Quando Erdogan ha ospitato recentemente i leader di Hamas, inclusi quei leader della resistenza palestinese dichiarati dagli USA “terroristi” e “ricercati”, non sono suonati allarmi a Gerusalemme, Abu Dhabi o Riad. Al contrario, l’incontro di Erdogan ha dimostrato come la Turchia stia pianificando la risposta alla nuova configurazione regionale [in inglese] che mette Israele nel cuore del Medio Oriente a fianco degli Emirati Arabi Uniti, come nuovo leader auto-nominatisi del “Mondo Arabo”. La Turchia, nella sua forma attuale, sfida le ambizioni degli Emirati. Non si può negare che, con Erdogan, abbia intrapreso una marcia per reclamare la sua “gloria ottomana”, un ritorno al futuro in cui la Turchia diventa il più potente tra i paesi musulmani.
Molto di quello che la Turchia sta facendo in Siria, Libia e Mediterraneo ha formalmente molto a che fare con il ristabilire la presenza e la dominazione turca negli ex territori ottomani. Ora che gli Emirati Arabi Uniti hanno stretto un accordo con Israele, mandando un’ondata di stupore su tutto il mondo musulmano, e ora che altre nazioni già pensano di seguire il loro esempio [in inglese] e di favorire una soluzione a due stati, la situazione ha offerto ad Erdogan la rara opportunità di proiettare la Turchia come nuovo leader della resistenza palestinese, e perciò di lanciare la sua “missione gloriosa” [in inglese] dall’Africa (in Libia) al Medio Oriente (in Palestina).
Al centro di quello che appare come un “passo sfacciato” di Erdogan, c’è una considerazione strategica riguardo a quell’accordo, avente il beneplacito degli Stati Uniti e mirato a cambiare lo scenario regionale in modo da urtare gli interessi dei turchi. Il nuovo ordine regionale messo in essere dagli impegni dell’accordo ha, secondo le previsioni dei turchi, la Turchia come obiettivo principale. Per la Turchia, l’accordo è un reciproco avvicinamento dei suoi principali stati rivali.
Ormai le relazioni turche con Israele sono compromesse. Mentre i loro legami commerciali ed economici sono molto buoni, le loro relazioni diplomatiche non lo sono. Mentre i loro rapporti militari erano una volta eccezionali, oggi non esistono più. E mentre ancora mantengono legami diplomatici, nel 2018 la Turchia ed Israele hanno reciprocamente espulso gli ambasciatori. Le tensioni sono rimaste in ebollizione per anni, da quando il Presidente turco Erdogan continua ad imporsi sempre più come leader islamista.
Per ciò che riguarda gli Emirati Arabi Uniti, la Turchia li considera come uno dei principali sponsor del tentato colpo di Stato del 2016. Inoltre, sia gli Emirati Arabi che Israele appoggiano le milizie curde, gruppi che Ankara ha dichiarato “terroristi”, muovendo guerra contro di loro in Siria.
La reazione di Ankara è stata perciò quella di denunciare apertamente l’accordo, dicendo [in inglese]:
Né la storia né la coscienza collettiva della regione dimenticherà e cancellerà mai il comportamento ipocrita degli Emirati Arabi Uniti, che stanno tentando di rappresentare l’accordo come una rinuncia per la Palestina, quando in realtà si tratta di un tradimento della causa palestinese per i propri interessi ristretti.
Non v’è dubbio che la causa palestinese rimane un argomento politico popolare nel mondo arabo, un seme che Erdogan sta attivamente sfruttando a proprio vantaggio. Come suggeriscono gli ultimi sondaggi, una schiacciante maggioranza del mondo arabo si oppone a qualsiasi riconoscimento diplomatico di Israele. In confronto all’84% nel 2011, intorno all’87% si opponeva a relazioni diplomatiche con Israele nel 2018.
Per Erdogan, lo stato d’animo è indicativo della crescente rabbia nel mondo arabo sia contro Israele sia contro gli Emirati Arabi Uniti. Perciò facendosi paladino della “causa palestinese” egli intende canalizzare l’energia anti-israeliana verso gli Emirati Arabi Uniti e gli altri paesi arabi apparentemente disponibili a riconoscere Israele.
Facendo così, la Turchia punta a lanciare un affronto sia verso gli Emirati Arabi Uniti (ed anche verso Egitto e Arabia Saudita) sia verso Israele, tutti paesi posizionati contro la Turchia in Libia e persino nel Mediterraneo.
Mentre gli Emirati Arabi Uniti stanno sostenendo il generale Khalifa Haftar in Libia, la Turchia sostiene il governo più islamista dell’Accordo Nazionale di Tripoli. Allo stesso tempo, Israele ed Egitto, alleato degli Emirati Arabi Uniti, hanno firmato un accordo marittimo con la Grecia e Cipro allo scopo di escludere la Turchia dalle esplorazioni per il gas nel Mediterraneo orientale.
Analogamente, circa nello stesso momento in cui l’accordo Israele-Emirati Arabi Uniti è stato reso pubblico, il Ministro degli Esteri greco ha incontrato la sua controparte israeliana Gabi Ashkenazi e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu. Poco prima, Gerusalemme ha dichiarato la sua solidarietà con la Grecia. È stato poi annunciato dagli Emirati Arabi Uniti che quattro jet da combattimento F16 [in inglese] sono stati spediti in Grecia per prendere parte ad un’esercitazione militare insieme agli ellenici. Si sono registrate molte azioni diplomatiche congiunte che segnalano una nuova alleanza anti-turca nella regione.
In questo contesto, la mossa della Turchia di riunire attorno a sé i palestinesi e persino esortare la fine del conflitto interno tra Hamas e Fatah per costituire un “fronte unito”, suggerisce una forte spinta dei turchi verso l’effettiva sfida ai suoi rivali per stabilire la propria egemonia nel mondo arabo, un obiettivo che Erdogan considera qualcosa per cui valga veramente la pena di sacrificarsi.
Mentre l’alleanza Emirati Arabi Uniti-Israele ha lo scopo di configurare nuovamente l’ordine regionale, le mosse stesse della Turchia sono molto in accordo con la politica dichiarata di Erdogan di rendere la Turchia una “super-potenza” [in inglese], un obiettivo che inevitabilmente implica un’intensa battaglia per il potere nel Medio Oriente, e incoraggia persino una nuova “primavera araba” che potrebbe spazzare via l’accordo, etichettando la Turchia come l’unico leader dei “musulmani oppressi”.
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Articolo di Salman Raifi Sheik pubblicato su New Eastern Outlook l’8 settembre 2020
Traduzione in italiano di Michele Passarelli per SakerItalia
[le note in questo formato sono del traduttore]
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la turchia o meglio erdogan da facendo da “paravento”, da sparring partner al suo vero alleato, ovvero chi veramente tira le fila in medio oriente e gli ha salvato la vita nel tentato golpe del luglio 2016(e non erano i russi )
…e in cambio il satrapo cerca di ritagliarsi uno spazio strategico sempre piu largo, dato che sta spaziando dalla libia al caucaso,passando per la siria fino al golfo arabico e nel corno d’africa.
Diciamo che per stare al gioco, erdogan rispolvera le velleità ottomane vestendo i panni del messia pan-islamico,del difensore di tutti i musulmani di qualunque confessione..
Con beneplacito ovviamente degli americani..
..ma..ma….c’è chi come H.Meyssan sostiene che il dittatore turco è sullo stesso viatico intrapreso da saddam hussein quando con le sue truppe invase il kuwait.per rivendicare i danni subiti nell’inutile guerra contro l’iran cui era stato indotto .Invasione che però segnò la sua fine.
Insomma, da piu parti stanno aspettando che erdogan metta un piede nel vuoto, faccia il passo piu lungo della gamba per essere ridimensionato…e fare la fine che avevano prospettato per lui nel luglio 2016…
Questo comunque non succederà prima che gli accordi di pace fra Israele e tutti gli stati del golfo arabico vengano attuati…
..e in questo frangente la causa palestinese non può essere sposata da pericolosi rivali o costituire delle incognite incontrollabili….ma da uno sparring partner a cui far credere di essere un campione, nuovo principe ottomano.
Francia, Usa, EAU, Israele mai si esporranno di prima persona contro Erdogan… piuttosto lo spingerano contro la Russia come un cane rabbioso e sarà Putin che dovrà vedersela con lui.
E’ chiaro il vantaggio per l’Occidente: il lavoro sporco lo fa un altro, e si prendono 2 piccioni con una fava, uno è tolto di mezzo e l’altro è sputtanato ancora di più come “guerrafondaio” e nemico del mondo pacifico.