direzione che va oltre la crisi ucraina. E’ un vero cambio qualitativo. Io credo che il processo sarà lento ma inesorabile. E la dirigenza europea, qualsiasi essa sia, sarà costretta a reagire in questo senso. Se la madre della politica è la necessità, e così come a suo tempo Stalin fece un accordo con Churchill contro Hitler, allora l’Europa sarà in grado di fare alleanza con noi”.

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Intervista a cura di Elvia Politi per SakerItalia
Un ringraziamento particolare al Centro Russo di Scienza e Cultura a Roma

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