Dopo due spettacolari fallimenti, questa volta l’opposizione a guida straniera nella Repubblica Srpska non è sicura di trionfare.
Sembra che la nostra valutazione iniziale [in inglese] sul fatto che la rivoluzione arancione dopo le elezioni del 2 ottobre, scatenata nella Repubblica Srpska [Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina], fosse un po’ prematura, così come lo è stata la parata trionfale dell’opposizione la notte delle elezioni, prima ancora che i voti venissero conteggiati. Realisticamente, se fosse dipeso interamente dalle risorse politiche e dall’acume della gente del posto, molto probabilmente la faccenda sarebbe davvero svanita. La componente importante del quadro più ampio a cui non abbiamo pienamente attribuito il merito, tuttavia, è stato l’input cruciale del fattore estero, a cui si deve l’opposizione nella Repubblica Srpska. Sembra che i leader addolorati dei partiti di opposizione che si sono presentati all’ambasciata britannica a Sarajevo la mattina dopo la chiusura delle urne non stessero semplicemente rivolgendo una visita di cortesia ai loro sponsor. Come suggeriscono fortemente gli eventi successivi, sono andati lì per parlare di logistica della rivoluzione arancione.
Dopo alcuni giorni di inerzia, l’opposizione appoggiata dall’Occidente ha organizzato due manifestazioni di protesta a Banja Luka, la città più grande della Repubblica Srpska, annunciando l’intenzione di contestare le presunte irregolarità di voto e chiedere un riconteggio. Curiosamente, per gran parte della settimana post-elettorale, la Commissione Elettorale Centrale Bosniaca [CIK] non si è limitata a mantenere il silenzio radiofonico sulla presunta frode, ma ha rilasciato dichiarazioni tranquillizzanti sul fatto che il conteggio dei voti era in corso, e tutto sembrava regolare. Poi, lunedì 10 ottobre, ha sganciato una bomba: ha ordinato un riconteggio, lo stesso passaggio che per tutta la settimana precedente aveva affermato non essere un’opzione praticabile.
Stranamente, o forse no, l’ordine di riconteggio ha interessato solo il voto per il Presidente e il Vicepresidente della Repubblica Srpska, il voto per tutti gli altri incarichi, secondo la CIK, era presumibilmente perfettamente pulito.
Non ci vuole uno scienziato aerospaziale per capire l’obiettivo e il beneficiario di questa misura correttiva formulata in modo selettivo. L’obiettivo è il leader politico serbo-bosniaco Milorad Dodik. La sua pubblica simpatia per la Russia gli è valsa negli anni la furiosa inimicizia dell’Occidente collettivo e dei suoi distaccamenti di cambio di regime, in particolare ora, nel contesto delle esigenze geopolitiche generate dal conflitto ucraino. La beneficiaria non troppo discretamente designata è Jelena Trivić, l’avversaria di Dodik nella corsa alla presidenza della Repubblica Srpska, la candidata dell’opposizione sponsorizzata dall’Occidente.
Certo, nella nostra precedente analisi abbiamo sbagliato a paragonare la signora Trivić a Juan Guaidó. Man mano che il copione operativo della rivoluzione colorata della Repubblica Srpska diventa più comprensibile per noi, è chiaro che il suo modello di ruolo assegnato non è Guaidó ma della bielorussa Svetlana Tichanovskaja, per tutto ciò che può valere, probabilmente non molto.
Evidentemente ci sono voluti diversi giorni per elaborare i dettagli pratici dello scenario della rivoluzione arancione del 2022. Se la scommessa iniziale era che le accuse di frode elettorale da sole, senza prove, avrebbero motivato un gran numero di manifestanti arrabbiati a riversarsi nelle strade e rovesciare il governo, ciò si è presto rivelato insufficiente per provocare un grande trambusto. Le manifestazioni dell’opposizione sono state deludenti. L’enfasi doveva quindi essere spostata dall’incitamento retorico nelle strade al tentativo di ottenere un sostegno istituzionale per il caso di frode elettorale della signora Trivić.
La CIK inizialmente reticente, con sede a Sarajevo – una sede notoriamente sfavorevole a qualsiasi cosa abbia a che fare con la Repubblica Srpska – è stata quindi attivata per dare credito alle accuse di frode.
Il risultato, ottenuto con l’utile pressione esercitata dalle principali ambasciate occidentali e dal contestato Alto Rappresentante Christian Schmidt, che di recente si era intromesso nei regolamenti elettorali della Bosnia e aveva lasciato intendere che avrebbe potuto persino usare i suoi falsi “poteri di Bonn” [in inglese], è stato l’ordinanza straordinaria della commissione elettorale del 10 Ottobre per il riconteggio mirato dei voti. Questo era esattamente ciò che l’opposizione sponsorizzata dall’Occidente pensava avrebbe fatto per dare ulteriore impulso alla sua vacillante agitazione di strada.
La decisione brusca e, date le circostanze, politicamente sospetta della CIK di ordinare un riconteggio è stata aspramente criticata per motivi legali dal professore di diritto costituzionale di Banja Luka Milan Blagojević [in serbo]. Il Prof. Blagojević ha evidenziato evidenti anomalie nella decisione accomodante della CIK. Contrariamente a quanto prevede la legge bosniaca, non ha aspettato il completamento del processo di conteggio dei voti prima di prendere in considerazione misure correttive. Né, come prevede anche la legge, ha aspettato di ricevere denunce documentate di irregolarità di voto prima di procedere ed agire. In effetti l’ordinanza della commissione elettorale, stranamente formulata, non ha la pretesa di basarsi su alcuna prova seria di presunte irregolarità, basandosi piuttosto su “relazioni dei media” che potrebbero essersi verificate. Questo approccio straordinario alla raccolta di prove probatorie rispecchia una tecnica spesso utilizzata dal Tribunale dell’Aia, che in diverse sentenze ha citato allo stesso modo fonti dei media come prove affidabili per condannare vari imputati.
Il controverso riconteggio dei voti è iniziato prontamente il 13 ottobre in un’atmosfera politica fortemente polarizzata. La Presidentessa della Commissione Elettorale Suad Arnautović ha riformulato la sua narrativa per adattarsi all’occasione. Con il procedere del riconteggio, con discrepanze minime inferiori all’1% rispetto al conteggio originale che l’opposizione aveva fortemente contestato, invece di mettere a tacere la questione la Arnautović sembrava intenzionata ad esacerbare le tensioni politiche. Il 19 ottobre ha annunciato che lei e i suoi colleghi della commissione stavano valutando la possibilità di annullare i risultati del voto nella Repubblica Srpska e di ordinare nuove elezioni.
Su quale autorità e in base a quale fondamento fattuale sono domande che rimangono senza risposta.
Attraverso i suoi portavoce locali, il fattore straniero che tira le fila in Bosnia ed Erzegovina sta segnalando la sua determinazione a ribaltare le elezioni del 2 ottobre con le buone o con le cattive, e imporre risultati in linea con la sua agenda balcanica. Come sappiamo dall’esperienza passata, secondo quei modelli dello stato di diritto e del processo democratico, il voto deve essere ripetuto tutte le volte che è necessario fino a quando le masse stupide non lo eseguono bene.
Scopriremo presto se la frettolosa svolta della CIK sarà sufficiente a galvanizzare il livello di indignazione richiesto per fare una vera differenza politica.
Ma il quadro più ampio deve essere sempre tenuto a mente. Il cambio di regime nella Repubblica Srpska è stato per l’Occidente un progetto politico continuo per almeno gli ultimi dieci anni. L’obiettivo immediato, ovviamente, è semplicemente quello di cacciare Dodik dall’incarico, ma gli obiettivi più fondamentali sono sviscerare la fastidiosa entità serba e poi sottoporla ad un governo centrale completamente sottomesso a Sarajevo, minando nel processo le chiare disposizioni dell’Accordo di Dayton, che concede ampia autonomia alle entità bosniache.
Sebbene non ci sia nulla di essenzialmente nuovo in queste macchinazioni mirate specificamente contro l’entità serbo-bosniaca, il conflitto ucraino e la prospettiva teorica di uno scontro diretto che coinvolga le potenze della NATO hanno dato loro ulteriore urgenza, e più o meno per le stesse ragioni strategiche che animarono Hitler immediatamente prima dell’attacco all’URSS nel 1941. L’aggressore deve rendere sicure le sue retrovie se il piano di aprire un fronte orientale vuole avere una ragionevole possibilità di successo. Da questo punto di vista, è difficile immaginare che il turno della Serbia non stia arrivando sotto forma di un ultimatum (simile a quello di Hitler nel marzo del 1941) di integrarsi pienamente nell’asse della NATO, altrimenti… La Serbia è già relativamente molto più avanti su quella strada rispetto alla Bosnia, il cui “progresso” in questo senso è ostacolato solo dalla recalcitrante Repubblica Srpska. Ma in un grave conflitto globale alla Serbia sarebbe richiesto molto di più di quello che la sua attuale élite psicotica, più cleptomane che maturamente concentrata sull’adempimento affidabile dei suoi compiti geopolitici assegnati dall’Occidente, è in grado di fornire. Ecco perché, proprio come nella Repubblica Srpska, anche in Serbia una squadra di riserva di leccapiedi sottomessi sta aspettando dietro le quinte, segnalando la sua fedeltà sostenendo l’imposizione immediata di sanzioni alla Russia [in inglese] e spingendo affinché vengano emesse a beneficio de coloro che li pagano.
Dopo due fallimenti piuttosto spettacolari, nel 2014 e nel 2018, per sfruttare con successo le condizioni favorevoli per prendere il potere, e ancora afflitta da incompetenza e totale mancanza di carisma, l’opposizione diretta dall’estero nella Repubblica Srpska non è una scommessa sicura. Ma mentre queste pagliacciate possono essere tranquillamente sottovalutate, non va sottovalutata la determinazione dell’Occidente collettivo a risolvere le questioni in Bosnia prima di passare a “finire il lavoro” dall’altra parte del fiume Drina, nella Serbia vera e propria, e a riorganizzare le cose in quel paese con piena soddisfazione.
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Articolo di Stephen Karganovic pubblicato su Strategic Culture il 23 ottobre 2022
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per Saker Italia
[le note in questo formato sono del traduttore]
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Mi auguro che gli amici patrioti serbi siano belli armati fino ai denti e oltre
Que tous les pays récalcitrants aux diktats US/UK, et menacés par des troubles initiés par l’occident soient solidaires, et travaillent ensemble. Tous ces organismes et personnes sont financés, cela laisse des traces pour un état qui veut bien chercher.
[Traduzione automatica: Che tutti i paesi recalcitranti ai diktat USA/Regno Unito e minacciati dai problemi iniziati dall’Occidente mostrino solidarietà e lavorino insieme. Tutte queste organizzazioni e persone sono finanziate, lasciano tracce per uno stato disposto a guardare.]