I cittadini tedeschi si recheranno ai seggi questa domenica, nell’ultima serie di elezioni dei grandi paesi europei di quest’anno. Prima della votazione, c’erano timori che in alcuni casi i partiti populisti e anti-sistema avrebbero potuto vincere, a seguito della vittoria del voto della Brexit dello scorso anno e dell’elezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti. Non è accaduto, poiché Marine Le Pen del Fronte Nazionale è stato sconfitta in Francia, e Geert Wilders del Freedom Party non è riuscito a sfondare in Olanda.

Il Presidente Donald J. Trump and il Cancelliere Angela Merkel il 7 luglio 2017 (Foto ufficiale della Casa Bianca di Shealah Craighead)
Anche la Germania ci si attende che resista alla tempesta populista, perché la Cancelliera Angela Merkel è data per rieletta. Il suo Partito Cristiano-Democratico (CDU/CSU) ha ora un comodo vantaggio sul suo principale concorrente, i Socialdemocratici (SPD), mentre gli altri partiti di opposizione sono molto lontani. Questo darà alla Merkel, un politico riservato ma efficace, cresciuto nella Germania Orientale comunista, la possibilità di raggiungere il record di Helmut Kohl come il leader del paese dalla più lunga durata in carica.
A causa del sistema parlamentare che consente a numerosi partiti più piccoli di mandare rappresentanti a Berlino, nessuno dei grandi partiti può vincere definitivamente, il che significa che la Merkel dovrà formare una coalizione. La sua preferenza sarebbe quella di assumere l’alleato storico dei suoi partiti, i Liberal-Democratici, ma è possibile che sia costretta a continuare con un accordo di “grande coalizione” tra la CDU e la SPD per condividere il potere in nome della stabilità, mantenendo fuori i partiti considerati più estremisti.
Il più temuto dei raggruppamenti più piccoli è l’Alternativa per la Germania (AfD), un partito “populista” che negli ultimi anni è cresciuto rapidamente attingendo dal malcontento economico e sociale, sulla scia di altri partiti anti-sistema in Europa. L’AfD dovrebbe attirare leggermente più del 10 per cento del voto, ben al di sotto dei totali di Marine Le Pen in Francia (21 per cento nel primo turno) o del Movimento Cinque Stelle in Italia (25 per cento nel 2013) e più vicini al livello del Freedom Party di Geert Wilders in Olanda (13 per cento nelle elezioni di marzo).
Tuttavia, la crescita dell’AFD ha causato stupore in Europa, dato che le élite governanti hanno difficoltà a spiegare perché anche nel paese con l’economia più forte del continente, dove la disoccupazione è bassa e la produttività e le eccedenze di bilancio sono alte, c’è stato un rapido aumento del fervore populista.
Le spiegazioni standard a tutto questo sono, ovviamente, la xenofobia e il razzismo. In verità, l’AfD si caratterizza per un sentimento nazionalista e anti-immigranti, e si è sempre più identificato sulle posizioni della destra. Poiché l’immigrazione dal Medio Oriente e dall’Africa è aumentata negli ultimi anni, i paesi europei hanno lottato per accettare ed integrare i nuovi arrivi, causando notevoli tensioni sociali.
La Germania è al centro di questa crisi dal 2015, quando la Merkel è andata contro il buon senso dell’opinione pubblica ed ha annunciato che il suo paese avrebbe accettato centinaia di migliaia di richiedenti asilo per fare la sua parte a favore di quelli meno fortunati, in particolare i rifugiati siriani.
Non ci volle poi molto per cambiare questa politica poiché, meno di un anno dopo, la Germania fu decisiva nel raggiungere un accordo con il Presidente turco Erdogan per limitare l’immigrazione mediante la chiusura del cammino verso l’Europa attraverso i Balcani. Il risultato è stato uno spostamento dei flussi migratori verso le rotte marittime dell’Africa settentrionale, principalmente verso l’Italia e la Grecia, accompagnate da un notevole cambiamento di atteggiamenti tra le rispettive popolazioni.
Disuguaglianza economica
Riguardo i movimenti populisti in tutto il mondo occidentale, le questioni dell’immigrazione e della razza raccontano solo una parte della storia. Il voto della Brexit è stato alimentato da una reazione contro le politiche economiche neo-liberali, riassunta in modo efficace dal titolo di un articolo sul giornale inglese The Guardian poco dopo il referendum del giugno 2016: “Se c’hai ricavato dei soldi, voti per rimanere … se non c’hai ricavato dei soldi, voti per uscire”. Decenni di declino economico avevano prodotto il desiderio di attaccare le élite governanti e il voto della Brexit forniva un’ottima opportunità per farlo.

Donne e bambini siriani alla stazione di Budapest. (Foto da Wikipedia)
Inoltre, c’è stata perfino una ricerca accademica che dimostra l’ovvio, cioè che gli atteggiamenti razziali sono influenzati dalle difficoltà economiche, il che fornisce terreno fertile per la crescita di partiti estremisti.
Lo stesso si può dire per gli Stati Uniti, ovviamente, poiché la vittoria di Donald Trump è stata fondata in gran parte sul suo appello agli elettori che si sentono lasciati indietro dalla globalizzazione e lasciati fuori da un sistema politico che ha favorito quelli in cima. Il sentimento razzista e anti-immigrante è chiaramente presente, ma il margine decisivo di Trump è venuto da settori della popolazione come i lavoratori sindacalizzati della Rust Belt, non dai Confederati del Sud.
Per quanto riguarda la Germania, la questione è dov’è l’impulso per l’aumento delle forze politiche anti-sistema, al di là della spiegazione standard che riguarda l’immigrazione e le questioni sociali di destra. Con un paese considerato così economicamente florido, la spiegazione non convince.
Un’analisi accurata, tuttavia, chiarisce che ci sono anche lì i presupposti per una rivolta degli elettori basata sulle difficoltà economiche. In primo luogo c’è la parte orientale del paese, l’ex “Repubblica Democratica Tedesca“, appartenuta al blocco comunista dominato dall’Unione Sovietica. Nonostante i discorsi su quel grande successo fatti negli anni successivi alla riunificazione tedesca, la realtà è che gran parte dell’industria nella parte orientale è stata cannibalizzata dalle aziende occidentali, e che un grande segmento della popolazione vive con i sussidi.
L’economia dell’ex paese comunista era ovviamente inefficiente e richiedeva l’ammodernamento, ma l’approccio adottato dall’Ovest era quello di chiudere e vendere tutto ciò che era disponibile, lasciando l’Oriente in un perpetuo stato di inferiorità.
Le relazioni annuali pubblicate dal governo tedesco mostrano l’esistenza di disparità significative tra le due aree del paese, con disoccupazione più elevata, salari inferiori e meno investimenti in Oriente. Anche la proprietà e il controllo della notevole capacità industriale della Germania rimangono principalmente in Occidente.
Sfruttare i disoccupati
Un secondo fattore importante è il sistema delle riforme del mercato del lavoro e dello stato sociale introdotte in Germania negli anni duemila. La più famosa è la legge “Hartz IV”, che prevede un sussidio di disoccupazione di soli 280 euro (330 dollari) al mese e costringe le persone ad accettare qualunque lavoro sia offerto, anche a soli 1-2 euro all’ora.
Le aziende tedesche hanno ricavato molti vantaggi da questo sistema, che consente loro di sfruttare un lavoro estremamente economico e flessibile. I critici indicano nel contributo di questo fattore, anche se certamente non l’unico, il grande successo dell’industria tedesca in Europa.
Per i sei milioni di cittadini intrappolati nel sistema però, le cose non vanno così bene. Intere aree sono chiamate “quartieri Hartz IV” e indicano diffuse difficoltà socioeconomiche tra la popolazione locale. Se aggiungiamo l’alto livello di “lavoratori poveri”, una categoria che ha raggiunto il 9% della popolazione in Germania, diventa chiaro dove i movimenti populisti possono cercare i voti sulle questioni economiche.
Ciò che spaventa le élite in Europa è che quei partiti politici critici con le politiche economiche dell’Unione europea possano arrivare al potere, grazie al sostegno di questi segmenti della popolazione. L’Unione Europea è giustamente associata con le politiche monetariste e neo-liberiste che hanno contribuito a produrre una maggiore disuguaglianza, provocando così difficoltà per molte popolazioni in tutta Europa.
Alla fine, l’Olanda, la Francia e la Germania per quest’anno riusciranno a tenere i partiti populisti fuori dal governo. (L’Italia voterà nel 2018 e il Movimento 5 stelle è ancora in lizza per diventare il primo partito). Il rischio è che le élite europee possano cogliere questa opportunità per continuare con le loro politiche neo-liberiste degli ultimi anni, che in ultima analisi potranno solo peggiorare la situazione.
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Articolo di Andrew Spannaus apparso su Consortiumnews il 21 settembre 2017
Traduzione in italiano di Cinzia Palmacci per SakerItalia
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