In natura l’adattamento rappresenta una legge generale che garantisce il successo di una specie o la condanna all’ estinzione. La società globale pare voler rimuovere le identità, concepite come ostacoli ad una allocazione ottimale delle capacità e delle risorse umane. Non credi che effettivamente questo approccio sia sensato? Non credi che una umanità senza riserve identitarie potrebbe beneficiare di uno sviluppo economico e sociale più accelerato? Non credi che le identità siano obsolete sotto il profilo economico produttivo, prima ancora che sotto quello politico?

– Paolo Borgognone –

La costruzione di un’identità collettiva propedeutica ai desiderata della Global Class multinazionale per mano degli apparati intellettuali unificati del clero universitario liberal e del “circo mediatico” atlantista è uno degli elementi funzionali alla riproduzione dei meccanismi politici e ideologici dell’odierno imperialismo a stelle e strisce. Il dissolvimento delle identità tradizionali nella Cultura McWorld è infatti propedeutico alla creazione ex novo di una nuova ideologia identitaria unica, il Politicamente Corretto basato sull’apologia (diretta o indiretta) del capitalismo americano globalizzato, televisivamente camuffato sotto l’accattivante dicitura “civiltà occidentale”.

Vi sono stati e vi sono, in passato come nel presente, attori politici strategici determinanti per la formazione e il consolidamento di questa nuova ideologia identitaria (o religione idolatrica identitaria unica), un’ideologia che necessita, di volta in volta, di un nemico dei “valori liberali” e “democratici” occidentali per poter avvalersi di un minimo di credibilità. Si tratta infatti di un’ideologia che cementa il proprio consenso sulla paura e sulla demonizzazione sistematica di ogni alternativa a sé stessa, essendo la classi dirigenti occidentali perfettamente consapevoli dell’inesistenza di fattori di legittimazione dell’odierno capitalismo e dell’odierno sistema di sfruttamento neocoloniale globalizzato, diversi dalla strategia, politica e mediatica, del terrore, della paura e della strumentalizzazione a fini politici della memoria storica.

Così, prima il comunismo, poi l’Islam veicolato come indistinto e unitario blocco monolitico generatore di “fanatismo anticristiano”, poi il “nazionalismo” serbo e il “nazionalpatriottismo” russo ed eurasiatico hanno genericamente recitato il ruolo politico di “nemici” della “civiltà occidentale”, dell’ideologia identitaria neoliberale e postdemocratica occidentale, fondata sul “consumo libero” e sull ’antropologia del desiderio capitalistico illimitato.

Personaggi quali Oriana Fallaci hanno in passato svolto perfettamente il ruolo di burattinai e di servidorame giornalistico della nuova ideologia identitaria di addomesticamento al postmoderno rivolgendosi, con i loro strali islamofobi legittimanti la strategia bushista di guerra preventiva, alla psicologia perbenista delle schizzinose e unificate classi medie semicolte (knowledge class), declinate a destra come a sinistra. Lo stesso ruolo è stato svolto dai telegiornali Mediaset e dalle riviste di gossip politico del Gruppo Berlusconi, aventi però come riferimento non tanto i radical-chic avidi lettori delle invettive fallaciane, sostenitori della necessità dell’Occidente di «difendere la democrazia» contro fantasmatici “dittatori” e “terroristi” più o meno islamici, bensì gli strati inferiori della piramide sociale del capitalismo contemporaneo, le nuove plebi teledipendenti conquistate al dogma della “superiorità” della “civiltà occidentale” nei confronti di qualsivoglia altro modello politico e sociale di sviluppo.

Oggi che il nemico principale della “civiltà occidentale”, ossia dei “valori liberali europei”, è identificato non più nell’Islam genericamente inteso (dopo il 2011, per esempio, Al Qaeda è stata apertamente dichiarata un alleato strategico degli Usa contro Gheddafi in Libia e Assad in Siria) bensì nella Russia “di Putin”, decine di paranoici imitatori del coro fallaciano non hanno fatto altro che convertire l’isterica ondata mediatica e pubblicistica islamofoba post-11 settembre 2001 in un lucido delirio giornalistico e televisivo russofobico, assimilando di fatto Putin a Hitler e riproponendo il leitmotiv propagandistico della “guerra antifascista” condotta dagli Alleati occidentali (Usa e lacchè dei Paesi della Ue) contro il “nemico autoritario” di turno.

A differenza di quella islamofoba però, la campagna mediatica russofoba non si avvale di palesi connotati diversivi (l’Islam politico è sempre stato una risorsa d’ intelligence della NATO e dei suoi alleati e i veri nemici dell’imperialismo rimangono gli Stati-Nazione resistenti e la geopolitica eurasiatista, non certo i Fratelli musulmani o i salafiti, da sempre strumentali alle mire colonialiste americane, né tanto meno il database Al Qaeda, formato dai servizi segreti pakistani in stretta collaborazione con quelli sauditi e con la Cia in occasione del jihad antisovietico in Afghanistan del 1979-1989) a uso e consumo della evocazione di paure ataviche in un’opinione pubblica inesistente in quanto mucillagine sociale totalmente manipolata, ma affonda le proprie radici in una atavica strategia di guerra fredda culturale nei confronti di uno dei principali baluardi contro l’espansionismo colonizzatore della NATO nel continente eurasiatico, la Russia.

La guerra fredda odierna è dunque una guerra tra identità culturali contrapposte: da un lato, l’ideologia identitaria postmoderna occidentale, fondata sul dogma della fine capitalistica e neoliberale della Storia, dall’altra l’ideologia identitaria nazionalpatriottica dei soggetti politici resistenti in Russia e degli attori politici altrettanto resistenti nel novero del continente eurasiatico in via di colonizzazione politica, economica, militare e culturale yankee. Quando parlo di ideologia identitaria nazionalpatriottica in Russia non alludo all’attuale leadership politica della Federazione russa, bensì al complesso sistema di elementi identitari di opposizione al neocolonialismo americanocentrico presenti e attivi nella società politica russa e assolutamente trasversali ai partiti rappresentati alla Duma.

L’inconscio collettivo identitario eurasiatico, strutturatosi a livello politico nei minoritari ma culturalmente rilevanti movimenti nazional-bolscevichi e rivoluzionario-conservatori russi dopo il 1991, è un fattore di resistenza al Nuovo Ordine Mondiale, così come, a livello più propriamente di politica organizzata, lo sono il “comunismo sostenitore dello Stato” del KPRF, il pragmatico patriottismo nazional-globalista di Vladimir Putin e ogni forma di partecipato attivismo politico teso a riaffermare la necessità di un movimento di liberazione nazionale in Russia (marce antimajdaniste, movimenti e associazioni giovanili contrari alle “rivoluzioni colorate”, ecc.).

Per cui ritengo che, nella fase attuale, sia necessario e anzi indispensabile la costruzione di identità politiche di resistenza anticapitalista e di opposizione all’ ideologia identitaria unica centrata sull’ adesione dei ceti semicolti occidentali all’ antropologia della fine capitalistica della Storia e alla postmoderna filosofia del disincanto (salmodiante la seguente litania: “i destini della civiltà sono segnati dall’ incedere dei processi di globalizzazione” e “non c’è più niente da fare”). Identità politiche di resistenza tese al contrasto non solo al versante economico (neoliberismo selvaggio) ma anche al versante culturale (cosmopolitismo del consumo, postmodernismo, liberalismo totalitario odierno, società della comunicazione globale tramite il World Wide Web) del capitalismo contemporaneo.

L’attuale capitalismo infatti, per riprendere una definizione di Diego Fusaro, si configura come «accelerato e senza futuro», un capitalismo dell’eterno presente virtualizzato e della flessibilizzazione delle identità collettive. Un capitalismo che si dispiegherà ancor più illimitatamente nel momento in cui dovessero venir meno, una volta per tutte, le residue barriere di opposizione “nazionalistiche” anticoloniali, identitarie di genere (centrate sull’opposizione dicotomica maschio/femmina) e spirituali/religiose. Barriere volte a rappresentare, in qualche modo, degli ostacoli verso l’incontrastato trionfo, su scala globale, dell’odierna “società occidentale” di sfruttamento e alienazione capitalistica. Riprendendo e facendo idealmente mie le parole di Costanzo Preve in merito, ritengo pertanto che, nella fase attuale, «la questione nazionale, o nazionalitaria che dir si voglia, è fondamentale»[1] e che sia tutt’ altro che auspicabile il concretizzarsi di un orizzonte di “società civile globale” basato su di «un minestrone sociologico monoclassista universale»[2] fondato sullo scioglimento delle identità nazionali, in quanto da tale scioglimento, o auto-scioglimento, emergerebbe comunque il primato dell’ideologia identitaria postmoderna americanocentrica, ossia del precedentemente nominato versante culturale dell’odierno modello capitalistico speculativo.

[1] Fonte: http://www.comunismoecomunita.org/?p=4215, 20 febbraio 2014.

[2] Ivi.

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