Traduzione a cura di Andrea Urzi per sakeritalia.it
Articolo di Alexander Mercouris, apparso sul sito
www.sputniknews.com
il 1 Dicembre 2014

*****

I teorici della cospirazione attribuiscono la recente caduta del prezzo del petrolio ad un complotto Americano contro Russia ed Iran o, in alternativa, ai tentativi dell’Arabia Saudita di contrastare l’industria Americana del petrolio di scisto.

Londra, Primo Dicembre (Sputnik) – La recente caduta del prezzo del petrolio ha suscitato grande interesse. Si è molto speculato sul fatto che la causa principale sia da individuare in un possibile accordo segreto tra i Sauditi e gli Americani. Si sono fatti interminabili dibattiti sul fatto che la caduta del prezzo sia il frutto di una loro cospirazione diretta a colpire paesi come la Russia e l’Iran, spesso considerati come loro nemici. In alternativa a questa interpretazione, il basso prezzo del petrolio e’ stato attribuito ad uno piano dei Sauditi per strangolare l’industria statunitense del petrolio e gas di scisto.

Al contrario, la storia dei prezzi del petrolio dell’ultimo secolo dimostra che l’odierna caduta del suo prezzo non ha nulla a vedere con queste teorie, ma è il prodotto di fattori più oggettivi.

Essenzialmente sono due i fattori che determinano il prezzo del petrolio: (1) offerta e domanda internazionale di petrolio, che rimane la linfa vitale delle moderne società industriali, e (2) il valore del dollaro americano che è la valuta su cui il prezzo del petrolio è fissato.

Visto che il dollaro è utilizzato per acquistare petrolio, se il suo valore cresce in relazione ad altre valute, un quantità maggiore di petrolio può essere acquistata con meno dollari anche se il costo del petrolio espresso in altre valute rimane immutato. Al contrario, una quantità maggiore di dollari è necessaria per acquistare la stessa quantità di petrolio nel caso di un deprezzamento del dollaro. L’andamento del prezzo del petrolio dunque non sempre riflette il suo costo quando questo è fissato in altre valute.

Tuttavia visto che il petrolio viene comunemente pagato in dollari, gli investitori internazionali che controllano grandi riserve di dollari lo utilizzano per tutelarsi contro l’inflazione, in particolare in quei periodi in cui la valuta si sta deprezzando. Questo si traduce nella tendenza del prezzo del petrolio a crescere in periodi di debolezza del dollaro. Un’altra conseguenza è che questi stessi investitori sono i primi a vendere ogni qual volta che il dollaro si rafforza (cosa che sta accadendo in questo momento). Questo ovviamente ne esaspera la tendenza ribassista.

In più esistono gli speculatori, le cui azioni invariabilmente tendono a drammatizzare la situazione quando l’instabilità dei prezzi è alta. Proprio per questa ragione gli speculatori non sono particolarmente amati. Tuttavia, essi sono parte del gioco. Bisogna comunque considerare che l’effetto delle loro azioni tende ad essere di breve durata.

Quando i prezzi si stabilizzano (e questo si verifica immancabilmente) diviene chiaro che l’azione degli speculatori non ha determinato alcun effetto duraturo sui fondamentali economici che li determinano.

Il risultato di tutto ciò è che quando il dollaro è forte, il prezzo del petrolio tende ad essere basso. Ovviamente anche il contrario è vero e quando il dollaro è debole, il prezzo del petrolio tende ad essere alto.

L’altro elemento che determina il prezzo è l’equilibrio tra l’offerta e la domanda. Quando si verifica una situazione di eccesso di produzione (come in questo periodo), il prezzo del petrolio tende ad essere basso. Quando c’è un eccesso di domanda, il prezzo del petrolio tende ad essere alto.

In ultima analisi, ciò che determina il prezzo è l’interazione tra questi due fattori, l’equilibrio tra domanda ed offerta ed il valore del dollaro.

Da soli questi due fattori sono sufficienti a spiegare la recente caduta del costo del petrolio senza dovere introdurre complesse ad inutili teorie su un possibile complotto orchestrato dai Sauditi in combutta con gli Americani o dai soli Sauditi per colpire l’industria statunitense del petrolio di scisti.

Una semplice analisi della storia recente dimostra che è l’interazione tra i suddetti fattori che determina il prezzo del petrolio.

Nei primi decenni che seguirono la Seconda Guerra Mondiale il dollaro (il cui valore era legato a quello dell’oro) era molto forte. Negli stessi anni si verificò una abbondante produzione di petrolio dovuta all’entrata in produzione di nuovi campi petroliferi nel Golfo d’Arabia ed in Venezuela. Il prodotto di queste specifiche condizioni portò ad un prezzo del petrolio stabile e basso. Questa fase di bassi prezzi fu il catalizzatore del rapido sviluppo delle economie dei paesi occidentali. Inoltre, quelli che credono che sia stato il deprezzamento del petrolio negli anni ‘80 che causò il crollo dell’Unione Sovietica dovrebbero ricordarsi che questo stesso periodo di prezzi bassi costituì per l’economia dell’Unione Sovietica quello di più prolungato e rapido sviluppo.

Con il passare del tempo la rapida crescita economica dell’Occidente, causata dal basso prezzo del petrolio, portò la domanda a superare progressivamente la produzione. Allo stesso tempo, gli alti costi che gli Stati Uniti sostennero per finanziare il loro programma spaziale, la crescita del proprio arsenale nucleare, il generoso programma di welfare “Great Society” di Lyndon Johnson e la guerra del Vietnam insieme ad una politica monetaria espansiva della Federal Reserve causò un deprezzamento del valore del dollaro. A partire dalla seconda metà degli anni ‘60, i paesi europei iniziarono a richiedere agli Stati Uniti di finalizzare in oro i pagamenti effettuati nel quadro dei loro scambi commerciali, per cui nel 1971 il governo degli Stati Uniti fu costretto a recidere il legame del dollaro con l’oro e a permettere alla propria moneta di fluttuare liberamente sui mercati.

Il prezzo del petrolio calcolato in dollari improvvisamente quadruplicò ma in relazione al prezzo dell’oro esso ristabilì semplicemente il suo valore precedente. L’evento che rese veramente drammatica questo apprezzamento del petrolio, ma che non fu la sua causa, fu l’embargo imposto brevemente dai paesi Arabi durante la guerra Arabo-Israeliana del 1973.

Il prezzo del petrolio in dollari si mantenne alto per tutti gli anni ’70, un periodo contraddistinto da scarsa produzione e un dollaro debole. Il suo alto costo causò una caduta della crescita economica nei paesi industrializzati mentre allo stesso tempo incoraggiò una crescita degli investimenti in luoghi come la Siberia e il Mare del Nord. In più spronò le nazioni, in particolare quelle europee, a ridurre la loro dipendenza dal petrolio grazie ad un uso più efficiente dell’energia e alla sua conservazione.

Tutto questo eventualmente portò negli anni ’80 ad un eccesso produttivo proprio mentre la banca centrale, la Federal Reserve, con alla guida Paul Volcker improvvisamente irrigidì la propria politica monetaria al fine di contrastare la crescente inflazione (la così detta “Dottrina Volcker”) e così determinando un rafforzamento del dollaro. La combinazione di sovrapproduzione di petrolio e rafforzamento del dollaro causarono un collasso del suo prezzo alla metà degli anni ‘80.

Proprio questo collasso del prezzo del petrolio che si verificò a metà anni ‘80 viene generalmente considerato il prodotto di uno accordo tra i Sauditi e l’amministrazione Reagan per portare l’URSS al collasso. In realtà la caduta del prezzo ebbe un effetto marginale sui gravi e crescenti problemi che l’Unione Sovietica aveva verso la fine di quegli anni. Le cause di questi problemi si possono individuare non nella caduta del prezzo del petrolio ma nell’intensificarsi dei conflitti politici interni all’amministrazione russa e in decisioni economiche sbagliate. Né la caduta del prezzo del petrolio fu il risultato di un complotto anti-Sovietico da parte dell’amministrazione Reagan e dei Sauditi.

La capacità dei Sauditi di controllare il prezzo del petrolio è sempre stata esagerata (e di questo ne parleremo in seguito), mentre l’irrigidimento della politica monetaria introdotto dalla Federal Reserve di Paul Volcker che portò all’apprezzamento del dollaro e seguente caduta del prezzo del petrolio non fu benvenuto dall’amministrazione Reagan, che anzi lo contrastò fortemente.

Gli Stati Uniti allentarono nuovamente la loro politica monetaria alla fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90 in seguito alle politiche del successore di Volcker, Alan Greenspan, producendo un nuovo deprezzamento del dollaro. Il prezzo del petrolio di conseguenza si stabilizzò ma non ci fu una crescita comparabile a quella avvenuta negli anni ‘70, in parte perché la produzione in Russia mantenne alta la disponibilità di petrolio. Tuttavia il prezzo collassò nuovamente nel 1997 quando Greenspan ribaltò la sua politica mettendo un freno alla disponibilità di moneta con tassi di interesse più alti che determinarono una crescita del valore del dollaro. Il rafforzamento del dollaro in condizioni di eccessiva produzione fu la causa di questa crisi del prezzo del petrolio. Questo condusse anche alla Crisi delle Tigri Asiatiche del 1997 e al collasso del Rublo e successivo default della Russia.

Per rispondere a questi eventi, Greenspan cambiò nuovamente corso alla politica monetaria degli Stati Uniti che da quel momento in poi sotto la supervisione del suo successore alla Federal Reserve Board, Ben Bernanke, rimase estremamente generosa. Allo stesso tempo l’amministrazione di George W. Bush intraprese spese enormi in parte per finanziare la sue continue guerre. Come negli anni ’70, l’abbondanza di dollari causò l’indebolimento del valore del dollaro che è poi continuato fino al collasso finanziario del 2008 ed oltre.

Nello stesso tempo il moderato costo del petrolio alla fine degli anni ‘80 e inizio dei ’90 supportò un altro periodo di rapida crescita economica (specialmente in Asia) mentre l’investimento nella sua produzione declinò. Il risultato di questo processo fu quello di portare ad uno sbilanciamento verso un eccesso di richiesta di petrolio.

La ormai familiare combinazione di scarsità nell’offerta di petrolio e debolezza del dollaro portò ad un’altra significativa crescita del prezzo. Dopo il 2000 il prezzo del petrolio accelerò raggiungendo un livello stratosferico alla vigilia del crisi finanziaria del 2008.

La crisi finanziaria del 2008 causò un apprezzamento di breve periodo del dollaro (in quanto considerato una valuta rifugio) e una diminuzione della domanda di petrolio a seguito di una rallentamento dell’attività economica a livello globale. A questo seguì l’ennesimo collasso del prezzo.

La ragione per la quale il prezzo poi si riprese così rapidamente fu dovuta al tipo di risposta data della Federal Reserve alla crisi finanziaria del 2008. L’allentamento della sua politica monetaria fu portato agli estremi tramite una combinazione di tassi di interessi vicino allo zero e la cosiddetta politica di “alleggerimento quantitativo”. Così il breve periodo di rafforzamento del dollaro che ha seguito il collasso finanziario del 2008 si invertì e venne sostituito da un prolungato periodo di debolezza. Nonostante tutto ciò a causa dei continui problemi economici dell’Europa e degli Stati Uniti in seguito alle conseguenze della crisi del 2008, il prezzo del petrolio non è mai tornato al livello del 2008.

Quest’anno si torna al punto di partenza. La Federal Reserve ha irrigidito di nuovo la propria politica monetaria cessando alquanto tardivamente il suo programma di “alleggerimento quantitativo” e causando un innalzamento del valore del dollaro. L’alto prezzo del petrolio degli anni 2000 ha portato ad una considerevole crescita degli investimenti nella sua produzione. In particolare negli Stati Uniti concentrato sullo sfruttamento di petrolio e gas di scisto. La mediocre situazione economica Europea e il rallentamento della crescita in Asia (in particolare Cina e Giappone) ha prodotto una caduta della domanda. Il risultato è un altro periodo di forza del dollaro ed eccessiva offerta di petrolio. Dunque è assolutamente scontata la caduta del prezzo che stiamo vivendo in quest’autunno.

Quale è il ruolo dell’OPEC in tutto questo? La risposta è: praticamente nessuno. Qualunque analisi condotta su basi oggettive conferma che il ruolo dell’OPEC nel determinare il costo del petrolio è insignificante. L’OPEC in teoria può prevenire la caduta del prezzo organizzando tagli alla produzione. Essendo essa un cartello di produttori questo è il motivo principale per cui esiste. In realtà non lo ha mai fatto. Al contrario, la tipica risposta alla caduta del costo del petrolio da parte dei paesi più deboli dell’OPEC è quella di incrementarne la produzione in modo da compensare il minor prezzo con maggiori vendite. Visto che gli altri membri dell’OPEC difficilmente si attengono alle loro quote di produzione in condizioni di caduta del prezzo del petrolio, non c’è alcuna possibilità che i Sauditi decidano di ridurre la propria.

Infatti per l’OPEC tagliare la produzione di petrolio in questo momento non avrebbe nessun senso. Il solo risultato di un prezzo del petrolio più alto sarebbe quello di rafforzare la produzione di petrolio di scisto negli Stati Uniti, che non sono un membro dell’OPEC e ovviamente non accetterebbero mai tagli alla loro produzione. Visto che ogni riduzione della produzione dei paesi OPEC non sarebbe fatto a beneficio di membri dell’OPEC ma dei produttori americani di petrolio di scisto, che sono considerati ampiamente responsabili per l’odierno problema di sovrapproduzione, l’OPEC non ha nulla da guadagnarci. Questa è la vera ragione per cui l’OPEC si è rifiutata di adottare tale politica.

Infatti, guardando alla cosa con oggettività, L’OPEC ha un ruolo più simbolico che reale. Il suo ruolo è quello di dare l’impressione ai paesi produttori di petrolio di avere il controllo sul prezzo del loro prodotto mentre in realtà non lo hanno. Inoltre questa situazione fornisce i governi occidentali e i loro opinionisti con un capro espiatorio da poter criticare in caso di prezzi alti. Quando i prezzi sono bassi gli opinionisti occidentali celebrano (come hanno fatto negli anni ‘70, ‘90 e stanno facendo ora) il fatto che l’OPEC abbia perso la sua importanza ed il potere di controllo del mercato del petrolio anche se ogni analisi oggettiva dimostra che essa non l’abbia effettivamente mai avuto.

Quali sono gli effetti di questi eventi sulla Russia?

Per prima cosa, deve essere chiaramente ribadito il fatto che la recente caduta del prezzo del petrolio sia un evento che ha semplici spiegazioni economiche e non sia il prodotto di sinistri complotti anti-russi orchestrati dagli Americani e i loro amici Sauditi. Le relazioni tra la Russia e l’Arabia Saudita sono in verità molto buone. Nonostante l’Arabia Saudita e la Russia siano su posizioni opposte a riguardo del conflitto Siriano, essi sono alleati in Egitto – un paese di importanza ben maggiore della Siria dal punto di vista dell’Arabia Saudita – dove i due paesi sono convinti sostenitori del governo militare del Generale el-Sisi. Entrambi sono della stessa opinione anche sul rischio rappresentato dallo Stato Islamico. In più è cosa pubblicamente nota che le relazioni personali tra il Presidente Putin e il Re Abdullah dell’Arabia Saudita siano particolarmente buone mentre quelle tra il Re Abdullah ed il Presidente degli Stati Uniti Obama non siano delle migliori.

L’Arabia Saudita non ha una ragione specifica per colpire ed indebolire la Russia ed è altrettanto improbabile che i Sauditi possano accettare di farsi deliberatamente del male per condurre una guerra economica contro la Russia semplicemente perché questa è nei piani di Obama e gli Stati Uniti.

La realtà dei fatti è che la Russia può, senza ombra di dubbio, sopravvivere ad un periodo di prezzi bassi. Infatti, è molto probabile che un tale periodo sia al contrario molto benefico.

La Russia non si trova nella stessa situazione in cui si trovava nel 1998 quando (a differenza che negli anni ’80) il collasso del prezzo del petrolio fu la vera causa della crisi economica. L’economia Russa di oggi è più grande e ricca di diversi ordini di grandezza. Inoltre a differenza della situazione del 1998, la Russia si è trasformata da debitore a creditore. Il paese ha accumulato enormi riserve finanziarie e la sua economia è molto più flessibile e meglio gestita di quanto lo fosse allora.

La posizione della Russia è anche molto più forte di quanto lo fosse nel 2008, l’anno dell’ultimo collasso del prezzo del petrolio. Anche le imprese russe sono in una posizione migliore di quella che avevano all’epoca. In confronto alla sua situazione nel 1998 e nel 2008, la Russia oggi permette la libera fluttuazione della propria valuta, un strumento in più per la protezione della propria economia. Il valore del Rublo dalla scorsa estate ha seguito da vicino l’andamento ribassista del petrolio. Questo significa che l’attuale prezzo del petrolio in dollari si traduce in quasi la stessa quantità di Rubli che si ottenevano un anno fa. Il rischio che la caduta nel prezzo del petrolio causi danni catastrofici al budget del governo o alla bilancia dei pagamenti è basso, contrariamente di quanto lo fosse nel 1998 e 2008.

Tutto questo ovviamente non significa che la caduta del prezzo del petrolio e il successivo deprezzamento del Rublo non abbia avuto alcuna conseguenza negativa. Per i Russi che vogliono comprare o investire all’estero il costo è aumentato. I russi molto probabilmente dovranno sopportare prezzi più alti per un breve periodo.

L’alto prezzo del petrolio ha rappresentato per la Russia un’arma a doppio taglio. Certamente esso ha aiutato il governo a sistemare le proprie finanze dopo la crisi del 1998 ma allo stesso tempo si può argomentare che per la Russia il prezzo è rimasto troppo elevato per troppo tempo. Questo a sua volta a causato un apprezzamento tale del Rublo che i produttori locali sono stati sfavoriti e i Russi incoraggiati ad investire e cercare finanziamenti all’estero. Un Rublo meno forte, invertendo questa tendenza, dovrebbe nel tempo assistere l’economia aiutandola a diversificarsi e diventare più auto-sufficiente. Senza dubbio la trasformazione del paese e della sua economia porteranno a tempi difficili. Tempi che non dovrebbero durare molto visto le solide fondamenta economiche (in particolare l’assenza di debito) e i vantaggi si dovrebbero iniziare ad apprezzare molto presto.

È improbabile anzi che l’attuale fase di bassi prezzi duri a lungo. La domanda di petrolio proveniente dall’Asia è destinata a crescere con la ripresa delle economie asiatiche da quello che è solamente un breve periodo di debolezza. Considerando l’estremo livello di indebitamento degli Stati Uniti è improbabile che la Federal Reserve sia in grado di mantenere la stretta monetaria per un tempo prolungato. Molto più probabilmente il periodo di rafforzamento del dollaro che stiamo vivendo sarà breve.

In più, considerando il ruolo declinante degli Stati Uniti nel quadro del panorama economico mondiale (il sorpasso della Cina potrebbe essere già avvenuto) esiste il legittimo dubbio su quanti siano gli anni in cui il petrolio verrà ancora commercializzato in dollari.

Dato l’alto costo di produzione per molti produttori americani di olio di scisto, si può prevedere che il basso prezzo del petrolio li spingerà fuori mercato causando l’eventuale declino della produzione interna degli Stati Uniti e una correzione dell’attuale eccesso produttivo. Naturalmente sono in molti a pensare che i Sauditi abbiano deliberatamente causato il crollo del prezzo per ottenere questo risultato. Mentre credere in questo è sbagliato, l’effetto finale è lo stesso. Si inizia a parlare di banche e investitori americani che sono diventati molto cauti a riguardo di nuove proposte per l’estrazione di petrolio di scisto nonostante il tasso di interesse sul denaro sia quasi a zero e il costo di finanziamento dei prestiti rimanga molto basso. Se la Federal Reserve alzerà il tasso di interesse il prossimo anno allora l’industria di estrazione del petrolio di scisto si troverà veramente in cattive acque.

Le condizioni per un apprezzamento del prezzo del petrolio in futuro sono già sul tavolo. Infatti, tale crescita del prezzo è inevitabile e probabilmente è solo a qualche anno di distanza. Per quanto riguarda la Russia, il paese con un’economia più forte, diversificata e auto-sufficiente si troverà in una posizione migliore per trarne tutti i vantaggi.

Le opinioni espresse in questo articolo solo da attribuire solamente all’autore e non riflettono la posizione ufficiale di Sputnik.

Condivisione: