– Marco Bordoni –
Dopo che il 9 dicembre un accordo fra governativi ed opposizione ha portato all’ evacuazione del quartiere di Al Wa’er, a nord est di Homs, abbandonato da centinaia di miliziani delle varie formazioni ribelli, che sono stati disarmati e scortati nella roccaforte settentrionale di Idlib da uomini delle Nazioni Unite, questo accordo ha fornito un precedente gradito sia ai Siriani che ai miliziani per consentire un transito relativamente morbido verso la nuova realtà di progressiva restaurazione del potere centrale creatasi nel paese seguito all’ intervento russo.
Il 25 dicembre è stato annunciato un secondo accordo per l’evacuazione di circa 2.000 jihaidsti dell’ISIS da due quartieri meridionali di Damasco, Qadam e Hajar al-Aswad e dal campo profughi palestinese di Yarmouk. Sebbene tale accordo sia oggi sospeso in seguito alla morte di Zahran Alloush, leader del gruppo salafita Jaish al-Islam, visto che gli uomini da evacuare sarebbero dovuti passare sul territorio da questi controllato prima di dirigersi a Raqqah, “capitale” del Califfato, la situazione logistica e tattica di questi uomini è ormai tale da far ritenere che la sospensione dell’accordo sia solo temporanea, e che, nel giro di giorni, massimo settimana, sarà attuato come previsto.
Infine oggi è stato reso noto che la stessa procedura viene seguita a Zabadani (questa volta gli evacuati sono alcune centinaia), una località al confine fra Siria e Libano teatro di sanguinosi combattimenti nel corso dell’estate scorsa. Nella primavera del 2015 la “sacca di Zabadani” si estese fino a mettere in pericolo le comunicazioni fra gli uomini di Hezbollah impegnati in Siria e le loro basi libanesi. Il gruppo di Nasrallah si è quindi impegnato in cruente operazioni di riduzione delle aree controllate dalla ribellione, concluse con il cessate il fuoco dello scorso settembre. Oggi la notizia dell’evacuazione di quello che resta della sacca, evacuazione che porterà i miliziani prima a Beirut poi in Turchia.
Sebbene questo modello sia chiaramente un sollievo per territori provati come quelli in cui si svolge la guerra civile siriana, questo tipo di notizie dovrebbero suggerire a noi ed alle dirigenze europee alcuni interrogativi.
Il primo riguarda i numeri. Se ambienti operativi di dimensioni modeste come quelli di cui si è parlato (si veda la mappa) ospitavano centinaia o migliaia di combattenti, quale può essere l’ordine di grandezza di “sacche” dieci o cento volte più ampie e presidiate, come quella di Est Gouta, o di Talbisah, su cui esercito Siriano ed aviazione russa stanno da mesi esercitando una pressione sempre più difficile da contenere? Verosimilmente migliaia, forse decine di migliaia.
Il secondo interrogativo sospeso concerne la destinazione finale dei combattenti. Sebbene le carovane degli autobus scortati dagli uomini delle Nazioni Unite li conducano verso territori controllati dal Califfato (Raqqah) o dai ribelli (Idlib) dall’inizio dell’intervento russo non esiste più alcun “santuario” in cui questi combattenti siano al sicuro: è chiaro che dal giorno successivo al loro arrivo il loro destino sarà quello di bersagli del tiro al piccione russo. L’unico territorio in cui si troveranno veramente al sicuro sarà quindi quello turco, così che la Turchia è destinata a diventare il rifugio di tutte le formazioni radicali operanti in Siria mano a mano che milizie Curde, iracheni e governativi siriani restringeranno gli spazi operativi degli insorti islamisti. Altrettanto evidente il pericolo che il passo successivo possa essere l’Europa (o la Libia, opzione che, dal punto di vista Italiano, non è molto più rassicurante), visto che che la Russia ha da tempo in atto misure di sicurezza eccezionali e si appresta a chiudere il transito senza visti con la Turchia a partire dal 1 gennaio 2016.
E questo ci porta al quesito conclusivo, ovvero all’accordo di cooperazione Euro turco del 29 novembre scorso, una intesa che consegna di fatto ad un governo di dubbia lealtà come quello di Ankara le chiavi di casa dello spazio Europeo, affidando alla “buona fede” turca il controllo dei flussi di migranti e concedendo (presumibilmente a partire da metà del 2016) un regime di transiti senza visti la cui compatibilità con la sicurezza dei cittadini europei è quantomeno dubbia. Discorso che vale, con le varianti del caso, anche per altri due governi con gravi problemi di ordine pubblico che hanno dimostrato di anteporre gli interessi propri e statunitensi a quelli europei (ci riferiamo al caso si Ucraina e Georgia) e a cui la Commissione Europea il 24 dicembre ha proposto di estendere il regime di esenzione dai visti. Vero è che il regime di esenzione riguarda solo i cittadini di questi paesi, ma è altrettanto vero che la cittadinanza si ottiene anche per naturalizzazione, così che, di fatto, l’Unione Europea sta concedendo ad Erdogan e a Poroshenko il diritto di decidere chi può entrare senza controlli sul suo territorio.

Il Primo Ministro Turco Ahmet Davutoglu e il Presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker si salutano dopo la conferenza stampa a margine del summit euro turco del 29 novembre 2015
Abbiamo visto, nel 2015 che sta per chiudersi, due terribili atti di sangue (gli attentati di Parigi del 7 gennaio e del 13 novembre) provocare una ondata di emotività nazionale e un generale rafforzamento di una classe dirigente screditata, che ha beneficiato della doppia minaccia rappresentata dal terrorismo e dalla xenofobia (con la prospettiva di una “guerra di civiltà” alle porte come catalizzatore del consenso delle opinioni pubbliche democratiche e moderate).
Sin ora abbiamo pensato che questo vantaggio fosse frutto di circostanze fortuite. Ma se anche nel 2016 i governi bifronte “di salvezza nazionale” ed i loro referenti di Bruxelles continueranno come negli anni passati, a ignorare pericoli gravi, incombenti ed evidenti, moltiplicandoli, anzi, con politiche insensate, saremmo costretti a chiederci se quella che appare come esasperante ingenuità, non sia altro, ovvero una sorta di criminale “strategia della tensione” a livello continentale, mirante a “destabilizzare per stabilizzare” l’opinione pubblica attraverso una dirigenza che può trarre in questo modo legittimità per condurre politiche economiche sempre più impopolari e classiste.
In alto: l’evacuazione della sacca di Wa’er.
Il pericolo in effetti esiste ed è assai probabile che la scusa della “minaccia terroristica” possa essere usata al fine di consolidare un certo grado di consenso interno in vista di nuove misure repressive ed anti popolari.
Resta solo da vedere quanto potrà durare questo stato di cose, finora il combinato disposto di propaganda mediatica e relativo benessere (ereditato dal passato e non ancora eroso dalla crisi) ha permesso un certo grado di tenuta complessiva, ma il baratro si sta avvicinando e all’orizzonte non si vede alcuna forza sistemica che abbia la necessaria capacità politica e culturale di invertire per tempo la direzione di marcia.
Visto e appurato l’origine del problema, non ci sarebbe da meravigliarsi….
“…di fatto, l’Unione Europea sta concedendo ad Erdogan e a Poroshenko il diritto di decidere chi può entrare senza controlli sul suo territorio…” (M. Bordoni).
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Si scrive Unione Europea, ma si legge Germania: ” Accoglieremo tutti i Siriani…” Anche quelli con documenti falsi trafugati ai veri siriani deceduti sul campo o in prigionia ? Si scrive Germania, ma si legge Usa, Israele, Casa Saud, Turchia, cioè salvare i quadri dirigenti Isis, Al Nousra, Al Qaeda per infiltrarli in Europa dall’Egeo, in Asia dal Caucaso a ridosso dei confini russi e, come cellule dormienti, un po’ ovunque. Quello che non si riesce a capire è fino a che punto i politici europei siano vittime o complici della strategia dell’Impero del Caos. Erdogan, al pari di Poroshenko, sembra comportarsi come l’utile idiota degli Usa che dovrà creare il casus belli per una guerra contro la Russia in cui trascinare gli imbelli Europei. Un recentissimo rapporto dell’Intelligence russa avverte che ” Recep Tayyip Erdogan è in viaggio in Arabia Saudita per dichiarare se stesso come il “leader” di ISIS e tutto il mondo islamico. Il Ministero della Difesa dice che Erdogan prevede di accendere una terza guerra mondiale tra la Russia e la Nato (e i suoi alleati), in modo di poter stabilire un califfato globale in Medio Oriente. Egli vuole assumere questa leadership sulla base di una fatwa emessa da Hayrettin Karaman, che progetta una nuova costituzione in Turchia per dare ad Erdogan il diritto legale di diventare un emiro e stabilire il suo califfato…”
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http://yournewswire.com/erdogan-declares-himself-isis-leader-hopes-to-start-world-war-3/
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Quando Saddam Hussein invase il Kuwait alcuni scrissero che gli Usa avessero dato il loro tacito assenso all’operazione facendo intendere che non avrebbero reagito, ma poi usarono l’invasione come pretesto per dichiarare guerra all’Iraq. Stanno forse riproponendo lo stesso copione con Erdogan, lasciandogli l’illusione di un ampliamento territoriale e aizzandolo contro la Russia per poi distruggerlo ? Una cosa è certa, l’economia americana prospera in tempi di guerra, non di pace e i grandi imprenditori sperano che questo accada prima possibile. La Russia lo sa da parecchio tempo e penso che sia preparata ad affrontare questa eventualità, ma per l’Europa, carrozza con i cocchieri ubriachi, il declino sarà inevitabile.