Da sempre i Balcani portano con sé una maledizione ricorrente: che ogni entità al suo interno possa, ad un certo punto, ingrandirsi ai danni dei territori adiacenti. Ogni Nazione ha, e in alcuni casi continua ad avere, il sogno proibito di espandersi, travalicando i confini e sperando che se ne accorgano in pochi.
Le strategie espansive tendono ad avere un problema: sono difficili da valutare nei termini convenzionali di accordo, contratto o cospirazione. Per decenni gli storici hanno attribuito alla Germania Imperiale un obiettivo consapevole di conquista globale, confondendo i piani di un’invasione contingente con la politica concreta.
Nel contesto albanese il fenomeno erosivo, simile a quello di un cagnolino testardo che rosicchia pazientemente i muscoli di un avversario più grande, è iniziato quando la Jugoslavia implose in modo cruento nei primi anni Novanta.
Un aspetto fondante del vecchio progetto di unificazione, ai tempi della creazione della Jugoslavia di Tito, fu il Kosovo. È invece centrale, nell’attuale progetto albanese di consolidamento e sicurezza, la crescente influenza di personaggi della Serbia meridionale e della Macedonia, generalmente nazionalisti albanesi di vario colore. Con la Serbia nel ruolo di spauracchio d’Europa, adesso hanno la strada più spianata che mai.
Le avvisaglie sono già evidenti, e vengono accolte con entusiasmo febbrile. Il Primo Ministro albanese, Edi Rama, ha dichiarato che l’unione tra Albania e Kosovo sarebbe un’alternativa probabile se si incontrassero eccessive difficoltà nell’entrare nell’Unione Europea. Il presidente kossovaro, Hashim Thaci (ex leader dell’Esercito di Liberazione del Kosovo, sulla lista dell’Interpol) è stato persino più diretto, con dichiarazioni minacciose come questa:
“Tutti gli Albanesi della regione vivranno in una sola Nazione unita, così che l’integrazione nella famiglia europea possa andare avanti”. [1]
I timori di Belgrado sono rispecchiati dalle parole del ministro del Lavoro del governo serbo, Aleksandar Vulin:
“Pristina e Tirana hanno chiaramente detto quale sia il loro obiettivo: una “Grande Albania”, con la riunificazione di tutti gli albanesi in un singolo Stato Nazionale, a prescindere da dove vivano”.
Questo obiettivo “potrebbe essere raggiunto solo riattizzando una grande guerra balcanica, e Bruxelles dev’essere molto chiara su questa vicenda”. [2] Considerata l’attuale ossessione sul crollo dell’UE, di cui la Brexit è un sintomo, è difficile che venga data la giusta considerazione alla cosa.
La non coincidenza tra Nazioni e Stati rimane il grande problema delle relazioni internazionali dopo la Prima Guerra Mondiale. La migliore dimostrazione è la foga nazionalista scoppiata tra le macerie d’Europa.
In queste ultime dispute, un ruolo centrale è stato assunto dalla demografia. Nella Serbia meridionale, dove soffiano i venti della Grande Albania, i Serbi etnici sono in ritirata demografica rispetto ai più aggressivi vicini albanesi. La situazione sembra calma ma, in verità, è molto movimentata, e potrebbe risolversi solo con l’uso della forza.
In questo ampio scenario i leader albanesi stanno astutamente giocando la carta pro-Occidente per mantenere le potenze occidentali dalla loro parte. Prevedibile che vada secondo i loro piani, data la furbizia del progetto. Come ha spiegato il ministro degli Esteri albanese, Ditmir Bushati, durante la sua visita a Washington lo scorso aprile, il suo Paese garantisce un solido avamposto contro l’influenza russa nei Balcani.
Queste ambizioni non vanno prese alla leggera. Tecnicamente potrebbero portare all’amputazione del territorio serbo fino a Niš. Questa località è percepita come un’ulteriore riaffermazione territoriale, considerata l’espulsione di albanesi ivi avvenuta durante le campagne serbe del decennio successivo al 1870.
Le città della Serbia meridionale hanno fatto sentire le proprie lagnanze sul nazionalismo, soprattutto a Preševo, Medveđa e Bujanovac. Ci sono teste calde che agitano bandiere in piazza e giornalisti che scrivono editoriali irritati, a stento moderati nel linguaggio.
Il tema della violenza secessionista è lontana da una soluzione comune, considerando l’insurrezione nella valle di Prešovo mossa dal 1999 al 2001 da parte dell’Esercito Liberale di Preševo, Medveđa e Bujanovac. La violenza raggiunse livelli tali che l’allora presidente jugoslavo Vojislav Koštunica chiese l’intervento dell’esercito kosovaro, guidato dalla Nato; anche perché ai Serbi era stato imposto un freno alla libertà d’azione.
In Macedonia, Nazione con una forte componente albanese, si profilano tematiche similari. La maggioranza macedone deve fare i conti con la forte spinta albanese (che alcuni definiscono colpo di Stato). La diatriba è iniziata lo scorso dicembre, con l’opposizione socialdemocratica che ha ottenuto la maggioranza parlamentare grazie alla coalizione con i partiti che rappresentano gli interessi degli Albanesi etnici.
Il governo del Partito Democratico per l’Unione Macedone (VMRO-DPMNE), appoggiato dal presidente Gjorge Ivanov, si è rifiutato di cedere, temendo nuovi stravolgimenti di potere. Gli eventi sono precipitati nella violenza con il tentativo della coalizione di eleggere un nuovo speaker in Parlamento.
Il vicesegretario dei socialdemocratici, Radmila Šekerinska, indicato da Balkan Insight come “il macedone preferito di Bruxelles”, è stato aggredito lo scorso 27 aprile, quando il Parlamento è stato invaso da 200 contestatori. Sono rimasti feriti anche il leader del Sindacato Socialdemocratico Zoran Zaev e il leader dell’Alleanza Albanese Ziadin Sela.
Figure d’alto profilo come Ivanov hanno dichiarato che sono state ventilate troppe concessioni agli Albanesi di Macedonia, che gravitano naturalmente intorno ai Socialdemocratici.
Šekerinska insiste sull’importanza tattica di questo tema, ingegnato per coprire la necessità di creare “un nuovo governo riformista” che coinvolgerebbe diversi politici sospettati di corruzione ed appropriazione indebita [3] . Il primo ministro Nikola Guevski e i suoi sodali, accusa Jove Kekenovski,
“sono pronti a qualsiasi cosa, incluso il conflitto etnico, per sfuggire la prigione” [4]
Alcune di queste affermazioni sono corrette, anche se nelle politiche balcaniche il sangue tende ad essere più centrale delle riforme. Presentarsi in sala conferenze con la pistola: questo è il vizio balcanico, aggravato dall’indifferenza cinica o attiva delle potenze straniere.
Note:
[1] https://europeanwesternbalkans.com/2017/04/20/thaci-albanians-to-unite-if-eu-closes-door-to-kosovo/
[3] http://www.bbc.com/news/world-europe-39799208
[4] http://www.politico.eu/article/post-election-limbo-deepens-macedonian-stand-off-gjorge-ivanov
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Articolo di Binoy Kampmark pubblicato su Global Research il 5 maggio 2017
Traduzione in italiano a cura di barg per Sakeritalia.it
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