Ci sono voluti quattro mesi per catturare a Bruxelles, dopo una sparatoria, uno dei presunti partecipanti agli attentati di Parigi del 13 novembre – Salah Abdeslam. Non si era mai rifugiato in Siria, non si era mai allontanato dal suo quartiere, a Molenbeek.
Ci sono poi voluti solo quattro giorni per il successivo cambio di programma: un attacco jihadista coordinato all’aereporto di Bruxelles e in una stazione della metropolitana, a solo 500 metri di distanza da uno dei gangli vitali dell’Unione Europea.
Guardando con il senno di poi, tutto questo era di gran lunga prevedibile. Il Ministro degli Esteri belga Didier Reynders aveva messo in guardia, durante il weekend, sulla possibilità di attentati. Più preoccupante è il fatto che i servizi segreti belgi, come anche altre agenzie di intelligence occidentali, avrebbero avuto “precise” informazioni sulla possibilità di un attacco all’aeroporto e probabilmente anche alla metropolitana.
Ancora più significativo, e anche prima dell’arresto di Abdeslam, è il fatto che, nientemeno che il Sultano neo-Ottomano Erdogan, leader di un paese che è un “alleato chiave” della NATO, abbia avuto la rivelazione: “non c’è nessuna ragione per cui la bomba che è scoppiata ad Ankara non possa esplodere a Bruxelles o in qualche altra città europea”. Erdogan stava naturalmente facendo un parallelo falso e indecente fra Curdi e Jihadisti-salafiti, ma la sua uscita era sembrata piuttosto una via di mezzo fra una profezia e una minaccia.
Schengen, il morto che cammina
L’Europa si ritrova nuovamente soffocata nella stessa, vecchia e trita litania. Due fratelli jihadisti suicidi. Un esperto bombarolo dell’ISIS/ISIS/Daesh, che potrebbe aver fabbricato le cinture esplosive usate a Parigi, caricate con perossido di acetone (TAPT). Uno degli attentatori dell’aereoporto, in fuga, che lascia il testamento nel suo laptop. Un misterioso fucile ritrovato vicino ad uno degli jihadisti che si erano fatti saltare. Non sono stati rinvenuti passaporti, almeno fino ad ora; al loro posto una incriminante bandiera dell’ISIS/ISIL/Daesh.
Uno tsunami di polizia ha congestionato le strade delle capitali europee per “diminuire l’ansia della gente” e “agire da deterrente”, come se tutta questa dimostrazione di forza non rinforzasse altro che la paura.
Il Dipartimento di Stato Americano, sempre fedele alle sue spettacolari doti di incapacità, ha borbottato che l’ISIS/ISIL/Daesh è “sotto pressione”. Potrebbe anche darsi che la diplomazia americana abbia fatto un fischio all'”alleato della NATO”, Erdogan che, come minimo, può servirsi di un finto “Califfato” come di una utile pedina, già posizionata sullo scacchiere medio-orientale.
Legioni di politici europei hanno spremuto le migliori lacrime di coccodrillo sui loro vestiti firmati Zegna, lamentandosi di un “attacco all’Europa democratica”, un attacco, tra l’altro, portato a termine da persone nate e cresciute in Europa, trasformatesi in automi jihadisti nella guerra per procura in Siria, pesantemente sostenuta da un assortimento di stati europei.
Gli indici di ascolto dell’ultimo spettacolo europeo, il feroce battibecco sull'”attentato alla sicurezza” della Fortezza Europa, sono andati alle stelle. In molte capitali europee i campanili hanno “celebrato” avidamente, all’unisono, la demonizzazione dei rifugiati e la decapitazione del multiculturalismo.
E Schengen, che era già in modalità “morto che cammina”, è stata presa a schioppettate e adesso è, beh, abbastanza morta.
Alla fine, Schengen potrebbe costare all’Unione Europea anche 100 miliardi di dollari. Da parte loro, xenofobia ed islamofobia, che sono gratis, non hanno mai funzionato così bene.
Fonti dell’Europol asseriscono che nell’Unione Europea sarebbero già entrati 5.000 jihadisti travestiti da rifugiati. Ma nessuno si chiede: visto che sono stati identificati, come mai non sono stati arrestati? Di questi, almeno 400 sarebbero pronti a portare devastazione in tutta l’Europa.
La portavoce del Ministro degli Esteri Russo, Maria Zakharova, tenendosi lontana dal calderone della disinformazione, ha almeno fatto presente a tutti il triste risultato della politica europea del doppio standard, che fa distinzione fra terroristi “buoni” (o “ribelli moderati”) e “cattivi”.
Si dà il caso che l’aeroporto di Bruxelles sia solo a un paio di chilometri dal Quartier Generale della NATO, la cui presunta missione sarebbe quella di garantire la sicurezza in Europa, e che, in pratica, si comporta come Robocop, dall’Africa fino all’Asia Centrale. Gli Jihadisti hanno invece preso di mira un aeroporto che avrebbe dovuto essere protetto da misure di massima sicurezza e una stazione della metropolitana a due passi da Palazzo Barlaymont, sede della Commissione Europea. Avrebbero pianificato anche un attacco alle due centrali atomiche di Doel e Tihange.
Il fatto che l’ISIS/ISIL/Daesh stia facendo saltare in aria cittadini europei e di molte altre nazionalità, proprio sotto il naso della NATO, non può non destare perplessità. Specialmente quando sappiamo che per la NATO e per la sua squallida galleria di Strangeloves, Breedloves e Breedhates (1), il nemico non è lo Jihadismo salafita, ma la “malvagia” Russia.
Una R2P per l’Europa?
E’ sempre illuminante vedere come il pensatoio americano valuti la situazione. Dopo i fatti di Parigi c’erano state lodi sperticate quando la Francia aveva detto di “essere in guerra”, aveva aumentato la sua “attività militare” nel Medio Oriente e approvato un Patriot Act francese, che è destinato a durare per molto tempo.
Adesso, i pensatori dell’Eccezionalistan sono un po’ depressi perché l’Europa non dispone di un esercito (il realtà ce l’ha: la NATO) e così non può reagire a quello che è già stato definito il “9/11 belga”. Naturalmente la NATO può “reagire”, può marciare contro l’ISIS/ISIS/Daesh attraverso il “Siriaq”, arrogandosi il diritto ad una R2P (“responsabilità di proteggere”, in questo caso centinaia di milioni di cittadini europei). Ma questa non è, e non lo è mai stata, una priorità.
Dare la colpa di tutto questo al Belgio e dire che è uno stato fallito è facile. Questa è una parte del rompicapo, ma non quella principale.
Aspettatevi che i “leaders” dell’Unione Europea si riuniscano presto in un summit per decidere di fare qualcosa, qualunque cosa nei riguardi dell’ISIS/ISIL/Daesh. Forse offrire loro, o perdere la faccia accettandolo, un accordo, come quello (illegale per le leggi internazionali) appena concluso con l'”alleato della NATO” Erdogan, che considera i rifugiati alla stregua di merce di scarso valore e passa sopra ad una miriade di barriere logistiche e legali.
E, giusto in tempo, con i morti di Bruxelles ancora da seppellire, il Primo Ministro turco, Ahmet Davotoglu, ha richiesto ancora una volta una zona di sicurezza in (e dove altrimenti?) Siria, insistendo che la tranquillità di tutta l’Europa inizia dalla Turchia.
Anche la crisi europea dei profughi è iniziata in Turchia; è stata Ankara, in primo luogo, ad averli rilasciati in massa dai loro campi di internamento. La domanda giusta da farsi è se Ankara avrebbe avuto l’ardire di inondare l’Europa di rifugiati senza la luce verde di Washington; la logica di questa mossa sarebbe quella di “forzare” la Turchia all’interno dell’Unione Europea (la pretesa di Erdogan sarebbe quella di velocizzare i negoziati per l’ammissione), potenziandone l’aspetto anti-russo.
L’Europa potrebbe sempre offrire all’ISIS/ISIL/Daesh un accordo tipo: “voi non ci bombardate qui in Europa e noi non lo facciamo in “Siriaq”, d’accordo?”. Ma, un momento, questa intesa (informale) è già in vigore, attraverso la coalizione US-NATO-GCC.
Non aspettatevi che i politicanti europei siano in grado di unire tutti i puntini e capire che la guerra nascosta dell’Europa in Siria, specialmente l’armamento di innumerevoli “ribelli moderati” da parte di Gran Bretagna e Francia, genera dei contraccolpi. Aspettatevi piuttosto un drammatico rafforzamento della “sicurezza” aeroportuale sulle bottiglie di Perrier.
E’ ormai più che sicuro che quella di lasciar crescere e prosperare l’ISIS/ISIL/Daesh, che era nato a Camp Bacca, una prigione americana in Iraq, è stata una “decisione intenzionale” da parte di Washington. L’aeroporto di Bruxelles era al massimo livello possibile di sicurezza. Una cellula Jihadista-salafita è riuscita ad eludere per quattro mesi un’incredibile caccia all’uomo in tutta Bruxelles.
Una mossa in stile Operazione Gladio, messa in atto da CIA e NATO, proprio come ai vecchi tempi, è una buona ipotesi di lavoro. L’Operazione Gladio aveva convalidato un inoppugnabile principio dell’intelligence occidentale, quello che uccidere degli innocenti per una causa importante è giustificato.
Frustrare tutti i tentativi di riavvicinamento economico-commerciale fra Russia ed Europa rimane l’obbiettivo principale dell’Eccezionalistan. Tutto questo comporta una sceneggiatura aggiuntiva; i media corporativi occidentali continuano a lamentarsi di quegli orribili “Mussulmani” che calpestano i “nostri valori”, mentre in Russia, naturalmente, quando il terrorismo colpisce è tutta colpa di Putin, che ha la mano pesante nel Caucaso del Nord.
E comunque, in un contesto da Gladio del 21° secolo, gli attentati “false flag”, destinati al sovvertimento dell’ordine democratico attraverso una strategia della tensione, potrebbero ora servire ad uno scopo diverso: controllare e manipolare l’opinione pubblica europea, attraverso paura, terrorismo ed agenti provocatori (per questo l’ISIS/ISIL/Daesh va benissimo), avendo come ultimo, orwelliano obiettivo quello di tenere l’Europa sottomessa e soggetta agli imperativi geopolitici dell’Eccezionalistan.
Il credo Orwelliano è sempre quello di dominare una Società della Paura. Almeno adesso sappiamo che gli sgherri del falso “Califfato” non si preoccuperanno mai di attaccare la NATO, l’autonominatosi difensore dei “valori” europei. Vero?
(1)[gioco di parole intraducibile Dr. Stranamore (Kubrik), Philip Bredlove, ex Comandante NATO, e il suo immaginario contrario Bredhate n.d.t.]
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Articolo di Pepe Escobar pubblicato da Sputnik il 24 Marzo 2016
Tradotto in Italiano da Mario per SakerItalia.it
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