– Marco Bordoni –
Si sa che la demografia è una materia discretamente esplosiva, e che, mentre tutti sono d’accordo sui dati storici, esistono sempre differenze di interpretazioni sulle proiezioni. Il che è perfettamente normale, visto che le proiezioni dipendono largamente da fattori economici, politici e sociali naturalmente imponderabili. Tuttavia anche lavorando sui soli dati storici è possibile rappresentare in maniera fedele alcune tendenze in atto, specie quelle meglio consolidate. Purtroppo questo lavoro viene proposto raramente dei maggiori mezzi di informazione, che talvolta divulgano i dati diffusi dai ricercatori, ma raramente li contestualizzano in modo da consentire all’ uomo della strada di farsi una idea precisa di quello che sta succedendo. La demografia resta quindi una materia riservata agli addetti ai lavori, che il pubblico ignora quando non guarda con diffidenza.
Un esempio per tutti. Recentemente i giornali ci hanno informato del fatto che nel 2013 il numero di nuovi nati in Italia ha toccato il minimo storico (e per storico si intende dal 1861 ad oggi) di 514.000, di cui 80.000 figli di coppie straniere. Che cosa significa esattamente questo indicatore, oltre al fatto, immediatamente comprensibile, che nascono pochi bambini? Vediamolo nel dettaglio esaminando quattro importanti fattori: la popolazione residente, il tasso di fecondità, l’immigrazione e l’aspettativa di vita alla nascita.
La popolazione residente. Dal 1861 ad oggi la popolazione residente nel paese è quasi triplicata (da 22 milioni del 1860 a 61 milioni del 2013). La tendenza espansiva è stata praticamente continua, anche se dagli anni settanta in poi si è registrato un certo rallentamento.
Questo prima dato parrebbe rassicurante, e tuttavia, grattando sotto la superficie, ci accorgiamo facilmente che qualcosa non va. Si pensi, per esempio, che nel 1861, con una popolazione residente di 22 milioni, in Italia nascevano 946.000 bambini[1]. Impressionante il confronto con il 2013, anno in cui, come accennato, una popolazione di 61 milioni (il triplo) ha prodotto 514.000 nuovi nati (poco più della metà).
Secondo dato: nel decennio 2003 – 2013 il paese ha registrato un ingresso costante di almeno 300.000 stranieri l’anno, con una punta di oltre 500.000 nel 2007, flusso che ha inciso ovviamente sul numero di residenti. Infine: l’aspettativa di vita alla nascita è passata da circa 70 a circa 82 anni dal 1970 ad oggi.
Il dato complessivo sulla popolazione residente va quindi integrato dall’analisi degli altri indicatori.
Il Tasso di Fecondità. Il tasso di fecondità rappresenta il numero di figli per ciascuna donna nel paese. Il parametro per valutare la bilancia demografica di un paese è il valore di sostituzione, ovvero il numero di figli necessari a garantire una bilancia demografica in pareggio. Questo valora è la costante universale di 2,1: se un paese lo supera la popolazione ha tendenze epansive, se non lo raggiunge si va verso una contrazione demografica. Le statistiche dell’Italia mostrano che il paese è sceso sotto il tasso di sostituzione nel 1977, e dal 1984 è stabilmente sotto il valore di 1,5, un livello che non solo non evita il declino demografico, ma annuncia quasi certamente che la caduta sarà traumatica.
Analizzando lo stesso grafico ci rendiamo conto che dopo avere registrato un minimo storico nel 1995 (1,18) negli anni seguenti si è registrata una lieve ripresa fino all’1,44 del 2011, ripresa seguita poi da un nuovo regresso (1,39 nel 2013). Cerchiamo di capire quali siano le conseguenze di questi numeri. Nel 1995 si sono avute 526.000 nascite. Una completa sostituzione generazionale ne avrebbe richieste 928.000. In sostanza in quell’anno la popolazione ha registrato un passivo di 402.000 nati. Nel 2011 (il miglior tasso di fecondità degli ultimi 30 anni) le nascite sono state 546.000, a fronte di un valore necessario al ricambio di 796.000, con un saldo negativo di 250.00. E così via.
Sotto il profilo demografico il periodo 1985 – 2000 è stato negativo anche per altro verso. Essendo situato ad una distanza di 25 – 30 anni dal baby boom del dopoguerra (1960 – 1975) sarebbe stato legittimo attendersi in questa finestra temporale una inversione della tendenza negativa del decennio 1975-1985. Essendoci più donne che giungevano all’età fertile la dinamica avrebbe dovuto essere naturalmente espansiva. Al contrario, il crollo del numero delle nascite, invece di contrarsi, si è accelerato, come mostrato dal grafico sul numero complessivo dei nati.
Va poi considerato che a partire dal 2000 il flusso migratorio (di cui ci occuperemo nel prosieguo) ha iniziato a contribuire in maniera massiccia alle nuove nascite (nel 2012 i nuovi nati di origine straniera sono stati quasi il 20% del totale a fronte di una popolazione straniera pari all’ 8 % dei residenti): va quindi tenuto conto del fatto che, scontato il contributo degli stranieri residenti, anche il modesto miglioramento del periodo 1995 – 2013 viene quasi ad azzerarsi.[2]
L’immigrazione. Durante tutto il periodo 2002 – 2013 l’Italia ha ricevuto un flusso migratorio consistente. Al 1 gennaio 2014 gli stranieri erano quasi 5 milioni (a fronte di 1.300.000 del 2001), numero pari, come detto, a circa l’8% della popolazione residente[3]. Se teniamo conto del fatto che nello stesso periodo si è registrato una aumento della popolazione residente da 57 a 61 milioni i conti sono presto fatti: l’aumento di popolazione è da attribuirsi integralmente all’ immigrazione.
Se esaminiamo la struttura dell’immigrazione per classi di età notiamo che la maggioranza degli immigrati (priamide a destra) ha fra 25 e 35 anni. Ne deriva che la loro data di nascita si posiziona fra 1980 ed il 1990, ovvero il periodo “nero” della demografia nazionale. Sotto questo profilo l’immigrazione è talmente congeniale alle nostre esigenze di popolamento che ci si potrebbe quasi chiedere sino a che punto venga subita dal nostro sistema e sino a che punto sia la nostra stessa struttura sociale e demografica ad “attirarla”. Non è però questo il punto che intendiamo sottolineare in questa sede.
Sostituire le nascite con immigrazione presenta vantaggi e svantaggi. I vantaggi risiedono nell’alleggerimento del passivo demografico e nei risparmi di spesa che si realizzano sollevando il bilancio dai costi di formazione della popolazione immigrata, istruita a spese dei paesi di provenienza. Gli svantaggi vanno oltre le intuibili problematiche create dalle tensioni culturali e sociali indotte dall’immigrazione ed al drenaggio di ricchezze inviate all’estero sotto forma di rimesse: gli immigrati, infatti, sono generalmente meno radicati nel territorio degli italiani e quindi la loro presenza è più volatile. Con l’arrivo della crisi economica il numero di stranieri che hanno abbandonato il paese è salito da 28.000 (nel 2010) a quasi 44.000 (nel 2013).[4] Inoltre gli stranieri, incontrando sbarramenti normativi e culturali, non riescono sempre ad esprimere la loro formazione tecnica ad un livello adeguato, con conseguente scadimento della qualità complessiva della forza lavoro.
Invecchiamento della popolazione. Al netto dell’immigrazione quindi, la popolazione italiana non cresce, come peraltro evidenziato da un saldo demografico ormai stabilmente negativo. La classe di età più rappresentata della nostra popolazione è 45-50 anni (grafico superiore, piramide di sinistra). Peraltro l’invecchiamento è confermato dal numero dei decessi, ormai stabilmente superiore a quello delle nascite.
Tuttavia esiste un altro fattore che falsa la statistica: l’aumento dell’aspettativa di vita alla nascita e dell’età media. Cerchiamo di spiegarci con un esempio. Se tutti i clienti di un ristorante incominciano ad occupare il tavolo per un’ora invece che per mezz’ora senza ordinare nulla in più il locale sembrerà avere il doppio degli avventori, ma nella realtà gli incassi saranno identici. Qualcosa di simile sta avvenendo nelle dinamiche demografiche del paese. Due donne nate nel 1900 con una aspettativa di vita di 40 anni hanno lasciato la stessa impronta demografica sulla popolazione nazionale di una sola donna nata nel 1980 con una aspettativa di vita di 80 (sotto il profilo dell’entità della popolazione residente). Questo è il motivo per cui non solo le nascite, ma anche l’allungamento della aspettativa di vita determina un aumento del numero di residenti. Ma mentre le nascite garantiscono un ricambio generazionale, l’invecchiamento, in assenza di un allungamento dell’età fertile, non ha gli stessi effetti espansivi. L’aumento dell’aspettativa di vita (del 15% dal 1970 ad oggi) produce quindi il paradosso di un aumento proporzionale della popolazione residente senza che sia aumentato il numero dei nati.
All’inizio di questo studio abbiamo detto che le proiezioni demografiche sono ingannevoli. E tuttavia, derogando per una sola volta ai nostro propositi, se esaminiamo lo scenario centrale tracciato dall’Istat[5] vediamo profilarsi, nei prossimi 30 anni, una situazione in cui oltre un terzo della popolazione potrebbe essere composta di ultrasessantacinquenni (oggi sono circa il 20%).
Una prima sintesi. Procedendo ad una sintesi dei dati esposti possiamo dire che negli ultimi 30 anni la popolazione residente in Italia ha conosciuto un aumento di circa 4,5 milioni, grosso modo pari all’immigrazione ricevuta. In questo periodo il tasso di fertilità si è mantenuto stabilmente sotto il tasso di sostituzione e quindi sono “mancati” nuovi nati per 9 – 12 milioni. Nello stesso periodo l’aspettativa di vita è cresciuta tanto da occultare l’assenza di nuovi nati, con il risultato netto che, a fronte di un aumento nominale della popolazione, la struttura demografica vede allargarsi al suo interno una vera a propria voragine, che rischia di compromettere seriamente il futuro della nazione e la sua stabilità economica e sociale. Ovviamente questa è una lettura molto rudimentale di dati e dinamiche estremamente complessi, ma crediamo che rappresenti un problema primario. Prima di trarre delle conclusioni vorremmo ora esaminare l’esperienza di un paese, la Federazione Russa, che sta fronteggiando una emergenza simile a quella italiana.
Il caso russo. Sotto molti aspetti le dinamiche demografiche russe sono assimilabili alle nostre. In queste pagine abbiamo parlato del caso russo in un recente articolo, di cui ci limiteremo a richiamare i passi più significativi. Rispetto all’Italia, il crollo del tasso di fertilità russo è più recente (anni novanta in Russia, il decennio ’75 – ’80 in Italia).
Anche la Russia, come l’Italia, ha colmato i vuoti creati da una situazione demografica emergenziale con l’immigrazione. Nel 2013 gli stranieri residenti in Russia erano oltre 11 milioni (cui devono aggiungersi diversi milioni di immigrati clandestini). Niente male per un paese, in cui, secondo il Presidente americano Obama, “nessun immigrato si trasferisce in cerca di opportunità”[6].
Infine: anche in Russia, come in Italia, l’aspettativa di vita ha ripreso a crescere, dopo il crollo seguito dissoluzione dell’Unione Sovietica, con l’illustrato effetto di “mascheramento” delle dinamiche demografiche.
Queste notazioni esauriscono le somiglianze, obbligandoci a dare conto delle diverse differenze. In primo luogo l’immigrazione russa è composta per oltre la metà da russi residenti nelle repubbliche già facenti parte dell’Unione Sovietica, mentre per l’altra metà si tratta comunque di persone che hanno una buona conoscenza della lingua e della cultura russa, venendo dal cosiddetto “mondo russo”. La Russia, poi, possiede istituzioni proprie di uno stato multietnico e multiconfessionale e quindi ha in ogni senso meno difficoltà ad integrare gli immigrati (anche se, ovviamente, le dinamiche migratorie interne e internazionali non mancano di suscitare tensioni, specie nelle grandi città). In terzo luogo, come visto, la crisi demografica russa è meno cronicizzata e appare più legata a fattori congiunturali (il collasso degli anni novanta) che a tendenze culturali di lungo periodo.
L’elemento comunque che appare decisivo è l’inequivoca volontà dello Stato di sostenere la dinamica demografica del paese.
Questa volontà si esprime almeno su due livelli: a livello di “discorso pubblico” viene riconosciuto alla famiglia il ruolo di unità basilare dello stato e la cittadinanza la percepisce come un “valore” cui le persone sono invitate ad accostarsi. Lo stato non si disinteressa delle scelte private dei cittadini ma, senza sanzionare quelle incompatibili con le proprie finalità, premia e promuove quelle che invece le assecondano. Veniamo quindi al secondo livello di intervento, ovvero il sostegno economico. Sin dal 2005 lo stato sostiene le famiglie che decidono di avere i figli successivi al primo con la costituzione di un “capitale materno”, un tesoretto del valore di circa € 10.000,00 vincolato ai bisogni del bambino da erogarsi a partire dal terzo anno di vita (si tratta di una somma ragguardevole, specie nelle vaste zone del paese in cui il costo della vita è decisamente inferiore a quello in Italia).
Questa politica sta producendo risultati molto interessanti: in particolare nel decennio 2004 – 2014 il tasso di fertilità si è portato da 1,3 a 1,7, il valore più alto dell’est Europa, tale da fare sperare in un assestamento della popolazione ed in un migliore assorbimento del perdurante flusso migratorio. In conseguenza di questo mutato clima il saldo della popolazione residente è tornato in attivo dopo anni di continuo calo. Se è prematuro affermare che i problemi demografici della Russia siano oggi risolti, non è però fuori luogo dire che il governo del paese ha imboccato la strada giusta.
Conclusioni. La questione demografica, un problema rimosso. Tornando al caso italiano crediamo che dalle poche considerazioni esposte emerga con una certa evidenza che il panorama demografico nazionale è assai preoccupante (si veda la “prima sintesi”). Da oltre 30 anni il tasso di fecondità è inferiore non solo al valore di sostituzione (2,1) ma anche a quella soglia di 1,5 che potrebbe farci sperare in un decremento non traumatico. La debolezza delle dinamiche demografiche interne accresce le difficoltà a integrare il contributo degli elementi stranieri, che oggi i numeri ci mostrano come indispensabile.
Riteniamo assai preoccupante che l’argomento delle dinamiche demografiche sia completamente rimosso dal dibattito pubblico nel paese, anche perché l’assenza di dibattito provoca, in questo caso come molti altri, una decisione inconsapevole. Ciascuno è libero di suicidarsi o di vivere, ma fermarsi a riflettere sul da farsi in una casa in fiamme equivale, nella sostanza, a scegliere il suicidio. E’ urgente, a nostro avviso, mettere la questione al centro del dibattito, così come è avvenuto in Russia a metà del decennio scorso.
Gli argomenti su cui confrontarsi sarebbero due: prima di tutto si dovrebbe dibattere se una popolazione almeno stazionaria sia un valore da perseguire. La risposta non è affatto scontata come appare. Decidere che la maternità e la paternità sono un valore per lo stato implica una presa di posizione etica e culturale che incontrerà non poche resistenze.
In ogni caso questo argomento dovrebbe occupare una posizione centrale nel confronto nazionale e la decisione finale, qualsiasi fosse, dovrebbe essere consapevole e non compiuta semplicemente ignorando le tendenze in atto.
La seconda questione da risolvere è quale sia il massimo calo compatibile con la tenuta del sistema economico sociale complessivo. Ovviamente questa valutazione dovrebbe tenere conto dell’opinione degli esperti. In ogni caso appare chiaro che il protrarsi a tempo indefinito di un tasso di fertilità nell’ordine di 1,1 – 1,4 colmando le voragini di popolazione che si creano con immigrati e anziani, significa scommettere tutto su di una dinamica economica espansiva che, per usare un eufemismo, non sembra affatto scontata.
[1] http://www.istat.it/it/files/2011/03/sommariostatistichestoriche1861-1965.pdf
[2] file:///C:/Users/marcobordoni/Desktop/Stranieri%20residenti%20in%20Italia%20-%2026-lug-2013%20-%20Testo%20integrale.pdf
[3] http://demo.istat.it/strasa2014/index.html
[4] http://www.demo.istat.it/altridati/trasferimenti/seriestoriche/tavola4_serie.pdf
[5] http://www3.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20080619_00/testointegrale20080619.pdf
[6] http://www.economist.com/blogs/democracyinamerica/2014/08/economist-interviews-barack-obama-2
Crollo delle nascite = crollo della voglia di vivere, o meglio dire l’opposto dell’equazione medesima.
Ovvio, in un paese USAto come esperimento sulla distruzione sistematica di un popolo attraverso l’annichilimento della sua identità e dei suoi usi e costumi per ben 7 decenni continui, fino al totale trabocco della delinquenza e delle mafie anche a livello istituzionale, che sono causa di recessione,
associate alle grasse speculazioni inflazionistiche delle lorde caste sioniste in trust per il dominio.
La distruzione sistematica della personalità individuale mediante la scuola, i massmedia e le leggi antigiustizia costantemente emanate per incrementare il caos socio-economico in atto, ha ormai condotto l’Italia intera ai suicidi famigliari ed individuali (530 imprenditori in un solo anno) per sole ragioni economico-fiscali, ciò con il beneplacido assassino delle istituzioni inerti ed anzi colpevoli, avendo favorito ogni sorta di crimine, compresa l’espansione della droga e di ogni malcostume.
L’essere umano non è un numero per fare statistiche ed ipotizzare con esse estrapolazioni future,
ridotto a questa condizione non è più neanche galeotto o un animale da cortile, bensì un androide,
pertanto il crollo delle nascite è stato ben orchestrato proprio da chi in numeri e statistiche marcia.
Bravissimo Angelo,
cinque milioni di aborti e figli ricercati a qualsiasi costo nelle provette e in capo al mondo.
Politiche contro il liceo classico per indurci a diventare camerieri teledipendenti,
distruzione del lavoro,
morte dell’Europa.
si, ma teniamo conto che di solito i figli si fanno laddove sono una risorsa. Se diventano un costo se ne fanno meno. Quando ero piccolo in famiglia lavorava solo mio padre e manteneva 4 persone. Mia madre badava ai figli e alla casa. Il clima era di fiducia e tutti si aspettavano costanti miglioramenti.
Non è vero. In Germania, Austria, Paesi Bassi e Giappone economicamente stanno molto meglio di noi così come lo Stato è maggiormente presente e le donne lavorano più che in Italia, ma di figli ne fanno come noi o meno di noi. Prima dell’aspetto economico è una problematica culturale.
Intuitivamente ritengo che pensare, anche solamente, di mantenere invariato l’ attuale livello di popolazione sia una pazzia.
La prova è l’ impossibilità dell’ Italia di creare nuova reale ricchezza, ma lo stesso discorso vale per tutto l’ Occidente.
L’ attuale sistema capitalistico basato sulla idea della crescita continua, è ormai arrivato al capolinea per il semplice fatto che cinesi, russi, indiani ecc. vogliono e ormai perseguono lo stesso obiettivo.
Un ulteriore prova sono le lotte per l’ accaparramento di risorse e rotte commerciali di altri paesi mascherate sotto forma di ” rivoluzioni colorate “, ” esportazioni di democrazia” ed altri eufemismi per nascondere ciò che sono realmente: colonialismo.
Ci si deve chiedere se per mantenere un certo livello demografico sia accettabile un capitalismo sfrenato che per difendere le sue posizioni predica la riduzione dei salari, l’ aumento delle ore lavorative, la riduzione dei diritti sociali e di quelli civili, la guerra e l’ invasione di altri paesi.
L’ idea che ci deve guidare non deve essere quella della sopravvivenza, anche perchè in realtà questa non è minacciata, ma quella dell’ evoluzione individuale e sociale dell’ essere umano: non si torna indietro su queste conquiste.
Con un po’ di sano egoismo si puo’ dire che il capitalismo ci è andato bene e ha funzionato fino ad un certo punto, ma adesso si volta pagina, cambiamo sistema!
Perchè non evolviamo più. ma involviamo.
E’ chiaro che un cambio di sistema non puo’ essere repentino e non puo’ coinvolgere tutti i paesi: andate in questo momento a convincere i cinesi che il capitalismo è un vicolo cieco, non è francamente possibile.
Ma qualcuno deve incominciare, noi siamo pronti.
Su quale debba essere il nuovo sistema ognuno proponga il suo. Personalmente ritengo che la via tecnologica, diretta non ad un bieco consumismo ma alla risoluzione del problema della scarsità delle risorse insieme ad una società strutturata per assegnarne a tutti nella misura giusta siano la soluzione ideale.
In tutto ciò è fondamentale risolvere il problema demografico, siamo decisamente troppi, siamo una pressione insostenibile per il pianeta e le sue risorse anche se la tecnologia ne migliora lo sfruttamento.
Il capitalismo vuole aumentare la popolazione perchè cosi aumentano i consumatori e di conseguenza i profitti, e quando questa non aumenta cerca di creare falsi e inutili bisogni che però rendono l’ uomo schiavo ed incapace di evolvere veramente.
Far calare la popolazione è vitale, va fatto gradualmente accettando alcuni svantaggi iniziali inevitabili; mi riferisco all’ invecchiamento della popolazione e al dover accettare una certa immigrazione.
Fenomeni che vanno gestiti nel primo caso ritardando l’ uscita dal lavoro degli anziani almeno per i lavori dove cio è possibile, tenuto conto che la vita media è più lunga, e compensando le carenze attraverso l’ accoglienza di stranieri contingentati per quelle che sono le reali carenze numeriche e professionali: senza troppi falsi buonismi; i poveri vanno aiutati nei loro paesi non sruttati nel nostro.
—,questi pennivendoli che si lamentano a causa della prudenza delle giovani generazioni nell’incrementare il tasso della natalità sono opinioni e come tali devono essere considerate!
Non hanno nessuna base scientifica ma solo ed unicamente una motivazione economica di alcune forze economiche che gestiscono il Sistema e che lo vedono in pericolo .Pericolo che non viene dalla diminuzione del tasso di fertilità( non siamo conigli, gli si dovrebbe far rilevare) ma che viene dalla consapevolezza nelle Nazioni che il Sistema attuale può sopravvivere solo sfruttando risorse(forze lavoro e materie prime) a basso prezzo che vuol dire operando (con guerre od altri mezzi) per ottenere e garantirsi un “vantaggio comparato” che è sempre in pericolo.Quando non potranno più ottenere Vantaggio ,di cui Ricardo spiegò come si ottiene, allora il Sistema potrà felicemente defungere e con esso gli strati sociali che opprimevano la moltitudine con metodi scientifici di dominio e timore.
“Il capitalismo vuole aumentare la popolazione perchè cosi aumentano i consumatori e di conseguenza i profitti…”
ma quando mai? se il capitalismo volesse davvero questo, adotterebbe delle politiche a favore della famiglia e delle nascite…cosa che non mi sembra stia facendo…
I capitalisti (ma mica sono solo i capitalisti a favore dell’immigrazione!) incrementano solo l’immigrazione perché gli fa comodo così: bassi salari, disponibilità di terroristi ed eventualmente di carne da cannone, nuovi elettori per il PD e partitacci simili in altri paesi e, probabilmente, anche per dare uno sfogo alle ansie consumistiche di questi immigrati che, a guardarli bene in faccia, non mi sembrano poi tanto denutriti e disperati…tutta gente che comunque potrebbe dare qualche problema all’interno dei propri paesi, quindi è meglio liberarsene e mandarli in europa.
Leggo poi nel commento anche cose tipo questa: “Far calare la popolazione è vitale, va fatto gradualmente accettando alcuni svantaggi iniziali inevitabili; mi riferisco all’ invecchiamento della popolazione e al dover accettare una certa immigrazione.
Fenomeni che vanno gestiti nel primo caso ritardando l’ uscita dal lavoro degli anziani almeno per i lavori dove cio è possibile, ”
Ma bene! aumentiamo ancora di più l’età pensionabile? Ancora non basta?
si dice anche: “compensiamo le carenze di popolazione attraverso l’accoglienza di stranieri contingentati”
Cioè prendiamo quelli che fanno comodo al capitalismo, per gli altri un calcio in culo!
Secondo me il calcio in culo va dato a tutti perché qui non siamo più di fronte a un normale flusso migratorio di gente che cerca (comprensibilmente e legittimamente) di migliorare la propria vita, qui siamo di fronte a un fenomeno epocale scientemente programmato e attuato dandolo in appalto alle peggiori mafie per i fini già detti.
Perciò è una pia illusione quella di credere di poter “contingentare” (bruttissima espressione da mercato delle vacche)
gli immigrati.
Poi tutta questa porcheria viene imbellettata con paroloni sul “capitalismo consumista e sfruttatore” … soros ringrazia vivamente!
L’unica forma di immigrazione accettabile è quella che avveniva prima: ogni tanto qualche pakistano, indiano, polacco e via dicendo decide di trasferirsi in europa per lavoro, preferibilmente avendo già in tasca un qualche contratto di lavoro…stop.
Niente barconi, niente navi militari che si prodigano (coi nostri soldi) di “salvare” i poveri immigrati gentilmente rifilatici da erdogan e mafie varie per soldi.
Niente processioni nei balcani con le televisioni che filmano le colonne di “poveri immigrati” e del papa che li benedice!
l’essere umano è una ricchezza non in quanto produttrice di valore, ma in quanto centro di emozioni, sentimenti, programmi, per cui dovrebbe essere compito di una società organizzata tutelare le persone, aiutandole dalla nascita alla morte. se in una società c’è chi può ingrassarsi senza fine, e chi muore di fame, per me c’è qualcosa che non va.
se questo si chiama capitalismo, il capitalismo è un male. la società vive grazie ai suoi individui, se questi individui non fanno più figli, è evidente che ciò si ripercuote sulla società, cioè la società sta morendo, in silenzio, ma muore, giorno dopo giorno, come se tutto ciò riguardasse qualcosa che sta lontano da noi, ciò accade, e non si percepisce che non si può rimanere inerti davanti a ciò.
come si può pensare di vivere una vita solo per se stessi senza avere figli/figlie, senza pensare che la mancanza di un ricambio generazionale porterà all’estinzione del genere umano.
ognuno sarà anche libero di fare ciò che vuole, ma non chiamatelo progresso.
gli immigrati dovrebbero essere accolti se c’è la possibilità di mantenerli in strutture decenti, chi ospiterebbe una persona per farla dormire nella cantina?
passeggiando nelle stazioni vedi uomini, donne, ubriachi, che dormono su cartoni, con accanto bottiglie di vino, questa si chiama libertà, civiltà?
le auto sono l’oggetto più pubblicizzato, come status simbol, i giornali più venduti sono i giornali sportivi, le telenovelas le partite di calcio, la formula 1 sono il riflesso della nostra società.