Il cosiddetto [in inglese] “Caesar Syria Civilian Protection Act” statunitense fa di tutto tranne che “proteggere” il popolo siriano. Semmai, mira a ciò che normalmente farebbe una legge draconiana, distruggere e strangolare ulteriormente l’economia siriana per rendere ancora più difficile la ricostruzione e lo sviluppo economico del paese dopo la guerra.

Come afferma in termini espliciti la “relazione sulla politica” dell’Atto, gli Stati Uniti continuano a cercare un “cambio di regime” in Siria. In effetti, lo scopo cardine degli Stati Uniti dietro l’innesco di una “guerra civile” in Siria è sempre stato quello di “rimandare Assad a casa”, ma la strategia militare combinata di Siria, Iran e Russia si è rivelata la chiave per sconfiggere i gruppi militanti sponsorizzati dalla CIA. Gli Stati Uniti, così come sono, continuano a perseguire lo stesso obiettivo, anche se la sconfitta militare in Siria li ha costretti a spostare la loro attenzione dall’intervento militare diretto e dal sostegno ai gruppi militanti, alle sanzioni economiche.

Anche se non è la prima volta che vengono imposte sanzioni alla Siria, il fatto che questo “atto di protezione” espanda la portata degli Stati Uniti anche ai non siriani, cioè ai “partner stranieri” siriani (Russia, Cina, Iran) ne fa un attacco ancora peggiore all’economia siriana. Questo a sua volta fa parte di una strategia degli Stati Uniti ufficialmente dichiarata [in inglese] per rendere la Siria un “pantano per la Russia”.

L’obiettivo è duplice: limitare la capacità dei partner stranieri della Siria di versare liberamente denaro nell’economia della ricostruzione siriana, e aggravare ulteriormente le sue già estremamente povere condizioni. Con la carestia [in inglese] che sta già bussando alle porte della Siria, le nuove sanzioni statunitensi non faranno che peggiorare le condizioni economiche, che hanno già costretto [in inglese] circa l’83% dei siriani a vivere al di sotto della soglia di povertà.

La sterlina siriana, che è rimasta stabile intorno a 500 dollari per diversi anni, è entrata in caduta libera lo scorso anno, toccando un minimo di 3.000 dollari a giugno, in previsione di nuove sanzioni. Quel calo della valuta sta ostacolando i piani di Assad per acquistare tutto il grano di quest’anno per compensare il calo delle importazioni, che sta intaccando le riserve strategiche.

Ciò di cui la Siria ha bisogno, secondo le stesse Nazioni Unite, è una “iniezione immediata e sostanziale di fondi, provviste salvavita, di cibo, acqua, assistenza sanitaria”, tuttavia, ciò che ottiene dall’Occidente sono le sanzioni estese e, come lo ha chiamato Mike Pompeo, il proseguimento delle “attività di stabilizzazione statunitensi nel nord-est della Siria” dove si trovano la maggior parte dei pozzi petroliferi siriani. Mentre il petrolio potrebbe rivelarsi cruciale per la ripresa economica della Siria, questo ovviamente non è ciò a cui gli Stati Uniti vogliono assistere. Di conseguenza, un “disastro petrolifero” sotto gli auspici degli Stati Uniti sta già incombendo [in inglese] nel nord-est della Siria.

Allo stesso tempo, in cui gli Stati Uniti avvertono dell’arrivo imminente di una crisi, il “Protection Act” mira a garantire che i siriani non ottengano nulla. La legge afferma che il Presidente degli Stati Uniti imporrà sanzioni a una “persona straniera” se intraprende azioni che, consapevolmente, includono “vendere o fornire beni, servizi, tecnologia, tecnologia informatica o altro tipo di supporto che facilitano in modo significativo il governo siriano nella manutenzione o nell’espansione della produzione interna di gas naturale, di petrolio o di prodotti petroliferi”.

L’atto prosegue spiegando ulteriormente che parte di questa “strategia” statunitense è quella di “dissuadere le persone straniere dal concludere contratti relativi alla ricostruzione nelle aree” sotto il controllo diretto del governo siriano o dei suoi sostenitori dalla Russia e dall’Iran. L’atto auto-esplicativo chiarisce che le sue clausole sono un tentativo deliberato di garantire che la Siria, devastata da una guerra che gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno progettato e imposto nel 2011, non venga ricostruita, e che i siriani siano costretti a vivere fra le rovine.

Questo, sperano gli Stati Uniti, potrebbe costringere i siriani a sollevarsi contro il loro governo, erodendone la legittimità. Ma è altamente improbabile che produca i risultati desiderati, perché, allo stato attuale, le sanzioni senza un chiaro obiettivo politico non sono altro che una questione politica a scapito dei più vulnerabili, cioè la gente comune della Siria. Pertanto, se le ragioni alla base delle pessime condizioni del popolo siriano sono le sanzioni statunitensi, come ha affermato [in inglese] anche la Croce Rossa nel suo recente rapporto, è improbabile che il popolo siriano si mobiliti contro il governo, che è stato abbastanza resiliente da portare la stabilità politica su larga scala a gran parte della Siria.

Che questo sia improbabile che accada è, in effetti, una delle ragioni principali per cui gli Stati Uniti hanno deciso di imporre sanzioni alla Siria, in modo da togliere ad Assad e ai suoi alleati la capacità di stabilizzare il paese. Pertanto, mentre le sanzioni statunitensi non hanno mai funzionato, come nel caso dell’Iran e del Venezuela, per arrivare ad un “cambio di regime”, è molto probabile che creino una crisi umanitaria e rendano difficili gli sforzi di ricostruzione. Questo “atto di protezione” non è quindi contro il regime, è principalmente contro le persone e contro lo sviluppo. Mira a diffondere il caos e a erodere gli sforzi di stabilità politica ed economica del governo. D’altra parte, se l’atto “protegge” qualcosa, sono gli interessi degli Stati Uniti.

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 Articolo di Salman Rafi Sheikh pubblicato su New Eastern Outlook il 20 luglio 2020
Traduzione in italiano di Diego per SakerItalia

[le note in questo formato sono del traduttore]

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