Sotto ogni punto di vista storico, ha segnato una svolta: il primo incontro dal VII secolo tra un Papa della Chiesa Cattolica Romana e il leader spirituale sciita considerato una “fonte di emulazione”.
Ci vorrà molto tempo per valutare tutte le implicazioni dell’immensamente intrigante conversazione faccia a faccia di 50 minuti, con la sola presenza degli interpreti, tra Papa Francesco e il Grand Ayatollah Sistani presso l’umile abitazione di quest’ultimo, situata in un vicolo di Najaf vicino all’abbagliante santuario dell’Imam Ali.
Facendo un parallelo evidentemente imperfetto, Najaf rappresenta per la comunità dei fedeli sciiti quello che Gerusalemme rappresenta per la Cristianità.
La versione ufficiale del Vaticano è che Papa Franceso sia andato in Iraq per un “pellegrinaggio” (studiato nei minimi dettagli) sotto il segno della “fratellanza”, intesa non solo in termini geopolitici ma anche come scudo contro il settarismo religioso, sia esso quello dei Sunniti contro gli Sciiti o quello dei Musulmani contro i Cristiani.
Francesco è tornato sul tema principale in uno scambio estremamente schietto con i media presenti sul suo aereo, di ritorno a Roma. Ma la cosa più straordinaria è la sua spontanea valutazione dell’Ayatollah Sistani.
Il Papa ha sottolineato che:
“l’Ayatollah Sistani ha un detto che spero di ricordare bene: ‘gli uomini sono fratelli per religione o uguali per creazione’”. Francesco vede il superamento di questa dualità anche come un viaggio culturale.
Ha definito l’incontro con Sistani come portatore di un “messaggio universale” e ha lodato il Grand Ayatollah come “un saggio” e “uomo di Dio”: “Se uno lo ascolta, non lo si può non notare. E’ un uomo portatore di saggezza e anche di prudenza. Mi ha detto che da più di dieci anni non riceveva ‘persone che vengono da me non per una semplice visita ma per altri scopi politici’”.
Il Papa ha aggiunto:
“E’ molto rispettoso e mi sono sentito onorato, anche durante i saluti finali. Non si alza mai ma lo ha fatto per salutarmi, due volte. Un uomo umile e saggio. Questo incontro è stato bello per la mia anima”.
Il calore si può intravedere da questo video, non riportato dai media mainstream occidentali, che hanno provato, per la gran parte, a manipolare, sabotare, ignorare, oscurare o “settarizzare” l’incontro, solitamente con strati appena dissimulati di propaganda sulla “minaccia sciita”.
Lo hanno fatto perché, in fondo, Francesco e Sistani stavano trasmettendo un messaggio contro la guerra, contro il genocidio, contro il settarismo e contro l’occupazione, messaggio che non può non incorrere nella collera dei soliti sospetti.
Ci sono stati alcuni frenetici tentativi di dipingere l’incontro come un’azione del Papa che, rispetto all’universo sciita, favorisce la quietista Najaf alla militante Qom o, detto senza mezzi termini, Sistani all’Ayatollah Khamenei dell’Iran. E’ una sciocchezza. Per capire il contesto, guardate il contrasto tra Najaf e Qom nel mio ebook Persian Miniature [in inglese, “Miniature persiane”] pubblicato da Asia Times.
Il Papa ha scritto di recente all’Ayatollah Shirazi in Iran. Teheran ha un ambasciatore presso la Santa Sede, e ha collaborato per anni su protocolli di ricerca scientifica. Ma questo pellegrinaggio riguardava l’Iraq. Diversamente da quelli occidentali, i media dell’Asse della Resistenza (Iran, Iraq, Siria e Libano) ne hanno dato piena copertura.
La fatwa decisiva
Ho avuto il privilegio di poter seguire i movimenti dell’Ayatollah Sistani dall’inizio degli anni 2000, e sono stato molte volte nel suo ufficio di Najaf.
Nel 2003 quando Abu Musab al-Zarqawi, lo straccione del giorno, ha letteralmente fatto saltare in aria l’Ayatollah Muhammad Baqir al-Hakim davanti al santuario dell’Imam Ali a Najaf, Sistani fece un appello affinché non ci fosse alcuna ritorsione: la macchina dell’occupazione americana era troppo potente, e Sistani vide i pericoli del “divide et impera” di una guerra settaria tra Sunniti e Sciiti.
Nel 2004 ha inoltre guardato da solo e con gli occhi fissi il potente apparato di occupazione e la terribile Autorità Provvisoria della Coalizione, quando stavano contemplando un bagno di sangue per sbarazzarsi dell’incandescente religioso Muqtada al-Sadr, poi rintanatosi a Najaf.
Nel 2014 Sistani ha emesso una fatwa che conferiva ai civili iracheni la legittimità di armarsi per combattere l’ISIS/Daesh, specialmente perché i Takfiri stavano puntando ad attaccare i quattro santuari sacri in Iraq: Najaf, Karbala, Kazimiya e Samarra.
E’ stato quindi Sistani che ha legittimato la nascita dei gruppi armati di difesa che si sono uniti alle Unità di Mobilitazione Popolare (o Hashd a-Shaabi), successivamente incorporate nel Ministero della Difesa iracheno.
Le Unità di Mobilitazione Popolare erano (e rimangono) un gruppo ombrello, alcune più vicine delle altre a Teheran, che operavano sotto la supervisione strategica del Maggior Generale Qassem Soleimani, fino al suo assassinio per opera di un attacco americano con drone presso l’aeroporto di Baghdad il 3 gennaio 2020.
Non ti ho mai promesso un roseto
Nonostante il calore reciproco, l’incontro tra il Papa e Sistani potrebbe non essere stato, come dice il proverbio, “tutto rose e fiori”. Il mio collega Elijah Magnier, il più importante reporter su tutto ciò che riguarda l’Asse della Resistenza, ha confermato alcuni dettagli sorprendenti [in inglese] grazie alle sue fonti a Najaf:
Sayyed Sistani si è rifiutato di avere il suo fotografo, e non ha voluto che nessun religioso sciita, né i direttori del suo ufficio, fossero presenti a via Al-Rasoul, dove ha ricevuto Sua Santità il Papa… il Vaticano non ha rilasciato alcuna dichiarazione o preso alcuna posizione ufficiale sul riconoscimento e il sostegno degli Sciiti che furono uccisi durante la resistenza contro l’ISIS e nella difesa dei Cristiani della Mesopotamia. Di conseguenza, Sayyed Sistani non ha ritenuto necessario rilasciare un “documento congiunto”, come il Papa desiderava e avrebbe voluto, e come ha fatto ad Abu Dhabi quando ha incontrato lo Sceicco di Al-Azhar.
Correttamente, Magnier pone l’attenzione sul successivo comunicato emesso dall’ufficio di Sistani, soprattutto sulla sua votazione nominale con tre no… dove ogni no accusa l’egemone.
Sistani denuncia “l’assedio della popolazione” (incluse le sanzioni), nega che gli Iracheni vogliano che le truppe americane rimangano, e quando denuncia la violenza, si riferisce ai bombardamenti americani.
Inoltre, “no all’ingiustizia” è il messaggio di Sistani non solo ai politici a Baghdad (che sono invischiati nella corruzione e non garantiscono i servizi essenziali o le opportunità di lavoro) ma anche al “linguaggio della guerra” di Washington nel più ampio Medio Oriente, dalla Siria e l’Iran fino alla Palestina.
Fonti a Roma hanno confermato che da mesi erano in corso dei negoziati per tentare di convincere Baghdad a normalizzare le relazioni con Israele. Un “messaggio” è stato inviato attraverso il Vaticano. Sistani aveva risposto senza mezzi termini che la normalizzazione era impossibile. Il Vaticano non ha detto una parola.
Una delle ragioni per non dire una parola è che la dichiarazione dell’ufficio di Sistani chiarisce il fatto che il Vaticano non sta facendo abbastanza per appoggiare l’Iraq. Secondo la fonte a Najaf citata da Magnier, tra il 2014 e il 2017 “il Vaticano è rimasto in silenzio quando gli Sciiti hanno perso migliaia di uomini nel difendere i Cristiani (e altri Iracheni) e per tutti questi anni non hanno ricevuto alcuna attenzione, e nemmeno un dichiarazione di riconoscimento da parte del Papa”.
La dichiarazione dell’ufficio di Sistani si riferisce esplicitamente ad “evacuazioni, guerra, atti di violenza, blocchi economici e assenza di giustizia sociale a cui è esposto il popolo palestinese, soprattutto i Palestinesi dei territori occupati”.
Tradotto: l’Iraq sostiene la causa palestinese.
Una corona di spine
L’incontro tra il Cattolicesimo e l’Islam sciita ruotava intorno ad una corona di spine geopolitica. Prendete, per esempio, il fatto che i portavoce o i portaborse di un “presidente” cattolico, così come i media mainstream, demonizzano il nemico del giorno come “milizie sostenute dall’Iran”, “milizie sostenute dagli Sciiti” o “milizie sciite affiliate all’Iran”.
E’ una sciocchezza. Come ho scoperto quando ho incontrato alcuni di loro in Iraq nel 2017, le Unità di Mobilitazione Popolare hanno delle brigate composte non solo da sciiti ma anche da Iracheni di altre religioni. Per esempio, c’è il Consiglio degli studiosi del Sacro Ribat di Maometto, il Consiglio per la lotta al pensiero takfiro della Sunnah di Fallujah e Anbar, e la Brigata Cristiano-caldea guidata da Rayan al-Kildani, che ha incontrato Papa Francesco.
Ad essere onesti, Papa Francesco nel suo pellegrinaggio ha condannato chi strumentalizza la religione per fare guerre, a vantaggio di Israele, dell’“hacienda” petrolifera saudita, dell’Impero e di tutti i suddetti. Ha pregato in una chiesa distrutta dall’ISIS/Daesh.
E’ significativo che Papa Francesco abbia donato un rosario ad al-Kildani, il capo della milizia Babilonia delle Unità di Mobilitazione Popolare. Il Papa considera al-Kildani come il salvatore dei Cristiani iracheni. Eppure, al-Kildani è l’unico cristiano sul pianeta ad essere nella lista dei terroristi stilata dagli Stati Uniti.
Non è mai abbastanza ricordare che di recente le Unità di Mobilitazione Popolari sono state obiettivo della magnifica avventura, a firma Biden-Harris, del bombardamento del 25 e 26 febbraio: i miliziani sono stati bombardati proprio in Iraq, non nel territorio siriano. L’ex comandante generale sul campo delle Unità di Mobilitazione Popolare era Abu al-Muhandis, che ho incontrato a Baghdad [in inglese] nel 2017. E’ stato assassinato a fianco di Soleimani.
Papa Francesco è stato in grado di intraprendere il suo pellegrinaggio in Iraq solo grazie alle forze di Hashd al-Shaabi, attori assolutamente fondamentali e in prima linea, che hanno salvato l’Iraq dalla spartizione tra Takfiri e/o dal diventare un (falso) Califfato.
Francesco ha ripercorso alcuni dei passi del Profeta nel suo pellegrinaggio abramitico, specialmente quello di Ur in Babilonia, e l’eco è arrivata molto più lontano, fino ad al-Khalil (Hebron) in Palestina e fino alla moderna Siria e in Giordania.
Un semplice pellegrinaggio non cambierà la dura realtà della Mesopotamia: 36% di disoccupazione (quasi il 50% tra i giovani), 30% della popolazione in condizione di povertà, un’ondata NATO in arrivo, l’egemone incapace di andarsene perché ha bisogno di questo hub “imperiale” fatto di basi tra il Mediterraneo e l’Oceano Indiano, una diffusa corruzione politica da parte di un’oligarchia consolidata.
Francesco ha ribadito che questo è stato “solo il primo passo”, e che comporta dei “rischi”. La cosa migliore che si possa sperare, così com’è, è che il Papa e il suo “umile e saggio” interlocutore continuino a sottolineare che il “divide et impera”, l’alimentare le fiamme del conflitto religioso, etnico e tra comunità, porta vantaggio solo ai (chi altri?) soliti sospetti.
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Articolo di Pepe Escobar pubblicato su Global Research il 10 marzo 2021
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per Saker Italia.
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