E’ difficile afferrare del tutto il paradosso – per non parlare dell’assoluto schifo – nella decisione di Donald Trump di fare dell’Arabia Saudita la prima tappa della sua prima missione all’estero in qualità di Presidente degli Stati Uniti.
Tale decisione rappresenta l’ennesima brusca inversione di marcia per Trump. Il candidato presidenziale Trump non era un fan del regno saudita. In effetti, non si faceva problemi nell’attaccare Riyadh in modi che i suoi avversari politici non osavano nemmeno sognarsi.
All’inizio del 2016, Trump chiese [in inglese] ai conduttori del programma televisivo “Fox & Friends“: “Chi ha fatto esplodere il World Trade Center? Non sono stati gli iracheni, sono stati i sauditi – basta controllare l’Arabia Saudita, verificare la documentazione”.
Mentre la sua principale rivale nella corsa per la presidenza, Hillary Clinton, accettava donazioni saudite per la sua controversa fondazione di beneficenza, Trump usava parole infuocate. In un post su Facebook scrisse: “L’Arabia Saudita e molti dei paesi che hanno dato enormi somme di denaro alla Fondazione Clinton vogliono mantenere le donne in schiavitù e uccidere gli omosessuali. Hillary deve restituire tutti i fondi dati da questi paesi!”
La giusta indignazione e la rabbia di Trump contro i sauditi si sono tuttavia dissolte quasi istantaneamente non appena egli è stato eletto. Con grande soddisfazione dei neocons di Washington, che desideravano una politica più aggressiva nei confronti dell’Iran, principale avversario locale di Riyadh.
E il denaro accettato dalla Clinton? Beh, i soldi dei sauditi vanno benone fintanto che riempiono le tasche dei produttori di armi come Lockheed, Raytheon e BAE Systems. Citando Voltaire: “Quando si tratta di soldi, sono tutti della stessa religione”.
Gli affari con le armi e il massacro in Yemen
Il giorno dopo l’uscita della notizia relativa al prossimo viaggio di Trump a Riyadh, la Reuters ha pubblicato [in inglese] un’esclusiva: Arabia Saudita e Stati Uniti stanno negoziando l’acquisto di armi per miliardi di dollari. Tutto ciò non è particolarmente sorprendente, né una peculiarità di Trump. L’amministrazione Obama aveva già offerto armi a Riyadh per un valore di oltre 100 miliardi di dollari.
Trump tuttavia ha intenzione di rafforzare i legami degli USA col regno saudita, nel tentativo di migliorare le relazioni che si erano inacidite sotto Obama, in parte a causa della firma dell’accordo sul nucleare iraniano. Ovviamente, migliorare i legami e la fiducia significherà anche un maggior sostegno da parte degli americani alla campagna saudita di bombardamenti indiscriminati in Yemen.
Gli USA sono il principale fornitore di armi all’Arabia Saudita, mentre questi ultimi bombardano senza tregua gli Houthi yemeniti, appoggiati dall’Iran, e causano quella che l’ONU definisce una delle peggiori crisi umanitarie nel mondo.
Ora, mentre i sauditi si attrezzano per conquistare il porto di Hodeidah, controllato dagli Houthi – e da cui passa la maggior parte delle importazioni dello Yemen – le organizzazioni per i diritti umani dicono che questo potrebbe provocare una carestia catastrofica. Ciononostante, l’amministrazione Trump sta valutando un ulteriore aiuto militare diretto all’attacco saudita.
E’ chiaro che i bambini che muoiono di fame in Yemen non hanno su Trump lo stesso effetto emotivo che hanno avuto i bambini siriani, quando ha avuto bisogno di un pretesto per bombardare una base aeronautica siriana, basandosi sulla non provata e dubbia accusa che Assad avrebbe effettuato un attacco di armi chimiche contro il suo stesso popolo.
L’aggressione saudita in Yemen, e la risultante crisi umanitaria, hanno ricevuto scarsa attenzione dai media occidentali, in confronto alla guerra in Siria. Il motivo è semplice: se non si possono incolpare i nemici degli USA, la notizia inevitabilmente riceve meno copertura mediatica. Gli alleati degli americani ricevono invece il permesso di commettere ogni tipo di barbarie, fintanto che ciò torna utile agli interessi della politica estera degli USA.
Combattere “l’estremismo religioso”
Forse la cosa più paradossale, in tutto questo, è che Trump si aspetta che il popolo americano creda che l’alleanza con l’Arabia Saudita sia il modo migliore di combattere il terrorismo e l’estremismo islamico.
Una volta a Riyadh, il presidente americano parteciperà ad un incontro sul tema “Minacce dell’estremismo religioso”. Durante la sua permanenza nella capitale saudita si prenderà un momento per guardarsi intorno? Forse farà un salto in uno Starbucks locale e noterà il muro che separa [in inglese] l’area per gli uomini da quella per le donne?
In Arabia Saudita, alle donne non è concesso [in inglese] guidare l’auto. Né possono sposarsi, andare a scuola o aprire un conto in banca, né addirittura uscire di casa senza un uomo che faccia loro da guardiano. Se una donna commette adulterio, può essere lapidata a morte, mentre un uomo se la caverebbe con 100 frustate [in inglese]. Nel 2007, la vittima di uno stupro di gruppo è stata condannata [in inglese] a sei mesi di prigione e 200 frustate – la sua colpa? Essere in presenza di un maschio che non era membro della sua famiglia. Nel 2016, l’ONU ha chiesto [in inglese] a Riyadh di abolire le leggi che consentono la lapidazione, l’amputazione, la flagellazione e l’esecuzione di bambini.
Trump ha più volte criticato la pratica barbarica della decapitazione. Qualcuno gli dirà che nel 2016, le decapitazioni in Arabia Saudita hanno segnato il record [in inglese] negli ultimi due decenni?
Queste barbarie sono praticate in nome della religione, ma a Trump, crociato contro l’estremismo islamico, sembra non importare. Senza dubbio chiuderà un occhio sul vero ruolo di Riyadh nel finanziare e fomentare [in inglese] il terrorismo e l’estremismo islamico, come “conseguenza delle politiche religiose del regno saudita nel promuovere il credo wahabita-salafita”. Lo stesso ISIS è un sottoprodotto dell’ideologia wahabista promossa [in inglese] da Riyadh.
La realtà è che niente di tutto ciò ha davvero a che fare col combattere l’estremismo. Gli USA si alleano di frequente con estremisti allo scopo di raggiungere i propri obbiettivi di politica estera o di guadagnare dai conflitti regionali. Qui si tratta solo di fare soldi e di tenere a bada l’Iran.
In un mondo normale, ci cureremmo di più del fatto che l’Arabia Saudita condanna a morte bambini che non del fatto che i produttori di armi possano guadagnare miliardi di dollari facendo affari con loro. Nel mondo in cui viviamo, invece, abbiamo eletto [in inglese] l’Arabia Saudita nella Commissione ONU sui Diritti delle Donne – e siamo riusciti a farlo senza fare una piega.
Prima l’America?
Quando Trump disse al popolo americano che la sua presidenza avrebbe significato “Prima l’America”, probabilmente il popolo non pensava che lui intendesse che per prima cosa ci sarebbero stati i produttori di armi americani, e in secondo luogo tutti gli altri. Quando Trump disse che gli USA avrebbero passato meno tempo invischiati in guerre all’estero, probabilmente i cittadini americani non si aspettavano che la sua amministrazione avrebbe incrementato il proprio coinvolgimento in Medio Oriente.
Gli ultimi predecessori di Trump avevano scelto tutti di visitare i paesi confinanti, Canada o Messico, nel loro primo viaggio diplomatico all’estero. La decisione di Trump di visitare l’Arabia Saudita prima di ogni altra nazione la dice lunga.
Di certo, il messaggio lanciato da questa decisione di Trump, e se si tratti di una cosa buona o meno, dipende da chi siete. Se siete un neocon americano che si attrezza ad uno scontro con l’Iran e che appoggia i ribelli jihadisti affiliati ad Al-Qaeda in Siria, senza dubbio sarete deliziati dalla rinvigorita alleanza tra USA e Arabia Saudita.
Se invece vi preoccupano i bambini che muoiono di fame in Yemen e il fatto che si vendano miliardi di dollari di armi mortali ad uno dei più brutali e repressivi regimi sulla faccia della Terra, il solo messaggio lanciato dalla visita di Trump a Riyadh sarà che un barbarico disprezzo dei basilari diritti umani è tollerabile fintanto che ciò serve agli interessi finanziari e militari degli USA.
Per cui, forse dopotutto è vero che per prima cosa viene l’America. Ma non nel modo in cui molti degli elettori di Trump si erano immaginati.
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Articolo di Danielle Ryan pubblicato su RT il 7 maggio 2017
Traduzione in italiano a cura di Spart@k per Sakeritalia.it
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