Uno dei maggiori ostacoli ad una autentica rinascita della religiosità potrebbe essere la dilatazione della conoscenza dell’ambiente in cui viviamo che abbiamo ottenuto negli ultimi secoli. Già ai tempi di Dante la gente poteva porsi dei dubbi sulla “verità” di una rivelazione religiosa osservando l’estensione del mondo e la presenza di tanti popoli “infedeli”. Oggi conosciamo la natura e la dimensione dell’universo, la storia dell’evoluzione dell’uomo e l’origine biologica della stessa psicologia umana. La “novella” cristiana non rischia di essere irrimediabilmente obsoleta e la religione non rischia di degradarsi da un messaggio di “verità” ad una “prassi” al massimo utile per gestire alcuni processi politici?
– Paolo Borgognone –
Se si interpreta la religione esclusivamente sotto l’aspetto divinatorio o taumaturgico sì, è chiaro che la dilatazione della conoscenza dell’ambiente in cui viviamo e il progresso scientifico hanno ristretto lo spazio di manovra un tempo appannaggio del trascendente. Di più. Se si interpreta la religione cristiana in un’ottica puramente sentimentale, ossia esaltando un presunto, e mai dimostrato storicamente, “messaggio originario” evangelico rimandante a lacrimevoli moralismi universalistici di tipo caritativo, sullo stile “ama il tuo nemico”, si finisce per configurarsi come inconsapevoli attori sociali interni ai meccanismi di riproduzione tardocapitalistici, astutamente basati su codesto presupposto antropologico: l’uomo è un illimitato consumatore cosmopolita, desiderante successo individuale e approvazione pubblica, laddove l’accento deve cadere sugli aggettivi “illimitato” e “cosmopolita”.
L’illimitatezza è sinonimo di estinzione di ogni frontiera, morale o materiale, rappresentante un ostacolo sulla strada del desiderio consumistico quale estasi religiosa postmoderna; il cosmopolitismo, o universalismo liberale contemporaneo, è il versante culturale dell’odierno capitalismo globalizzato. Illimitatezza e cosmopolitismo sono categorie concettuali che possono essere rimandate direttamente ai precetti del mitico “cristianesimo delle origini”, una “novella” che si rivolgeva indistintamente a tutte le nazioni, dunque trascendendo le differenze culturali pregresse, adattandole e rielaborandole al fine della costruzione di una tradizione cristiana ex novo e che si poneva l’ambizione di “superare” frontiere e limiti di sorta, minando il qualche modo dall’ interno la filosofia di riferimento dell’allora impero romano, ossia una sorta di differenzialismo nazional-imperiale a vocazione politeistica e aristocratica (segnatamente sotto Augusto e i suoi immediati successori) e a vocazione politeistica e militare (a partire dal III secolo e, particolarmente, per motivi storici contingenti, sotto Aureliano e Diocleziano).
La religione imperiale era infatti, riprendendo le parole di Corrado Augias, «una religiosità essenzialmente pubblica, politica […]. La religiosità romana, infatti, era una forma di patriottismo, confinava con lo spirito nazionale, rafforzava il senso di appartenenza a quella civiltà»[1]. Il cristianesimo “delle origini” invece, sempre per citare Augias, «non è stato una religione civica. I suoi seguaci erano diffusi ovunque, dentro e fuori l’impero. La loro lealtà era dedicata per intero a un Dio universale e non alle singole città»[2]. Dunque, una religione ipso facto cosmopolita, universalistica e “sovversiva” delle culture tradizionali, fautrice dell’imminente avvento di una messianica “età dell’oro” che avrebbe omologato indistintamente, sotto il segno del “Regno dei Cieli”, i popoli e le nazioni della Terra.
Monoteismo giudaico-cristiano e monoteismo del mercato capitalistico sono entrambe categorie ideologiche di addomesticamento delle nazioni e delle culture tradizionali al totalitarismo “universalistico” del “Dio unico” (sia esso il Dio veterotestamentario, il Dio evangelico o l’idolatrico dio contemporaneo del denaro)[3]. Il cristianesimo fu adattato all’ideologia del patriottismo dell’impero da Costantino (306-337), che non si convertì al cristianesimo, ma convertì il cristianesimo alla causa della religiosità pubblica romana[4] (fenomeno storico-politico genericamente cosiddetto del cesaropapismo).
Da un punto di vista politico, tendo a identificare l’attuale resistenza identitaria opposta dalla Chiesa ortodossa russa e serba ai propositi di globalizzazione americanocentrica nei confronti di quelle nazioni come la benemerita rinascita di una religiosità pubblica e “nazionale” mentre interpreto la comune strategia d’intenti verificatasi tra l’imperialismo statunitense e determinati settori atlantisti delle gerarchie vaticane in occasione degli eventi esteuropei tra il 1980 e il 2000 (crisi polacca, secessioni baltiche e guerre jugoslave in primis) come la prosecuzione del “sovversivismo” cristiano “antitradizionale” delle origini.
Nel gennaio di quest’anno, il patriarca di tutte le Russie, Kirill I, ha dichiarato in un suo discorso alla Duma che per costruire la Russia moderna occorre «prendere dall’epoca sovietica le cose positive, come la solidarietà»[5]. Quale migliore esempio di sinergia nazionale tra i valori identitari della spiritualità religiosa e il dovere dei poteri pubblici statali di fondare la propria azione politica sull’ edificazione di una patria unita, indipendente e solidale? Naturalmente, la sinergia di cui sopra è scientemente avversata dai propugnatori della filosofia della fine capitalistica della Storia (il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, ha infatti, lo scorso anno, definito la religione ortodossa «nemica dei valori occidentali»).
Vorrei citare, a sostegno delle mie tesi, un passo da un libro molto interessante, La fabbrica della manipolazione, scritto da Enrica Perucchietti e Gianluca Marletta, che recita così: «C’è una parte del “mondo cristiano” […] che sembra assolutamente refrattaria all’ideologia mondialista: la Chiesa ortodossa, specialmente quella russa […]. La forza della Russia sembra risiedere anche nella sua ritrovata “identità” culturale e religiosa, che la pone in antitesi con il Nuovo Ordine Mondiale non solo sul piano strategico, ma anche e soprattutto su quello della “visione del mondo” […]. Naturalmente, di fronte a questa realtà risorgente, i Poteri Forti del mondialismo non sono rimasti con le mani in mano: è stata soprattutto la fondazione Soros a finanziare in Russia i gruppi anti-Putin e filoccidentali, creando una rete di ONG e gruppi di pressione simili a quelli che avevano funzionato così bene durante la “primavera araba” e le “rivoluzioni arancioni”»[6].
Anche e soprattutto per queste ragioni, legate alla resistenza identitaria nei confronti dei propositi omologatori e globalizzatori americanocentrici nei confronti della Russia, per mano delle “quinte colonne” neoliberali interne (non a caso i più duri critici dell’alleanza politica tra “trono e altare”), mi colloco come totalmente a fianco dei sostenitori della spiritualità ortodossa quale elemento funzionale alla mobilitazione patriottica in Russia.
[1] C. Augias, M. Pesce, Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo, Mondadori, Milano, 2006, p. 188.
[2] Ivi.
[3] Cfr. per una panoramica d’insieme sul tema: A. de Benoist, Come si può essere pagani?, Settimo Sigillo, Roma, edizione 2011.
[4] Scrive infatti lo storico del cristianesimo Remo Cacitti: «Per quanto mi riguarda ritengo che Costantino non si sia mai convertito al cristianesimo, e pure il battesimo sul letto di morte mi sembra un dettaglio non particolarmente significativo […]. Quello che, viceversa, appare decisivo, è che Costantino sia riuscito, nel corso di pochissimo tempo, a far assumere al cristianesimo lo stesso ruolo civile in precedenza assolto dalla religio. Se posso esprimermi in maniera sinteticamente provocatoria, direi che non è stato Costantino a convertirsi al cristianesimo, quanto il cristianesimo a convertirsi a Costantino». C. Augias, R. Cacitti, Inchiesta sul cristianesimo. Come si costruisce una religione, Mondadori, Milano, 2008, p. 173.
[5] Fonte: http://www.asianews.it/notizie-it/Patriarca-Kirill-per-la-prima-volta-alla-Duma:-riscoprire-la-solidariet%C3%A0-dell’epoca-sovietica-33263.html, 22 gennaio 2015.
[6] E. Perucchietti, G. Marletta, La fabbrica della manipolazione. Come i poteri forti plasmano le nostre menti per renderci sudditi del Nuovo Ordine Mondiale, Arianna Editrice, Bologna, 2014, p. 159.
Purtroppo la globalizzazione liberista ha cavalcato un processo inevitabile. L’evoluzione della coscienza presuppone la capacità di concepire orizzonti sempre più ampi che fanno inevitabilmente crollare le mura dietro le quali cresce la concezione che abbiamo di noi stessi.
Abbiamo accompagnato il processo usando le carte peggiori che disponiamo: volontà di potenza, istinto predatorio, sopraffazione, menzogna, paura come strumento di dominio e tanta violenza. Ciò nonostante, forse si è aperta una porta che non si può più chiudere, la cui apertura però deve essere accompagnata, a differenza di come è stato finora, con la difesa della sovranità e dell’autodeterminazione dei popoli, del diritto internazionale e del rispetto per il ruolo, le capacità e le caratteristiche di ogni nazione, applicando anche ad esse il principio naturale della complementarietà.
Credo che il punto focale dell’orizzonte cristico sia il rispecchiamento della coscienza di sé in una più ampia coscienza che include la vita nella sua globalità. Penso sia un errore per l’uomo privarsi di quest’orizzonte per la paura di perdere la propria identità, in quanto il messaggio evangelico punta al superamento degli egoismi e non alla dissoluzione delle differenze. Così facendo in realtà finiremmo per schierarci proprio con quelle forze che puntano a dividere, a chiudere ognuno nel proprio isolamento e individualismo per rompere ogni fronte di resistenza in modo da poter sottrarre facilmente sovranità e diritti.