Esecuzioni di massa in patria, guerra all’estero – l’Arabia Saudita tenta, a forza di assassinii, di tirarsi fuori dalle proprie avversità.
4 gennaio, 2016 (Tony Cartalucci – NEO) – Al sopraggiungere del capodanno in tutto il mondo, l’Arabia Saudita stava già per sperimentare un pessimo inizio d’anno. I media occidentali infatti hanno pubblicato dei tiepidi reportage relativi all’esecuzione di massa di 47 detenuti, accusati di essere “terroristi”, anche se il più noto tra loro era chiaramente un leader politico, non un militante.
Voice Of America, il servizio di informazione del Dipartimento di Stato USA, principale fonte di informazione per gli articoli di AP, AFP e Reuters, nel suo articolo, “Saudi Arabia Executes 47, Including Prominent Shi’ite Cleric,” affermava che:
L’Arabia Saudita ha eseguito la condanna a morte di massa più grande in oltre trent’anni, mettendo a morte 47 persone detenute per terrorismo, tra cui un eminente ecclesiastico sciita.
La maggior parte dei condannati erano presunti militanti sunniti, e alcuni avevano legami con Al Qaeda, secondo le agenzia di stampa. Tutti tranne due erano Sauditi; uno proveniva dal Chad, e l’altro era Egiziano.
L’ecclesiastico era lo Sceicco Nimr al-Nimr, una figura chiave nelle proteste sciite esplose durante la Primavera Araba del 2011. Egli aveva anche criticato il trattamento riservato alla minoranza sciita in Arabia Saudita.
Del tutto assente da VOA e dal resto dello spazio riservato nei media occidentali a questa esecuzione di massa un minimo di quella indignazione che solitamente accompagna gli articoli sui nemici di Wall Street, Washington, Londra e Bruxelles, nel momento in cui questi ultimi compiono atti percepiti come rappresaglia nei confronti di oppositori politici, nella maggior parte dei casi appoggiati dall’Occidente – repressioni che in genere si traducono in sentenze molto meno severe della condanna a morte, per crimini solitamente ben più gravi del semplice attivismo politico.
Del tutto assente inoltre dai reportage occidentali qualunque tentativo di analizzare o mettere in discussione le informazioni che arrivano dall’Arabia Saudita – come l’affermazione che la maggior parte dei condannati fossero “militanti sunniti” o che “avevano legami con Al Qaeda”, un’organizzazione terroristica i cui membri erano stati appena invitati a Riyadh per concertare con il governo saudita le operazioni militari che Riyad sotto copertura porta avanti in Siria, Iraq e altrove – Al Qaeda stessa non essendo altro che il frutto di una cospirazione saudita-americana iniziata negli anni ottanta.
Condannare a Morte gli Oppositori Politici
Lo sceicco Nimr al-Nimr potrebbe aver ricevuto aiuto dall’estero per cercare di minare il regime saudita. Chiaramente rappresentava le aspirazioni regionali di controbilanciare l’egemonia USA e i regimi che gli Stati Uniti hanno usato per mantenere, espandere o sostenere quest’egemonia, tra cui l’Arabia Saudita.
Però, la sua condanna a morte, se fosse stato una figura di rilievo in Siria, o in Russia, avrebbe dato luogo ad una campagna estesa e coordinata di condanna nei circoli politici di tutto l’Occidente, nei suo media, e tra i gruppi dei cosiddetti “attivisti per i diritti umani” come Human Rights Watch e Amnesty International.
Per lo sceicco Nimr al-Nimr invece, c’è stato solo un silenzio complice.
E anche se gruppi di “attivisti per i diritti umani” come Amnesty International in effetti hanno sottolineato che l’Arabia Saudita stesse mettendo a morte un prigioniero politico, i loro comunicati sono stati ripuliti e hanno trovato spazio solo come note a piè di pagina nei rapporti occidentali, se non del tutto ignoranti, e le solite minacce, sanzioni ed azioni esercitate dai politici occidentali contro nazioni come Siria, Russia, Iran o Cina, non si sono viste né prima, né dopo l’esecuzione di massa in Arabia Saudita.
Il rapporto di Amnesty International, “Saudi Arabia: Appalling death sentence against Shi’a cleric must be quashed,” afferma:
Le prove di tutte le accuse per cui è stato condannato provenivano da sermoni religiosi e interviste attribuite all’ecclesiastico. I testi diffusi da Amnesty International conferma che egli stesse esercitando il suo diritto alla libertà di espressione e che non incitasse alla violenza. Alcune delle accuse, come la disobbedienza al sovrano, non dovrebbero essere reati in quanto criminalizzano il diritto alla libertà d’espressione. Altri capi di imputazione erano vaghi e sono stati utilizzati semplicemente al fine di punirlo per le sue attività pacifiche.
Ma a dispetto di questo, sembra che i media occidentali stiano cercando di giustificare la condanna di massa nelle menti di lettori inconsapevoli. Che l’establishment politico occidentale e i monopoli mediatici che gli prestano voce riportino selettivamente o sfruttino a proprio vantaggio la percezione degli abusi in tema di diritti umani in alcune nazioni, quando invece silenziano intenzionalmente, distraggono da, o altrimenti insabbiano reali abusi in altre nazioni, illustra perfettamente l’applicazione selettiva di ciò che affermano essere il proprio primo principio fondante – la democrazia, la libertà e la difesa dei diritti umani.
Esecuzioni di Massa in Patria, Guerra ai Propri Vicini
Andrebbe sottolineato che l’Occidente – e in particolare gli Stati Uniti – hanno usato la forza per rovesciare nel 2011 il governo libico per motivi “umanitari” e che il coinvolgimento occidentale in Siria è stato invocato per motivi analoghi. Allora perché l’Occidente non si è mosso contro l’Arabia Saudita, quando era chiaramente sul punto di dichiarare guerra non solo contro la propria gente, ma anche contro i propri vicini, e segnatamente lo Yemen?
In effetti l’ipocrisia occidentale va molto oltre quest’ultima esecuzione di massa. Lo stesso silenzio complice accompagna la guerra dell’Arabia Saudita, spalleggiata da USA ed Europa, contro il vicino Yemen. E’ una guerra che ha devastato molte delle città più grandi ed importanti dello Yemen, distruggendo le sue infrastrutture e tagliando fuori la popolazione Yemenita dalle sue risorse economiche ed umanitarie all’estero, sequestrando i suoi porti e con un blocco navale coordinato.
E‘ una guerra combattuta con armi occidentali. Gli USA hanno recentemente venduto ordigni per oltre un miliardo di dollari all’Arabia Saudita per consentirle di proseguire le sue operazioni in Yemen. La BBC nel suo articolo, “US State Department approves Saudi Arabia arms sale,” ha riferito:
Il Dipartimento di Stato USA ha approvato la vendita di bombe per 1,29 miliardi di dollari (848,6 milioni di sterline) all’Arabia Saudita, mentre le sue forze armate compiono azioni di attacco aereo contro il vicino Yemen.
Sono i carri armati americani, gli M-60 Patton e gli M1 Abrams, così come i carri francesi Leclerc, i principali mezzi da battaglia che conducono le truppe corazzate nello Yemen dal confine saudita a nord e dal porto della città di Aden a sud. E sono velivoli americani quelli che l’Arabia Saudita manda in Yemen a far piovere distruzione sulle aree popolate, uccidendo a migliaia, ferendo a decine di migliaia e costringendo alla fuga o in qualche modo danneggiando molti altri.
In altre parole, tra brutali repressioni armate, esecuzioni di massa in patria e una guerra di aggressione all’estero, l’Arabia Saudita è in tutti i sensi una minaccia reale ai diritti umani, alla libertà e alla democrazia, in modo del tutto analogo a quanto gli USA avevano affermato nel 2011 riguardo al governo libico prima di intervenire per eliminarlo, o una minaccia equivalente a quella del governo siriano, nel cui sempre più intricato tentativo di rovesciamento si trovano invischiati.
Ma, invece di contrastare l’Arabia Saudita – uno degli alleati più antichi e forti per decenni nella regione – gli USA hanno continuato a sostenerla, difenderla e coprirla nei suoi numerosi e sempre crescenti crimini contro l’umanità.
Segni di Debolezza
Comunque, deve essere chiaro da subito che gli USA e i suoi alleati stanno fallendo in Siria e in Iraq, e sono in difficoltà in Yemen. Il crescente conteggio dei cadaveri in Arabia Saudita è indice di un regime che si aggrappa al potere in mezzo a crescenti avversità. Ma al crescere del conto dei corpi, le avversità crescono proporzionalmente. Dovessero gli USA fallire in Siria, e in Iraq e se perdessero anche la loro guerra per delega condotta in Yemen da forze saudite e di altri paesi del Golfo Persico, non passerà molto tempo prima che il conflitto si propaghi dall’oriente e dalla punta all’estremo sud della Penisola Araba, in cui è costretto adesso, sullo stesso territorio saudita.
Mentre l’occidente si diverte con i propri giochi egemonici al sicuro a Wall Street, Washington, Londra e Bruxelles, saranno i suoi rappresentanti nella regione – in Turchia, Arabia Saudita, Bahrain, negli Emirati Arabi Uniti e nel Qatar che dovranno affrontare una minaccia reale alla propria esistenza e la prospettiva di cadere vittime delle proprie trame di “regime change” che finiranno per rivoltarsi contro di loro.
Se e quando arriverà quel giorno, i despoti del Golfo Persico e coloro che infangano la reputazione e la posizione globale della Turchia ad Ankara desidereranno di aver scelto un mondo multipolare a cui prestare affidamento. Anche se non sarebbe un mondo nel quale avrebbero uno status altrettanto ricco ed influente, sarebbe un mondo che li vedrebbe ancora vivi.
Tony Cartalucci svolge la propria attività a Bangkok, ricercatore e scrittore, si occupa principalmente di geopolitica per la rivista online “New Eastern Outlook”
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Articolo di Tony Cartalucci pubblicato da LandDestroyer il 4 Gennaio 2016
Traduzione in Italiano a cura di Mario B. per SakerItalia.it
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