Lo scandalo della “13° Divisione”, preparata dagli istruttori americani per la guerra contro Assad,  e che si è immediatamente arresa al Fronte Islamico al-Nusra, subito dopo aver attraversato il confine turco, sta ora facendo il giro del mondo. Di scandali simili ce ne saranno ancora. Essi sono dovuti alla metodologia stessa dell’addestramente americano degli “alleati” in Siria tanto quanto in Georgia o in Ucraina.

Vorremmo ricordare che, alla fine della storia, è stato il “Fronte Al-Nusra” (una diramazione di Al-Qaeda) a ricevere armi, equipaggiamento e diversi pickup dagli Stati Uniti. Il comandante della “13° Divisione” ha assicurato gli esponenti del “Fronte” di aver ingannato l’esercito americano al solo scopo di ottenere le armi. Le motivazioni per cui tutto questo è accaduto, e potrebbe accadere ancora, si possono dividere in tre diverse categorie.

Intelligence militare – aspetti psicologici

Al centro di addestramento di Yavorov, si sono verificati diversi casi in cui il personale militare ucraino, passato attraverso il tritacarne della guerra in Novorussia, ha rifiutato di obbedire agli istruttori americani, ritenuti da questi veterani  dei “pivelli totali”.

L’immagine degli esperti della CIA che decidono chi scegliere come alleato in Medio Oriente è stata esagerata da Hollywood. Nella stragrande maggioranza dei casi, il personale operativo si interessa solo di quelli che, almeno formalmente, sembrano più leali. Se poi qualcuno viene ritenuto interessante, ma non sufficientemente leale, allora si preferisce pagarlo, anche se tali “partners” sono sempre stati considerati inaffidabili. La coalizione anti-Assad è stata messa insieme più o meno con questi sistemi.

In tutto questo, il comportamento del personale CIA è estremamente regolamentato. Per qualunque evento importante ci sono istruzioni scritte che bisogna conoscere e praticamente imparare a memoria. Non conformarsi alle istruzioni operative porta a subire sanzioni. Le capacità decisionali del personale operativo sono limitate e talvolta esso è costretto ad “eseguire” delle istruzioni piuttosto che gestire una situazione. Molte grosse agenzie di intelligence soffrono per questa situazione, ma quella americana, in aggiunta a tutto il resto, è ancora basata su stereotipi ideologici e, anche se in misura minore, etnici. Teoricamente parlando, ogni “basmach” (un membro di un qualsiasi movimento  anti-sovietico dell’Asia Centrale) che sia capace di pronunciare distintamente la parola “democrazia”, ha la possibilità di ricevere finanziamenti ed armi. Quando poi se ne va via con queste armi, nessuno riesce più a controllarlo. Per inciso, l’intelligence sovietica dei tempi di Breznev soffriva anch’essa di questo problema, dando fiducia ad  ogni capotribù capace di pronunciare le parole “Marx” e “Lenin”.

Tutto questo ci porta direttamente alla situazione vista precedentemente. La  “13° Divisione” e Abd al-Tunisi avevano mostrato di essere personalmente leali, si erano conquistati la fiducia degli americani, avevano ricevuto le armi e con esse se l’erano filata. La percezione stereotipata ed ultrasemplificata del mondo è una caratteristica sorprendente della CIA. Certamente questo è dovuto alla “perdita dell’avversario principale” e alla sensazione di essere il vincitore, ideologico anziché pratico, nella comprensione degli eventi planetari. Messa insieme con calci e promesse, la coazione anti-Assad è collassata a causa di obbiettivi sbagliati ed errori della CIA. L’analisi corretta delle informazioni è possibile solo se fatta da esperti che non abbiano una percezione del mondo ideologica, e Langley su questo punto ha sicuramente dei problemi. Il sistema carrieristico della struttura mette da parte le persone con un modo di pensare non conformista e l’assunzione in massa di ex-marines nei ruoli dirigenziali ha segnato il completo fallimento del sistema di analisi e indagine.

Lo scandalo della “13° Divisione” è ben lungi dall’essere l’unico e ancora ce ne saranno. L’età dell’oro degli analisti è rimasta sulle colline di Hollywood (praticamente solo nei film).

L’addestramento americano degli eserciti di alleati incerti è sempre stato un motivo di orgoglio per quelli che vengono addestrati. In particolare, Pietro Poroshenko e il suo governo erano quasi euforici quando è stato loro comunicato che al centro di addestramento di Yarovov c’erano istruttori americani che stavano preparando il personale militare secondo un programma di istruzione accelerata. Vista la mancata consegna di armi vere e proprie, questi corsi di addestramento sono diventati quasi l’unico aiuto militare dell’Occidente.

Паны-с-пиндостана-300x206Gli Americani usano il sistema “guarda e ripeti” per preparare gli Ucraini (e ancor prima i Georgiani, i Croati, gli Albanesi e ora in Siria i cosiddetti “oppositori di Assad” come la “13° Divisione”). In realtà questo è qualcosa che assomiglia ad un “allenamento di base”: corse ad ostacoli, maneggio delle armi e preparazione fisica. Inoltre gli istruttori tengono corsi di radiocomunicazione con ricetrasmittenti portatili e sistemi di cifratura che semplicemente non esistono nell’esercito ucraino. Viene insegnato anche ad evacuare i feriti per minimizzare le perdite, ma gli Ucraini che sono ritornati dal fronte della Novorussia possono essere loro ad insegnare agli Americani. Imparano come aprire la porta di una casa usando la mazza, ma quale mazza può avere un soldato in un fronte di mille chilometri in mezzo alla steppa? Imparano a scoprire, usando un gancio speciale legato ad un cordino, se il filo spinato è stato minato, ma non tutti questo lo capiscono. In totale, durante il cosiddetto programma di “correzione” nel centro addestramento di Yarovov venivano eseguiti 63 esercizi, divisi in tre corsi, ciascuno della durata di due mesi. Risultato: un sacco di imprecazioni e casi di disobbedienza.

Questa non è preparazione militare. Nel migliore dei casi è addestramento di polizia, ma solo per la fase iniziale. Il personale dell’esercito americano all’inizio si rivolge alle “reclute” come se fossero indigeni del terzo mondo a cui si deve spiegare da quale parte del fucile esce la pallottola. Per esempio, gli istruttori di Yavorov sono molto stressati dal fatto che arrivano soldati ucraini dalla zona di Donetsk portando con sè fucili mitragliatori carichi e senza sicura. Secondo gli istruttori, questo comportamento non è professionale. Dopo tutto, però, molti sono sopravvissuti proprio grazie a  questo “comportamento non-professionale”.

Questo potrebbe sembrare un aneddoto se non mostrasse proprio l’essenza della preparazione presente nell’esercito americano e che viene trasferita ai suoi alleati. Si enfatizzano le prestazioni fisiche, si elimina ogni motivazione personale, tutto è ridotto ad azioni automatiche eseguite con abilità tecnica e “partecipazione collettiva”. Il risultato è che un combattente che si trovi in una condizione non-standard si smarrisce e non riesce ad adattare le tecniche apprese alla situazione reale. E’ stato “raffinato” solo per qualcosa di prevedibile e, cosa assai più importante, questo è stato fatto in un terreno di addestramento completamente artificiale.

Questo non funzione in Ucraina e neppure in Siria. Gli istruttori americani non sanno cosa voglia dire guardare in faccia la guerra, come comportarsi in un combattimento a distanza ravvicinata, e come nascondersi al fuoco dei Grad. Non sono neanche capaci di mettere in piedi una postazione difensiva. L’esperienza irachena, di cui il Pentagono va così fiero, li ha abituati al pattugliamento, alla protezione delle carovane di veicoli e allo stazionamento in guarnigioni fortificate in mezzo al deserto. Dopo aver avuto per trent’anni solo avversari smaccatamente inconsistenti, l’esercito americano si è abituato a far conto sopratutto sulla superiorità tecnologica e ha perso quasi completamente la capacità di combattere a distanza ravvicinata. Anche nel centro di addestramento di Yavorov si sono verificati diversi casi in cui il personale militare ucraino, passato attraverso il tritacarne della guerra in Novorussia, ha rifiutato di obbedire agli istruttori americani, che, secondo il punto di vista di questi veterani, vengono considerati  dei “pivelli totali”.

In una parola, ormai il Pentagono ha perso il treno; lanciare dei missili da crociera su avversari demoralizzati non è più l’unico modo di condurre delle operazioni belliche. Ora è estremamente difficile stimare la vera capacità offensiva di quell’enorme entità nascosta dietro le quinte costituita dalle forze di terra degli Stati Uniti e del Corpo dei Marines, se essi dovessero di colpo trovarsi a combattere con un avversario simile a loro per capacità tecniche.  Ma queste guerre le fanno gli alleati e i “compagni di viaggio” degli Stati Uniti e loro non hanno, o quasi, aerei, missili da crociera e portaerei. Nei deserti della Siria e nelle steppe della Novorussia non è necessario sfondare le porte con la mazza mentre cerca di ripulire un villaggio da cui tutti quanti hanno già pensato bene di scappare o di nascondersi. Tutto quello che bisogna fare qui è tenere chilometri di fronte sotto il fuoco dell’artiglieria.

Come risultato, la preparazione individuale degli eserciti “alleati” e delle bande di “compagni di viaggio” diventa uno spettacolo da circo. Alcuni, come nel caso dei ribelli anti-Assad in Siria, vedono tutta questa “preparazione” come un male inevitabile, mandato da Allah come una sorta di prova. Altri, come gli Ucraini, si lamentano più rumorosamente che in silenzio. Inoltre, una tale preparazione supplementare non dovrebbe “guastare” i “veterani”. E poi invece succede che i marines ucraini, reclutati fra i riservisti ed addestrati a Yavorov (e per questo considerati una “divisione d’elite” e mandati in un settore difficile del fronte), crollano al primo combattimento con i ribelli.

I “test di massa” dei distaccamenti alleati (per esempio degli stessi Ucraini e Georgiani) in Iraq e in Afganistan, hanno avuto esattamente lo stesso effetto. I distaccamenti sembravano essere “elitari”, viste le esperienze similari, ma si dimostravano di scarsa utilità in una guerra moderna senza, cosa della massima importanza, la copertura tecnologica americana: aerei, droni e artiglieria. Mancano ai combattenti l’iniziativa e la lucidità e  ai comandanti, dal livello di compagnia in su, la capacità di pensare in modo autonomo.

Anche tutta la preparazione tattica è portata avanti sulla base dell’esperienza irachena (considerata per qualche ragione la più avanzata) e si riduce al pattugliamento dei vari distretti con un minimo contatto di fuoco con l’avversario. Nessuno insegna come comportarsi in caso di scontro con un nemico di pari entità in un combattimento diretto che comporti l’utilizzo di una forza superiore ad una compagnia, dal momento che questa eventualità è considerata improbabile ed obsoleta nel secolo degli attacchi cibernetici, dei satelliti e delle armi ad alta precisione. I soldati americani erano riluttanti anche alla stessa idea di condurre un combattimento attivo a distanza ravvicinata e, quando questo accadeva, di solito dopo una copertura di artiglieria, o cercavano di sottrarsene, chiamando l’aviazione, o subivano perdite senza senso. Se negli ultimi trent’anni non ci sono state esperienze di scontri diretti, non c’è neanche bisogno di sviluppare schemi moderni di combattimento. Questo sarebbe un problema solo per gli Americani se essi non trasferissero tutte queste problematiche agli eserciti “da guardia” delle loro nazioni fiduciarie. Negli eserciti delle ex-repubbliche dell’Unione Sovietica c’è una profonda differenza fra i reparti addestrati dagli Americani e quelli in cui continuano a prestare servizio gli ufficiali formatisi alla vecchia scuola. Facciamo l’esempio dell’esercito georgiano, che ha dato molte opportunità per questo tipo di analisi.

Questo è un caratteristico episodio riguardante la preparazione tattica delle unità georgiane, addestrate dagli Americani in “stile iracheno”, durante la guerra del 2008 nell’Ossezia del Sud. (Quello che più importa qui è mostrare il tipo di decisioni prese dai comandanti).

Dalle ore 23:00 del 7 agosto,il 43° Battaglione della 4° Brigata dell’esercito georgiano, posizionato ad ovest di Tskhinval, procedette alla “bonifica” dei villaggi sulla riva destra del fiume Pron. Il battaglione, dopo aver camminato per tutta la notte era stato frazionato nelle varie compagnie e, circa alle ore 11:00-12:00 dell’8 agosto, cadde in un’imboscata a due chilometri dal centro di distretto di Znaur. Lo sbarramento degli Ossetiani aprì il fuoco sul gruppo georgiano. Cinque uomini del 43° Battaglione vennero subito feriti. Dopodiché (secondo gli ordini del comandante di battaglione), tutte le compagnie vennero concentrate insieme in un luogo molto angusto, “allo scopo di distruggere la posizione della base nemica”.

Come risultato, nell’avvicinamento a Shindisi, i comandanti di compagnia scambiarono per georgiani i carri armati russi e vennero completamente annientati.

Anche prima dell’inizio dell’attacco, il comandante di battaglione aveva richiesto un fuoco di copertura da parte dell’artiglieria e lo aveva ricevuto, rinforzato ulteriormente dall’arrivo di tre carri. Il gruppo georgiano continuò ad “ammorbidire” le postazioni della milizia osseta, dopodiché, circa alle ore 16:00 un gruppo di fanteria prese possesso di un’altura, dove  però non trovò traccia di nemici, ed evidentemente non ci furono neanche vittime. Alle ore 18:00, il battaglione, a ranghi compatti, si avvicinò all’entrata del ponte in direzione di Znaur, ma non entrò in città, dal momento che aveva perso il supporto dell’artiglieria. Il battaglione era stanco e aveva bisogno di riposo. Il comandante decise di ritornare sulla precedente posizione di fronte al nemico, accamparsi lì e passare la notte. Così, il battaglione aveva vagato per un giorno intero per montagne e  boschi, aveva trovato “una grossa postazione difensiva nemica” (in seguito si seppe che non c’erano più di 10 ribelli ossetiani che, dopo aver eseguito l’imboscata, se l’erano filata in silenzio), l’aveva bombardata per un’ora e mezzo con l’artiglieria, aveva quasi raggiunto l’obbiettivo, e poi era ritornato sulle posizioni iniziali perché era stanco.

Lo ribadiamo ancora una volta: questa era la divisione che era stata preparata appositamente per servire in Iraq. Non sapevano che cosa vuol dire marciare senza sosta, giorno e notte, fare in fretta, eseguire attacchi, manovrare e organizzare uno sfondamento. Non hanno agito neanche “secondo il manuale”, ma seguendo le macchinose tattiche irachene di pattugliamento, assolutamente inadatte a situazioni di scontro aperto.

Questo era stato il comportamento in modalità di attacco, in difesa fu ancora peggio. Procedendo con ordini poco chiari, il 43° Battaglione consumò tutta la sua potenza di fuoco su un piccolo bersaglio e tutta la forza fisica vagando senza scopo da un villaggio all’altro. La mattine dell’8 agosto non avevano alcuna informazione su quanto stesse accadendo a Tskhinval e Gori. Scambiarono per georgiani gli aerei che volavano sopra di loro, dal momento che, nella loro euforia ideologica, non se ne aspettavano altri. A mezzogiorno i soldati del 43° Battaglione cominciarono però a ricevere, per telefono, informazioni sulle perdite degli altri distaccamenti della 4° Brigata. La Brigata andò in panico. Alle ore 19:00 dell’8 agosto il comandante della brigata “irachena” ritirò da Znaur il 43° Battaglione, in cui era quasi scoppiata una rivolta, e lasciò dei riservisti completamente impreparati a coprire le posizioni.

Il 43° Battaglione ricevette l’ordine di preparare delle postazioni difensive nel villaggio di Pkhvenisi, però nessuno sapeva come farlo. Solo alcuni si misero a scavare trincee di loro spontanea volontà. Il resto passò la notte nei canali di irrigazione, nonostante  il fatto che l’equipaggiamento tecnico necessario a preparare la linea difensiva fosse già stato fatto avanzare nella zona dei frutteti di mele. I soldati della “brigata irachena”, nascosti nei frutteti, vedevano i fari delle autocolonne russe che scendevano in direzione di Tskhinval. Alle 23:00 circa del 10 agosto, un elicottero russo che sorvolava la zona vide con grande interesse le “posizioni difensive” della “brigata irachena” e con la prima salva di razzi fece saltare l’ultimo carro della 4° Brigata e con la mitragliatrice di grosso calibro, il suo “supporto tecnico” che era stato lasciato in un campo senza copertura o mimetizzazione. Nessuno pensò di rispondere al fuoco e si diffuse il panico. I due “Strela” [lanciarazzi portatili NdT] a disposizione del battaglione semplicemente non funzionarono, dal momento che nessuno aveva controllato il loro stato tecnico. All’alba dell’11 agosto, il Comando georgiano continuava a lanciare appelli per il rafforzamento delle postazioni difensive a Pkhvenisi, postazioni che avevano già cessato di esistere, ma in ciascun battaglione non c’erano mediamente più di 30 persone in grado di eseguire questo ordine. Il comandante di compagnia della 2° Brigata, che era rimasta bloccata sotto Tskhinval, decise allora di eseguire l’ordine, anche se la “brigata irachena” se ne era già andata da parecchio tempo.  Come risultato di ciò, nell’avvicinamento a Shindisi il comando di compagnia scambiò per georgiani i carri armati russi (dal momento che non potevano assolutamente immaginare che quel distaccamento, così sovrastimato grazie alla loro preparazione americana, fosse semplicemente scappato) e venne completamente distrutto.

Da tutti i punti vista, visto il risultato degli scontri dell’agosto 2008, fu proprio la 2° Brigata, che precedentemente stazionava nella Georgia occidentale, considerata zona di retrovia rispetto alla regione dell’Abkhazia, e che non aveva avuto nessun addestramento americano, ad essere considerata come la più adatta al combattimento.

Per cui lo scandalo della “13° Divisione” in Siria è solo la punta dell’iceberg. Adesso è possibile arrivare alla conclusione che tali problemi sono di natura complessa e non possono essere giustificati solo da errori psicologici da parte della CIA. Assai presto conosceremo molte cose interessanti sulla qualità della preparazione che gli Americani danno ai loro alleati. E, dopo tutto, qualcuno dovrà anche risponderne.

Evgenii Krutilov

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Pubblicato su thesaker.is il 10 ottobre 2015
Traduzione in Italiano a cura di Mario per Sakeritalia.it

 

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