
Le ali spezzate – Dedicato alle V classi

Fiori di pietra – Dedicato ai 300 piccoli Rom lustracarpe

Il monumento di dolore e orgoglio

Le pietre addormentate
Per la memoria storica :
Kragujevac, Serbia, ex-Jugoslavia – 21 ottobre 1941
E’ un autunno freddo in quell’anno 1941 nella Sumadjia, la regione di cui è capoluogo la città di Kragujevac… in un breve lasso di tempo si trasformerà in gelido per i suoi abitanti.
L’occupazione nazifascista della Jugoslavia è in atto, e contemporaneamente comincia la lotta di liberazione e si formano i primi distaccamenti di patrioti e partigiani, che nella clandestinità avevano costruito una rete di combattenti sia nelle città che nelle campagne e sotto la cui guida, i popoli jugoslavi uniti, diedero vita ad una stagione di eroismi storici e sacrifici immani, ma vittoriosa.
Come raccontano i vecchi combattenti: “.. non appena una suola straniera ha calpestato la nostra terra, il nostro popolo ha cominciato la lotta di liberazione, senza indugi e senza dubbi, come sempre è stato dai tempi degli ottomani in poi, la consegna era lottare comunque.
Vincere forse, ma comunque lottare…”.
Quella mattina una delle tante rappresaglie (ma certamente una delle più feroci e atroci), che poi segnarono la storia quotidiana di quelle terre (non va mai dimenticato che, dopo il popolo sovietico, è stato il popolo jugoslavo ha pagare il tributo di sangue e di mutilati più alto, per la liberazione dell’Europa dal fascismo italiano e dal nazismo tedesco ), fu messa in atto in quella città, dove il rifiuto dell’occupante ed il patriottismo erano unica cosa e continuamente dimostrata in mille piccoli atti di ostilità verso gli occupatori.
Attorno la città di Kragujevac, vi sono una serie di colline: una di queste fu scelta come luogo per la rappresaglia, lì furono condotti con i camion, migliaia di cittadini presi con i rastrellamenti del 20 ottobre, prelevati nei posti di lavoro, nelle strade, nelle scuole: uomini, donne e bambini indistintamente, persino invalidi e ragazze incinte. Vengono sistemati in baracche e casette di legno, raggruppati a gruppi in attesa del loro turno di fucilazione, che avvenne in varie zone dove, in ciascun posto vennero poi costruiti, dopo la liberazione, i vari monumenti che ancora oggi formano quello che è chiamato il Parco della Rimembranza di Kragujevac.
All’interno delle baracche, vergati su muri, saranno poi ritrovati gli ultimi pensieri alle famiglie, messaggi di condannati a morte, che, come sempre in queste situazioni estreme, si rivolgono come un ultimo saluto: alcuni intrisi di disperazione, altri colmi di un senso di serenità finale quasi come atto liberatorio, altri come monito e grido di una battaglia che deve continuare. Altri sono sotto forma di auto riflessione sulla speranza, sulla vita, sul sole, sull’umanità, sulla fede, su padri o su figli che non si rivedranno mai più. Ancora oggi i visitatori trovano, su alcuni pannelli esterni al Museo le scritte lasciate, ormai sempre più sbiadite, sempre più illeggibili, perché il “nuovo corso”, non ha troppo interesse a mantenere e coltivare il patrimonio dell’antifascismo e del patriottismo: ideali su cui per oltre 50 anni le nuove generazioni venivano stimolate e indirizzate. Il 21 ottobre scolaresche da tutta la Jugoslavia venivano ogni anno portate sui luoghi della memoria, cercando di far mantenere le radici della propria storia, di condividere collettivamente i valori su cui altri ragazzi e ragazze, in altri tempi avevano perso il bene più prezioso, la vita.
Oggi sarebbe impresa non facile per questi nuovi governanti, che mentre il proprio popolo moriva e subiva il bombardamento della Nato nel 1999, loro leaders invitavano (dall’estero!) gli aggressori ad aumentarne l’intensità, in quanto era l’unico modo per staccarli dal precedente governo di unità nazionale, inviso ai padroni del mondo. E il caso ha voluto che il primo missile della Nato che cadde sulla città, centrò e distrusse proprio una delle baracche museo, uno dei tanti missili “intelligenti” che in quel caso non uccisero, ma nel proseguio dell’aggressione, uccisero e devastarono, soprattutto edifici civili, fabbriche come la Zastava, scuole e civili inermi, ma sempre con spirito “UMANITARIO”.
Una leadership che in questi anni ha provocato e favorito, con politiche devastanti e antipopolari il disfacimento morale e sociale in corso in quel paese, che era stato per decenni, un esempio di convivenza e progresso civili di popoli diversi, ma uniti.
Notare bene: ancora oggi l’unica repubblica multietnica e multiculturale è la Serbia, dove ancora oggi vi convivono, pacificamente 32 etnie diverse…eppure ci avevano raccontato in occidente che bisognava bombardare, distruggere, uccidere per poter riportare diritti, libertà, democrazia e multietnicità; come mi disse una donna di lì…”forse è solo tutto un terribile sogno…”.
In quel lontano 1941 ci vollero tre giorni, dal 21 al 23 ottobre per completare lo sporco lavoro: in quelle 70 ore furono oltre 7.000, c’è chi dice quasi 10.000 i fucilati ( il numero esatto non è mai stato possibile stabilirlo, anche perché i carnefici occuparono ancora per anni la terra jugoslava e certo non fecero l’elenco degli assassinii commessi).
L’UNESCO decretò Kragujevac Città Martire della Resistenza al nazifascismo.
Quando visitai la prima volta il Parco e ogni volta che ci ritorno anche solo per pochi minuti, provo una sensazione interiore profonda: è come se quel silenzio così gravido di storia, di sofferenze, di atrocità, provoca una situazione particolare che quasi costringe a raccogliersi con se stessi, con la propria anima. Perché una cosa che si nota è che chiunque si incontra passeggiando tra quelle pietre, quelle sculture sparse, bambini, adulti, anziani, camminano o chiacchierano sommessamente, senza alzare mai il tono della voce, come per non disturbare i propri martiri.
Ci sono due episodi che vorrei raccontare perché ritengo diano tutto il senso di quella tragedia,ma che rappresentano anche quanto fosse profondo e sentito nella stragrande maggioranza del popolo jugoslavo il sentimento e la coscienza della lotta antifascista e patriottica.
Il primo riguarda la toccante storia della classe di studenti prelevata mentre faceva lezione e il cui insegnante, decise di condividere la stessa sorte dei ragazzi mentre avrebbe potuto salvarsi e che quando il plotone d’esecuzione stava per fucilare i ragazzi, si mise tra essi e gli assassini di spalle, con il libro di testo in mano, al che l’ufficiale tedesco gli chiese cosa stesse facendo ed egli rispose : “…io sto facendo il mio dovere di uomo e di insegnante con i miei alunni, voi fate quello che dovete fare..”. E così cadde con i suoi ragazzi: a loro è dedicato il monumento detto delle “Ali spezzate”.
L’altro profondo episodio è quello dei lustrascarpe Rom: un piccolo Rom lustrascarpe si rifiuta di pulire gli stivali di un ufficiale tedesco che lo uccide per strada per l’affronto, dopodiché manda a prendere un fratellino del ragazzo, il quale si rifiuta e anche lui viene ucciso, allora si manda a prendere i familiari che rifiutandosi vengono fucilati. Giunta a quel punto la vera e propria sfida, vengono portati tutti i piccoli Rom che si trovano, chi si fosse rifiutato di lustrare gli stivali sarebbe stato ucciso, ma non uno di questi piccoli lustrascarpe accetta, così vengono condotti alla collina e fucilati tutti. 300 piccoli Rom uccisi …per DIGNITA’: a loro è dedicato il Monumento dei “ Fiori di pietra”.
Anche questo dovrebbe far pensare molti, sul perché il popolo Rom si è schierato e ha difeso la Jugoslavia contro i bombardamenti, l’unico posto dove era accettato e ha vissuto con dignità.
Questo è un pezzettino di storia, che sembra lontana in questo occidente opulento e corrotto, ormai quasi estraneo a certi valori, a certe profondità dell’anima, al concetto di dignità e identità nazionali, intesi soprattutto come valore profondo di libertà e indipendenza.
Eppure io credo che chiunque in questi ultimi anni di questa sventurata Serbia, sia stato là, e abbia potuto parlare e riflettere con qualcuno di questo popolo, che sia riuscito a condividerne dolori, speranze, attese, tradimenti, ha conosciuto anche un profondo e radicato senso generalizzato di umanità, solidarietà, amicizia, non in qualche persona ma come un bene e una cultura comune. Sono posti dove si piange, si soffre ma dove ancora si canta, si balla, ci si abbraccia…naturalmente, TUTTI INSIEME!
E questa è la SPERANZA che un giorno questo popolo, ritroverà le forze per rialzarsi in piedi anche materialmente e caccerà i propri traditori e gli asserviti agli interessi stranieri, che stanno massacrando e svendendo il paese e il popolo, che hanno svenduto anche la dignità nazionale, le radici e la propria storia, tutto ciò che non aggrada lo straniero “liberatore” della Serbia e della ex Jugoslavia, …tutto in perfetta sintonia con le vicende italiane. Ma fino a quando ?!
Fiaba cruenta
“ Avvenne in un paese di contadini, nella Balcania montuosa:
una compagnia di alunni, in un giorno solo morì di morte gloriosa.
Avevano tutti la stessa età, scorrevano uguali per tutti, i giorni di scuola
andavano alle cerimonie in compagnia, li vaccinavano tutti contro la stessa malattia.
E morirono tutti in un giorno solo.
Avvenne in un paese di contadini, nella Balcania montuosa :
una compagnia di alunni in un solo giorno morì di morte gloriosa.
Cinquantacinque minuti, prima che la morte se li portasse via
sedevano sui banchi di scuola, i ragazzi della piccola compagnia
E con lo stesso compito assillante :
andando a piedi, quanto impiega un viandante… e così via.
Erano pieni delle stesse cifre i loro pensieri,
e nei quaderni, dentro la cartella,
giacevano assurdi innumerevoli, i cinque e gli zeri…
Stringevano in tasca con ardore, una manciata di comuni sogni
di comuni segreti, patriottici e d’amore.
E ognuno, lieto della propria aurora, credeva di correre molto,
tanto ancora, sotto l’azzurro tetto rotondo
fino a risolvere, tutti i compiti di questo mondo.
Avvenne in un paese di contadini, nella Balcania montuosa :
una compagnia di alunni in un giorno solo morì di morte gloriosa.
File intere di ragazzi, si presero per mano
e, dall’ultima ora di scuola, si avviarono alla fucilazione
Calmi, col cuore forte, come se nulla fosse la morte.
file intere di compagni, salirono nella stessa ora
verso l’eterna dimora.”
( Desanka Maksimovic)
Come disse S. Pertini, l’unico partigiano presidente di questo paese chiamato Italia:
“ Ricordare è un dovere, dimenticare un delitto”
Torino 21 Ottobre 2017,
dedicato a tutti gli uomini e donne di Jugoslavia che hanno lottato, resistito, sfidato l’ordine mondiale imposto. Oggi sono caduti, offesi, umiliati ma la speranza è che un giorno insieme agli altri popoli resistenti, ritrovino la loro strada verso un futuro degno di essere vissuto e che si sono meritati.
E a quegli uomini e donne, fratelli e sorelle serbi e jugoslavi, che mi hanno onorato della loro stima e fiducia, del loro affetto, di cui sono fieramente orgoglioso.
Essi e questo fiero popolo, sappiano che per quanto sarà nel possibile:
“Nessuno è dimenticato, Niente è dimenticato “
*****
A cura di Enrico Vigna – Presidente Associazione “ SOS Yugoslavia- Kosovo Metohija” – Portavoce del Forum Belgrado per un Mondo di Eguali – Italia
Egregio Signor Vigna,
riporto questa sua frase: “Notare bene: ancora oggi l’unica repubblica multietnica e multiculturale è la Serbia, dove ancora oggi vi convivono, pacificamente 32 etnie diverse”. Ma Lei, c’è stato recentemente in Serbia? Intendo non in aereo, ma in macchina e a piedi, e non a Belgrado o in Kosovo (che era terra jugoslava, non dimentichiamolo), ma nei luoghi più sconosciuti? E’ stato a Novi Pazar, ultimamente? Una volta la regione si chiamava “Sangiaccato di Novi Pazar” oggi è diventato il “Califfato” di Novi Pazar. Ci vada, e poi ci sappia dire se le etnie convivono pacificamente. Lo slogan “Novi Pazar od smrt!” scritto dappertutto Le suggerisce forse un’idea di convivenza pacifica? La bandiera verde dell’Islam (che ai tempi della Jugoslavia NON C’ERA e glie lo posso assicurare perchè vivo giusto giusto sul confine di quella che una volta era la Cortina di Ferro e la Jugoslavia l’ho conosciuta bene) e ragazzi dagli sguardi truci, indottrinati dalle teorie salafite, secondo Lei, suggeriscono una convivenza pacifica? Dall’Islam moderato che vegetava fino al 1985 si è passati al wahabismo più intollerante, come ben si percepisce solo stando in strada a Novi Pazar e dintorni? Del fatto che la Serbia ortodossa, baluardo della cristianità, oggi si vede il radicalismo islamico estremo in casa propria e non può dire nulla? Della Serbia che di fatto termina al confine del Sangiaccato, ormai diventato un vero e proprio califfato? Dove proprio i rom di Novi Pazar erano conosciutissimi a Trieste perchè venivano apposta (anni ’70-80) a compiere furti e borseggi?
Grazie anticipate per un Suo cortese chiarimento.
Rita
Gentile Sig.ra Rita la ringrazio per la sua attenzione, io sono di origini jugoslave e la Serbia e il Kosmet ( con scorta armata, perchè non simpatico ai terroristi UCK oggi padroni della provincia) li frequento e li vivo/condivido costantemente da 18 anni, e non su internet o il web, o aerei, ecc.ecc, ma con le migliaia di famiglie che in questi 18 anni abbiamo sostenuto, aiutato e difeso. Anche sotto le bombe, come il sottoscritto, mentre tanti urlavano o aizzavano i propri compatrioti ( da entrambi i fronti a dire il vero) ma stavano al caldo e al sicuro delle proprie case. Concordo con lei circa Novi Pazar, una situazione estremamente difficile e delicata per i governanti serbi, già dai tempi di Milosevic, quando io parlo di convivenza e pacificità intendo che questa è l’unica possibilità per un futuro che non sia di un altra guerra sanguinosa e distruttrice. Ma le confermo che in Serbia a tuttoggi UFFICIALMENTE convivono 32 etnie diverse, in Italia per poche decine di migliaia di immigrati sui barconi, tutti hanno paura di perdere portafogli e benessere; cosa dovrebbe dire la Serbia che ha il 10 % della sua popolazione PROFUGA in casa propria? Per multietnicità io intendo non i terroristi kosovari o del salafismo del Sangiaccato ma le centinaia di migliaia di albanesi che da sempre hanno vissuto in Serbia, decine di migliaia scappati insieme ai serbi e rom dal Kosmet ( lei conoscerà senz’altro le migliaia di kosovari albanesi che hanno difeso insieme all’esercito serbo i villaggi con i Comitati di Autodifesa dei Villaggi, così come certamente saprà che i terroristi UCK hanno ucciso più albanesi kosovari che serbi), così come i musulmani delle “Unità Mesa Selimovic” in Bosnia, così come i rom a cui sono state bruciate migliaia di case e uccisi solo perchè ritenuti jugoslavisti o collaborazionisti dei serbi. Oppure le storie dei Goranci, dei turchi, degli egizi scacciati perchè jugoslavisti e quindi per equazione idiota, filoserbi. Io non sono nè un leader politico, nè un intellettuale, nè un fanatico di alcuna parte politica, etnica o religiosa, penso con molta umiltà, così come le migliaia di serbi disoccupati, malati di sclerosi, profughi, i nostri Padri ortodossi che sosteniamo nelle enclavi (…che durante i bombardamenti davano rifugio nelle chiese ortodossse a centinaia se non migliaia di albanesi o rom che scappavano dai criminali UCK) , le nostre vedove di guerra, le nostre madri dei serbi rapiti, che tutto quanto è successo è stato imposto da molto lontano e da un potere mondiale arrogante e cinico come quello statunitense e occidentale. Anche loro si dicono integerrimi e profondi paladini e baluardi della cristianità e dei grandi valori ( mi vengono in mente i paladini ultracristiani ustascia, i Monsignor Stepinac…), ma poi in Siria la difesa del paese vede cristiani, cattolici e ortodossi, musulmani sciiti e sunniti, alawiti, socialisti e comunisti, ecc. ecc. uniti per difendere prima di tutto la propria terra e la patria comune e poi ci sono le differenze tra loro. Io so solo che chiunque abbia conosciuto e vissuto la guerra e la violenza che essa genera, deve operare per cercare soluzioni che non alimentano odio e violenza, che portino verso una giustizia e la verità, cose che i serbi hanno in prima persona subito come popolo. Altro non sono in grado di fare e di dire, mantenendo la solidarietà concreta di questi 18 anni, ovviamente; anche perchè ritenendo il popolo serbo molto più avanti dei suoi tifosi o fan, spero che saprà col tempo trovare la sua strada per rialzarsi in piedi e riprendere il posto che gli compete nella storia. Come ha detto Putin ai giornalisti stupiti per l’inaugurazione della più grande moschea in Europa, costruita a Mosca nei mesi scorsi: “… io sono profondamente e convintamente ortodossso, ma sono anche il leader di un grande paese che ha 60 MILIONI di RUSSI musulmani, tra gli altri milioni di non ortodossi: fintanto che ogni cittadino russo rispetta le leggi, le regole di convivenza e il suo vicino, è nostro dovere e compito rispettare ciascuno e le proprie convinzioni, anche se non sono le mie…”. Per chi ignora le realtà basterebbe pensare alla Cecenia certamente genitrice di assassini e terroristi, ma anche e sopratutto fedele e stretta alleata della Russia “multietnica”, altrimenti avrebbero decine di milioni di ulteriori nemici interni, questi sì reali e non virtuali come è oggi la cosiddetta opposizione russa. E’ vero che per molti Putin è solo un “dittatore”, o un “nemico” ma io, con profonda modestia la penso come lui in questo caso; così come era la Jugoslavia, con tutti i suoi difetti ed errori che sono venuti allo scoperto tragicamente e che non ci sarà più.
Ringraziandola ancora per la sua attenzione e scusandomi per la lunghezza della risposta, la saluto cordialmente. Enrico Vigna
Gentile Sig. Vigna,
innanzitutto chiedo scusa per il ritardo con la quale rispondo al Suo post, in secondo luogo La ringrazio infinitamente per la Sua cortese ed esauriente risposta che tocca un’infinità di argomenti sui quali ci sarebbe da discutere per settimane intere e non in uno spazio limitato ad un post su questo pregevole sito, quindi non si scusi, anzi, ben venga avere la possibilità di esprimere compiutamente il proprio pensiero. Io Le scrivo da Trieste: ricordo benissimo, nel giugno del 1991, gli spari che sentivo appena al di là del confine in quella che stava diventando la ex-Jugoslavia, come ricordo tutto il disgregamento sociale al quale stavamo assistendo impotenti, le centinaia di profughi giunti qui per motivi, questi sì, gravissimi, non certo economici, e qui ben integrati ed assimilati (Trieste, come certamente saprà, ospita una nutritissima nonché storica comunità serba). A maggior ragione, durante il mio recente soggiorno in Serbia, in un contesto nient’affatto politico (raduno sportivo) mi ha turbato il sentirmi chiedere da un partecipante serbo: “Ma non siamo così cattivi noi serbi, vero?”. Il mio pensiero è corso immediatamente a quando vedevo i caccia americani partire da Aviano per andare a bombardare Belgrado, con contorno di grida di giubilo provenienti da una parte degli avventori friulani di una trattoria nei pressi della base USAF… In tutte e due le occasioni, mi sono vergognata di essere italiana. Sul punto delle “poche decine di migliaia di immigrati sui barconi” non posso, purtroppo, essere d’accordo con Lei, ritenendo questo non un fenomeno “naturale” ma pesantemente pompato da chi vuole, per l’appunto, distruggere l’idea stessa di Nazione. Lei cita l’esempio della Siria, Stato che con coraggio sta combattendo una guerra sanguinosa da oltre sei anni fomentata da attori sovranazionali e per meri interessi geo-politici nonché economici: il fatto che lo stesso esercito nazionale siriano sia composto da militari di tutte le fedi e idee politiche accomunati dal solo spirito di combattere per il sacrosanto “bene comune” e per lo Stato-Nazione che assicura loro diritti in cambio del rispetto dei doveri, dovrebbe essere portato a fulgido esempio a tutto il mondo. Purtroppo sembra che in Occidente la “multi etnicità” sia una scusa per far valere innanzitutto i propri diritti (non tutti sacrosanti, bisogna riconoscerlo) a scapito dei doveri che si devono al Paese che ti ospita… Per quanto riguarda Putin, ritengo che il pensiero di quest’uomo (che giudico uno statista immenso) sia di una chiarezza cristallina: i 60 milioni di russi musulmani, praticamente tutti di etnia sunnita, hanno ben compreso che cosa vuol dire il rispetto della legge del Paese nel quale vivono e sono nati, al contrario di quanto purtroppo accade in altre zone del mondo (appunto, il Sangiaccato, tanto per fare un esempio, per non parlare dell’Italia o della Francia). Immagino sia di Sua conoscenza la circostanza che la stessa guardia personale del presidente Putin è composta da ceceni. Vorrà pur dire qualcosa… Infine, stimo e comprendo perfettamente quanto sia prezioso il Suo lavoro di aiuto ed assistenza alle famiglie distrutte, famiglie delle quali, evidentemente, a nessuno importa in quest’Europa “dei diritti”, in quanto di passaporto serbo. E quindi, per antonomasia, “cattive”. Lietissima per l’incontro, Le porgo i miei più cordiali saluti e auguri di buon lavoro.
Rita.