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Le recenti mosse dell’India non significano che stia rompendo con il BRICS o si stia unendo ad un’alleanza statunitense contro la Cina. Si tratta semplicemente di un tentativo da parte dell’India di perseguire la propria tradizionale politica di posizionamento tra le Grandi Potenze al fine di ottenere grossi vantaggi per se stessa.

La visita appena conclusa del Primo Modi ha rafforzato i timori che l’India si stia trasformando in un alleato a pieno titolo degli USA.

I fondamenti di questa convinzione sono stati discussi dal mio collega Andrew Korybko in due bei pezzi che ha scritto per The Duran. Per chi fosse interessato ai dettagli delle mosse che USA e India si sono reciprocamente scambiate, non c’è un posto migliore da cui partire se non quei due articoli (qui e qui).

Ma l’India sta davvero abbandonando la sua tradizionale politica di non allineamento per stipulare un’alleanza con Washington, che in effetti seppellirebbe l’accordo dei BRICS?

Io non dubito che questo sia esattamente quello che Washington crede. Sono sicuro che a seguito della visita del Primo Ministro Modi, tutti, nell’enorme establishment che a Washington ruota attorno alla politica estera, siano indaffarati a scambiarsi complimenti per il loro successo nell’aver staccato l’India da Russia e Cina.  Senza dubbio a Langley e a Foggy Bottom stanno volando tappi di champagne, e non dubito del fatto che Andrew Korybko abbia riprodotto con assoluta precisione il modo in cui l’intero affare indiano sia considerato dalla gente della Beltway. Però sospetto che le cose da New Delhi vengano viste in modo piuttosto diverso. Sono abbastanza sicuro che siano esagerate sia le speranze che le paure nei confronti di un’alleanza dell’India con gli USA.

Prima di discutere i motivi per cui dico questo, è necessario inquadrare la discussione.

Molte delle preoccupazioni espresse sul flirt del Primo Ministro Modi con Washington derivano dal fraintendimento del suo retroterra. Prima che Modi diventasse premier era diffusa l’idea che, poiché gli USA gli avevano precedentemente negato un visto di ingresso, ciò significasse che fosse un loro oppositore, e ci fu grande sorpresa e un pizzico di sensazione da parte di certi ambienti per essere stati traditi, nel momento in cui venne fuori che lui non era affatto ostile agli Stati Uniti.

In realtà il rifiuto statunitense del visto riflette semplicemente ignoranza nei confronti della politica indiana, e la propensione degli USA ad assumere pose, in questo caso in connessione alle agitazioni settarie nel Gujarat del 2002, per le quali Modi venne ritenuto responsabile dagli USA essendo il Primo Ministro di quello stato. L’episodio del visto non dice nulla circa le effettive opinioni di Modi riguardo agli USA, ed è irrilevante riguardo alle sue azioni come Primo Ministro dell’India. Queste ultime sono radicate nelle sue necessità politiche e hanno fondamento nell’interesse nazionale indiano.

In breve e molto rozzamente, la politica indiana sin dai tempi dell’indipendenza si è fondamentalmente conformata a una delle seguenti due tradizioni: la “democratica sociale” laica e di sinistra associata al (partito del) Congresso, o quella più conservatrice, più di destra e più orientata al liberismo associata a quello che a volte viene chiamato il movimento nazionalista Hindutva. Molto in sintesi, durante la Guerra Fredda i politici indiani associati al Congresso tendevano verso Mosca, mentre i politici di orientamento Hindutva tendevano verso un’intesa con Washington.

Modi viene dalla tradizione nazionalista Hindutva. È arrivato al potere come leader del BJP, formazione di destra di orientamento Hindutva, dopo aver sconfitto il (partito del) Congresso nelle elezioni parlamentari del 2014, e si è posizionato come un seguace del precedente primo ministro del BJP proveniente dalla tradizione Hindutva – Atal Bihari Vajpayee – il cui nome Modi ha ripetutamente invocato nel discorso fatto al Congresso USA nel corso della sua visita.

Il retroterra Hindutva di Modi basterebbe a spiegare la sua preferenza per rapporti più stretti con Washington. Ci sono in ogni caso ragioni pratiche che lo spingono comunque in quella direzione – come per il suo predecessore del Congresso Manmohan Singh.

La prima è la forte richiesta di un allineamento agli Stati Uniti da parte della business community apertamente pro USA, incentrata nella città portuale di Mumbai (Bombay). Questa gente forma una componente chiave della base politica di Modi, e lui semplicemente non è nella posizione di poterli trascurare.

La seconda è il desiderio di attirare investimenti americani in India per sostenere il suo programma di rapida crescita e modernizzazione economiche. Questa è stata la priorità assoluta dell’India sin da quando erano stati intrapresi i passi iniziali da parte di Manmohan Singh come Ministro delle Finanze nel governo del Congresso negli anni ‘novanta, finalizzati alla liberalizzazione dell’economia indiana.

Dati questi fattori, Modi è stato in effetti costretto alle sue mosse con gli USA. È comunque importante dire che queste azioni seguono una consolidata tradizione di ricerca da parte dell’India di buoni rapporti con gli Stati Uniti.

Alla fine degli anni ‘70, il leader di quello che allora era il partito Janata (l’antenato dell’attuale BJP), il Primo Ministro Morarji Desai, fu ampiamente sospettato di aver lasciato trapelare a Washington informazioni di intelligence interne al Governo Indiano durante la guerra indo-pakistana del 1971. Che ciò fosse vero o no, ci sono prove che Henry Kissinger quanto meno considerasse  Morarji Desai come un asset dell’intelligence USA (per una discussione completa su questo tema controverso si veda il capitolo sulla guerra indo-pakistana del 1971 nel libro di Seymour Hersh The Price of Power), ed egli in effetti seguì un apolitica più amichevole nei confronti degli USA – e del Pakistan – di quanto non lo fosse quella del governo del Congresso in quel periodo.

Per quanto riguarda Atal Bihair Vajpayee, il predecessore di Modi come leader del BJP e primo ministro indiano, fu durante il suo incarico da Primo Ministro che vennero intrapresi i primi passi nella formazione degli attuali rapporti Stati Uniti-India, con la visita nel 2000 del Presidente USA Clinton – la prima visita in India di un presidente americano da 22 anni.

L’evento chiave nella creazione degli attuali buoni rapporti tra USA e India però non è accaduto sotto Vajpayee – o adesso sotto Modi. Ha in realtà avuti luogo durante l’ultimo periodo del governo del Congresso, quando l’amministrazione di George W. Bush fece un notevole sforzo, alla fine coronato da successo tra il 2005 e il 2008, di stringere buoni rapporti con l’India.

Il risultato principale di questo periodo – e la pietra miliare di tutte le relazioni USA-India – indicata proprio così da Modi nel discorso tenuto presso il congresso USA durante la sua visita, fu l’India-United States Civil Nuclear Agreement del 2008, che in pratica non era altro che il riconoscimento da parte degli USA dell’India come di una Grande Potenza nucleare a tutti gli effetti.

Basti dire che il Primo Ministro Indiano al tempo dell’India-United States Civil Nuclear Agreement non fosse altri che Manmohan Singh, spesso definito lealista del BRICS, che rappresentò l’India al summit di fondazione del gruppo BRICS del 2009 nella città russa di Ekaterinburg.

È del tutto naturale che Modi, come Manmohan Singh prima di lui, voglia capitalizzare dai rapporti con gli Stati Uniti creati durante i premierati di Vajpayee e Manmohan Singh.  Nel fare questo, dopo tutto soddisfa probabilmente sia le proprie esigenze politiche, sia gli interessi nazionali dell’India. L’India non ha nessun interesse nel farsi nemici gli Stati Uniti, ed è del tutto naturale che voglia estrarre tutti i vantaggi possibili dagli USA mantenendo con essi un buon rapporto.

Cosa si può comunque dire a livello di strategia globale? Volere buoni rapporti con gli USA significa allinearsi a Washington contro Pechino e Mosca?

Prima di discutere questo punto è necessario dire qualcosa sulla storia dei rapporti dell’India con Pechino e Mosca.

Le relazioni dell’India con la Cina sono state complesse e difficili. Per contrasto le relazioni dell’India con la Russia sono state semplici e dirette sin dall’indipendenza.

Cina e India avevano rapporti molto stretti negli anni ‘cinquanta – molto più stretti di oggi – quando sembrava che i primi ministri dei due paesi, Zhou Enlai e Jawaharlal Nehru, avessero creato una buona amicizia. I rapporti si guastarono all’inizio degli anni ‘sessanta sul Tibet e sulle dispute sul loro confine comune, con una breve ma crudele guerra combattuta tra i due paesi nel 1962 nella quale la Russia prese le parti dell’India, ma nella quale la stessa India venne completamente sconfitta dalla Cina, lasciando la Cina stessa ad occupare gran parte di quello che precedentemente era stato un territorio controllato dagli Indiani.

Le relazioni tra India e Cina da allora sono rimaste molto tese fino alla morte di Mao Tse Tung nel 1976, e da allora sono migliorate considerevolmente. Durante il precedente periodo di rapporti tesi, la Cina però aveva stipulato un’alleanza con il Pakistan, il nemico perenne dell’India, che continua fino a oggi e che aggiunge un altro livello di conflittualità alle relazioni Indiane-Cinesi.

Con la Russia per contrasto i rapporti sono stati buoni e diretti. L’India e la Russia sono stati buoni amici sin da quando l’India aveva ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna (l’ambasciatore indiano Krishna Menon fu l’ultimo visitatore straniero ricevuto da Stalin prima della sua morte nel 1953).

Alla fine degli anni ‘sessanta, al peggiorare dei rapporti di Mosca con la Cina, la Russia e l’India divennero per un certo tempo alleati di fatto contro la Cina e il Pakistan, con la Russia che fornì all’India assistenza militare cruciale per farle vincere la guerra Indo-Pakistana del 1971.

Dal crollo dell’URSS, le relazioni tra Russia e India hanno subito le conseguenza della diminuita capacità di proiezione russa e la potenza inevitabilmente è venuta a mancare, ma si sono mantenute cordiali.

Data al storia complessa e difficile delle relazioni dell’India con la Cina, e data l’enorme crescita della potenza cinese che ha avuto luogo sin dagli anni ‘70, data altresì la riduzione della potenza della Russia, precedente partner dell’India, nello stesso periodo, e infine dato il fatto che la stessa Russia si è avvicinata alla Cina ed oggi è di fatto in un’alleanza con quest’ultima, è del tutto comprensibile che l’India voglia assicurare la propria posizione contro la Cina stringendo legami con Washington. L’India sicuramente lo farebbe persino se non ci fossero impellenti ragioni economiche che la spingessero a questo passo (vedi sopra).

Ma se si guarda con obiettività alla questione, a colpire sono i limiti che si è posta l’India nel perseguire quest’obiettivo. Mentre l’India ha di sicuro cercato di migliorare le proprie relazioni con Washington, è stata molto attenta a mantenere i tradizionali buoni rapporti con Mosca, e sia sotto Manmohan Singh, che sotto Modi, ha mantenuto aperte le linee di comunicazione con la Cina, lavorando con successo con lei e la Russia come membro del BRICS.

I motivi per cui l’India ha ricercato questo equilibrio sono in effetti chiariti nei due articoli di Andrew Korybko. Le aspirazioni dell’India ad essere accettata come una Grande Potenza, sono in ultima analisi incompatibili con la subordinazione a Washington – essendo la relazione di subordinazione agli USA l’unico tipo di relazione che Washington oggi sembra in grado di offrire alle altre potenze.

Oltre a questo, l’India non ha più interessi ad inimicarsi la Cina di quanto ne abbia a inimicarsi gli USA. La Cina è di gran lunga più forte dell’India. L’India non può sconfiggere militarmente la Cina e le recenti esperienze dovrebbero aver insegnato all’India che qualunque impegno statunitense a “difendere” l’India dalla Cina non merita nessuna considerazione. La Cina inoltre è il più grande partner commerciale dell’India e – come gli USA – è potenzialmente un investitore chiave per l’economia indiana.

Dal punto di vista dell’India, mantenere per lo meno una relazione funzionale con la Cina è di prioritario interesse, persino se per ragioni storiche totalmente comprensibili i rapporti con la Cina non possono essere esenti da conflitti e del tutto cordiali.

A questo punto, il genere di politica che Modi sta attualmente seguendo – e che era stata seguita dai suoi due predecessori – Vajpayee e Manmohan Singh: buoni rapporti sia con Washington che con Mosca, combinati con una certa cautela nei confronti della Cina, ma con la continua volontà di lavorare assieme a quest’ultima nell’interesse nazionale dell’India attraverso il gruppo dei BRICS e delle altre istituzioni a guida Cinese che sono in formazione.

Visto in questo contesto, ora è possibile leggere il discorso di modi al congresso USA in modo corretto.

Il discorso conteneva tutti i soliti cliché e anestetizzanti che amano gli Americani: invocazioni alla “libertà”, luoghi comuni sulla democrazia americana, rimandi adulatori a come anche l’India adesso sia una democrazia, peana di lode per l’imprenditoria americana, riferimenti vertiginosi ad Abraham Lincoln, Norman Borlaug, Thoreau, Gandhi, Martin Luther King e Walt Whitman (e comunque una scelta interessante, che potrebbe dare luogo ad alcune domande) e discorsi eroici sugli sforzi congiunti nella lotta contro il terrorismo islamico.

In ogni caso non ha fatto promesse né preso impegni di alcun genere con gli USA. Il tenore di tutto il discorso è stato un richiamo nei confronti degli Stati Uniti affinché sostenessero l’India con nessuna contropartita di valore offerta in cambio. Cosa importante, in nessuna parte del discorso c’è un solo riferimento al Logistics Support Agreement discusso in profondità nei suoi due articoli da Andrew Korybko.

Anche se il  Logistics Support Agreement ha le potenzialità di evolvere in quella  specie di alleanza militare omnicomprensiva di cui scrive Andrew korybko – e non c’è dubbio che gli USA la vedano in questo modo – è importante dire che ciò potrà avvenire solo se l’India la approccia in questo modo.

Per come stanno le cose, è estremamente improbabile. Dal punto di vista indiano il Logistics Support Agreement deve essere visto per quello che è: un’assicurazione che l’India ha stipulato con gli USA contro la Cina, su cui l’India potrà contare se mai i propri rapporti con la Cina si dovessero fare difficili, ma che l’India ha siglato solo perché pressata dagli USA, che la offrivano gratis, a farlo.

La visita di Modi al Congresso USA e il suo discorso fanno parte di un rituale ricorrente che adesso i primi ministri indiani eseguono regolarmente tutte le volte che visitano gli USA. Discorsi simili sono stati tenuti al Congresso statunitense dai precedenti primi ministri indiani: Rajiv Gandhi, Atal Bihari Vajpayee e Manmohan Singh.

Dal punto di vista di Modi, il suo discorso si può considerare un successo. Nonostante non abbia in effetti offerto nulla, i parlamentari riuniti – eccitati dalle lusinghe di Modi – si sono bevuti il suo discorso. Il risultato è stato che Modi ha lasciato Washington con l’approvazione del Congresso per concessioni commerciali e ulteriori vendite di armi.

Avendo avuto a Washington quello che voleva, la mossa successiva di Modi dice tutto quello che c’è da sapere riguarda alla vera natura della politica indiana. Di ritorno a New Delhi dove – si spera – i microfoni americani non potevano più sentirlo, praticamente la prima cosa che Modi ha fatto è stata telefonare al suo socio del BRICS – il presidente della Russia Putin – presumibilmente su una linea sicura.

Il breve resoconto della telefonata da parte del Cremlino fa intuire che si sia trattato di un summit Putin – Modi. In esso ci si riferisce alla relazioni tra India e Russia come ad un “partenariato strategico privilegiato” – controbilanciando le parole simili utilizzate da Modi nel descrivere i rapporti dell’India con gli Stati Uniti.

Anche se non possiamo sapere esattamente cosa si sono detti i due, è assolutamente probabile che Modi abbia fatto a Putin un resoconto dettagliato della sua visita negli USA, e che questo fosse lo scopo della chiamata. È anche estremamente probabile che un resoconto completo della conversazione di Modi con Putin – addirittura una trascrizione – verrà mandata a Pechino dal Cremlino, e che Modi abbia fatto la chiamata sapendo – e al preciso scopo – che ciò sarebbe accaduto.

In sintesi, le mosse dell’India verso Washington non sono le azioni di un paese che si sta riposizionando come alleato degli USA, e che adesso si schiera contro Russia e Cina,  suoi vecchi partner. Non sono neanche un tentativo indiano di mettere una parte contro l’altra. Piuttosto devono essere viste per quello che effettivamente sono: le caute manovre di una Grande Potenza emergente nel suo tentativo di cercare i massimi vantaggi per se stessa in una situazione internazionale sempre più fluida.

Senza dubbio i Russi e i Cinesi capiscono tutto dato che – come mostra la telefonata di Modi a Putin – gli Indiani sono molto attenti a tenerli informati riguardo a ciò che fanno.

Per quanto riguarda gli USA, per come sono ossessionati dai propri complicati giochi di scacchi geopolitici, per contrasto quasi certamente non capiscono quali sono le intenzioni degli Indiani, nonostante – se gli USA avessero un approccio più convenzionale alla politica estera – capirla sia abbastanza facile.

Che la situazione sia questa, è dimostrato da ciò che è successo l’ultima volta che gli USA hanno cercato di mettere in contrapposizione una Grande Potenza emergente asiatica contro uno dei propri rivali. Fu negli anni ‘80 che gli Usa cercarono di giocare la “carta cinese” contro Mosca – dimentichi del fatto che mentre loro facevano questo tentativo, Russi e Cinesi stessero tranquillamente ricomponendo le loro divergenze reciproche. Nel compiere questo tentativo, gli Stati Uniti fecero una serie di concessioni unilaterali per “conquistare” la Cina – proprio come stanno facendo adesso con l’India – compresa quella fatale di aprire i mercati americani ai beni cinesi. Il resto, come dicono loro, è storia.

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Articolo di Alexander Mercouris pubblicato da TheDuran il 13 Giugno 2016
Traduzione in italiano a cura di Mario B. per Sakeritalia.it

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