Per molti anni la cancelliera tedesca Angela Merkel è stata considerata, a ragione, la donna più potente del mondo [in inglese]. Tuttavia, negli ultimi mesi l’autorità della Merkel è diminuita precipitosamente, principalmente a causa della sua irrazionale politica sull’immigrazione. Questo è diventato evidente nel summit dell’UE sull’immigrazione dello scorso fine settimana [in inglese].

L’incontro è stato frettolosamente convocato su insistenza della Merkel [in inglese] perché venisse sviluppata una strategia europea comune per affrontare l’assalto in corso dei migranti. In realtà doveva essere un’“Operazione Salvate Mutti” [in tedesco, “mammina”, il soprannome col quale la Merkel è nota in patria sia tra i sostenitori che tra i detrattori]: un mezzo per prevenire il collasso del suo governo, dimostrando che l’Unione può sviluppare una strategia sull’immigrazione più dura. Il suo obiettivo era quello di alleviare la pressione dell’Unione Cristiano-Sociale (CSU) – partner bavarese dell’Unione Cristiano-Democratica (CDU) – che aveva minacciato di abbandonare la coalizione di governo a meno che non accettasse di porre fine alla sua politica delle porte aperte. Il leader della CSU Horst Seehofer aveva minacciato di dimettersi da ministro degli interni della Germania, a meno che la Merkel non avesse accettato di negare l’ingresso ai migranti che avevano presentato richiesta di asilo altrove nell’UE, costringendo potenzialmente a elezioni anticipate in cui Alternativa per la Germania (AfD) [in inglese] avrebbe probabilmente aumentato i suoi voti.

“Non si tratta di se la Signora Merkel rimarrà Cancelliere la settimana prossima o no”, ha dichiarato Xavier Bettel, primo ministro lussemburghese, uscendo dall’incontro a Bruxelles. Senza volerlo (o forse mendacemente), ha scoperto gli altarini. In effetti, il vero obiettivo del summit era quello di placare i detrattori interni della Merkel, ma il compito si è rivelato troppo arduo. L’ex mediatrice di potere europea è stata ridotta a mendicare un’apparenza di unanimità su una questione chiave che ha diviso l’UE e ha reso irriconoscibile il panorama politico dell’Europa.

L’accordo di Bruxelles si limita a chiedere ai paesi membri di accettare volontariamente i migranti in nome della “solidarietà” e di stabilirli in “centri di elaborazione” (non chiamateli “campi”, per favore!). Non dice dove si troverebbero quei centri, come sarebbero organizzati, o dove andranno alla fine i richiedenti asilo rifiutati. Propone inoltre la creazione di “piattaforme di sbarco” nei paesi extra UE, per scoraggiare gli africani e altri dall’attraversare il Canale di Sicilia. Sono passati alcuni anni luce dai precedenti inviti della Merkel ad una “soluzione europea comune” che avrebbe comportato quote obbligatorie di reinsediamento, e quindi facilitato la creazione di aree interdette basate sulla Shari’a nei paesi dell’Europa centrale finora non influenzati dalla jihad demografica.

Il piano è un pasticcio senza senso. Per cominciare [in inglese], la Libia, l’Algeria, la Tunisia, il Marocco e l’Egitto hanno già annunciato che non collaboreranno alla creazione di centri di elaborazione dei migranti sul loro territorio; in realtà potrebbero cambiare idea, ma solo se i loro leader venissero incoraggiati con miliardi di euro di contribuenti principalmente tedeschi. I quattro di Visegrád (Ungheria, Polonia, Boemia e Slovacchia) sono fermamente convinti che non accetteranno un singolo migrante, volontariamente o sottoposti al sistema obbligatorio di quote UE precedentemente proposto dalla Merkel. Il nuovo governo italiano sovranista è scettico: i suoi leader osservano che non esiste un accordo vincolante e che gli accordi “volontari” dell’UE falliscono invariabilmente. A prescindere dai termini operativi [in inglese], “l’accordo mette in luce il viaggio della Merkel dal sostenere Wir schaffen das [possiamo farlo] al gestire un governo con un approccio sempre più severo sulle migrazioni”. La sua conversione forzata è però solo tattica. Rimane, in qualche modo inspiegabilmente, una fanatica della sostituzione etnica; ma ha esaurito le opzioni buone per mantenere il vecchio consenso.

Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, il cui paese ha assunto la presidenza semestrale dell’UE il 1° luglio, afferma che proteggere i cittadini europei – non mostrando “solidarietà” e “compassione”, secondo la retorica standard della Merkel – è rimasta la massima priorità del blocco: “Abbiamo bisogno di un cambio di paradigma nella nostra politica migratoria. Dobbiamo concentrarci maggiormente sulla salvaguardia delle nostre frontiere esterne come precondizione per un’Europa comune senza frontiere”. Un mese fa Herr Kurz e il suo omologo danese Lars Løkke Rasmussen hanno suggerito di inviare i richiedenti asilo respinti in campi all’interno dell’Europa, ma al di fuori delle frontiere dell’UE. (Aggiungiamo che questo piano non risolverà nulla a lungo termine, dato che la maggior parte dei migranti rimarranno a poche ore di viaggio dal cuore dell’UE, dove desiderano arrivare – e potrebbe avere conseguenze catastrofiche [in inglese] per i paesi non UE nei Balcani).

Il cerchio tra le visioni di Merkel e Kurz non può divenire un quadrato. Nel 2015 la politica della “porta aperta” della Merkel ha invaso la Germania con oltre un milione di clandestini non assimilabili, disoccupati, spesso ostili e inclini al crimine, molti dei quali giovani Musulmani del Grande Medio Oriente. La loro presenza ha drasticamente ridotto la qualità della vita di milioni di tedeschi, ai quali non era mai stato chiesto se supportassero l’afflusso. L’ascesa di AfD riflette uno spostamento tettonico nella politica del paese. Anche all’interno della CDU della Merkel, il Cancelliere Kurz (31 anni) è visto da molti come il modello per una nuova generazione di leader che potrebbe voltare pagina, dopo decenni di tiepido centrismo, il fallimento nell’assecondare il multiculturalismo e il peggior risultato elettorale dello scorso anno dal 1949.

A est della Germania, Viktor Orbán a Budapest, Jaroslaw Kaczyński a Varsavia, e i loro colleghi meno noti ma fermamente convinti a Praga e Bratislava, hanno tutti i motivi per divertirsi, dato che la loro posizione sull’immigrazione è stata rivendicata da paesi diversi come l’Italia, l’Austria, la Slovenia e la Danimarca. Gli equilibri di potere in Europa si sono spostati, in modo irreversibile, lontano dal consenso liberale della Merkel che governava il Vecchio Continente solo due anni fa. Si può perfino scommettere che la Leaderin non rimarrà al timone per i tre anni restanti del suo quarto mandato senza precedenti. È quasi certo che non correrà di nuovo per il più alto incarico tedesco. Con suo dispiacere, milioni di europei – tedeschi inclusi – stanno riscoprendo l’importanza vitale dell’identità e della coesione basate su discendenza e cultura condivisa. Il discorso a Bruxelles non ha raggiunto questa nuova realtà, ma nella pienezza dei tempi lo farà.

Come ho fatto notare su queste pagine nove mesi fa [in inglese], l’esperimento sui migranti del 2015 di Merkel è stato un massiccio esercizio di ingegneria sociale senza precedenti, degno di simili orrori nazionalsocialisti e comunisti. Non a caso i sopravvissuti del totalitarismo rosso nell’ex Repubblica Democratica tedesca e i loro discendenti votano per l’AfD in massa. Non sorprende inoltre che gli ex paesi del blocco sovietico del gruppo di Visegrád rimangano solidamente uniti in difesa della sovranità nazionale e della coesione. Loro riconoscono gli idioti motivati ideologicamente quando li vedono, e sono in grado e disposti a resistergli. Il più grande contributo della Merkel alla storia dell’Europa potrebbe essere che con il suo bullismo suicida ha costretto milioni di edonisti altrimenti compiacenti a svegliarsi. Angela delenda est.

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Articolo di Srdja Trifkovic pubblicato su Chronicles Magazine il 5 luglio 2018.

Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.

[le note in questo formato sono del traduttore]

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