Anche se non ci sono stati passi da gigante, la Russia sta facendo progressi nel raggiungimento dei suoi obbiettivi, sia militari che diplomatici.
Fin dall’inizio dell’intervento militare russo in Siria c’è stato un costante martellamento di critiche.
Molte di queste si basano su una sorta di principio di “equivalenza”, asserendo che quello che la Russia sta facendo è uguale, se non peggio, di tutto quello che gli Stati Uniti hanno fatto nel Medio Oriente e che la cosa finirà male.
Russia Insider ha pubblicato un classico esempio di critica da parte di un articolista, Jacob Dreizin. Prima di discutere in dettaglio le argomentazioni di Dreizin, ci sono alcuni aspetti delle relazioni russo-turche che vorrei mettere in evidenza.
Jacob è preoccupato del fatto che, in caso di un netto aumento della tensione con la Turchia, sarà l’economia russa a soffrire, almeno quanto quella turca, e che la Turchia potrebbe chiudere lo Stretto dei Dardanelli, bloccando così le vie di rifornimento alle truppe in Siria.
In realtà, nessuno di questi scenari di rappresaglia nei confronti della Russia, tanto temuti da Jacob, potrà mai avere luogo.
I russi non attueranno un blocco economico , né taglieranno le forniture di gas alla Turchia. E non armeranno neanche i Kurdi. Neppure i Turchi prenderanno contromisure contrarie ai loro stessi interessi. Ci sarà un temporaneo raffreddamento delle relazioni, ma nulla di più.
I Russi si rendono perfettamente conto, al pari di Jacob, dei pericoli che comportano misure così drastiche, inoltre lo scontro economico e il sovvertimento di un’altra nazione non rientrano nel modo di fare della Russia.
Infatti la risposta russa all’abbattimento del Su-24 è stata accuratamente calibrata.
I Russi hanno cancellato gli accordi con la Turchia riguardanti i visti d’ingresso (e la cosa colpirà l’industria turistica) e stanno ripensando ad alcuni progetti congiunti con la Turchia. Potrebbero anche far ricorso alle agenzie per il controllo alimentare e bloccare alcune categorie di derrate provenienti dalla Turchia, ma non si andrà oltre a questo.
Per quanto riguarda i Turchi, stanno già cercando di calmare gli animi, asserendo di non aver riconosciuto la nazionalità del Su-24 che hanno abbattuto.
Sulla chiusura dei Dardanelli, basterà dire che un gesto del genere sarebbe una gravissima infrazione delle leggi internazionali, nel caso la Convenzione di Montreux del 1936, e, a meno che non voglia dichiarare una guerra, Erdogan non ha nessun appiglio per poter fare una cosa del genere.
Erdogan non ha mai mostrato molto rispetto per le leggi internazionali, ma una misura così drastica come il blocco dei Dardanelli per le navi russe, una cosa che non è mai successa anche nei peggiori momenti della Guerra Fredda, sarebbe sicuramente troppo per i suoi sostenitore occidentali.
Inoltre non servirebbe a niente. Pensare che i Russi debbano rifornire le loro truppe in Siria con navi che, dalle basi nel Mar Nero attraversino i Dardanelli, è semplicemente sbagliato.
I Russi usano questa rotta solo per la sua convenienza e rapidità, ma non c’è nessuna ragione perché non possano mandare navi in Siria dalla Penisola di Kola, Kaliningrad o San Pietroburgo, via Stretto di Gibilterra, se per una qualsiasi ragione i Dardanelli fossero bloccati.
Un periplo del genere allungherebbe il viaggio solo di pochi giorni, ma la cosa è di scarsa importanza perché il materiale urgente, come i missili S-400, sono mandati in Siria per via aerea.
Si dà il caso che i Russi abbiano già usato la rotta a Nord.
Nel 2012, una nave con due elicotteri MI-24 riequipaggiati stava navigando verso la Siria su quella rotta quando il governo inglese le impedì di arrivare a destinazione, non con un blocco navale ma semplicemente ritirandole la copertura assicurativa (i MI-24 vennero subito dopo trasferiti in Siria per via aerea).
Naturalmente gli Stati Uniti e i loro alleati potrebbero in teoria attuare il blocco dello Stretto di Gibilterra. Però, a differenza dei Dardanelli, lo Stretto di Gibilterra è in acque internazionali e un gesto del genere porterebbe la crisi siriana ad un livello di pericolosità mai visto dai tempi della crisi dei missili a Cuba, nel 1962.
Non è credibile che gli Stati Uniti vogliano spingere la crisi fino a questo punto, specialmente in un campo dove avrebbero contro tutta l’opinione pubblica occidentale.
Ma, la rotta a Nord, attraverso lo Stretto di Gibilterra, non è l’unica via marittima alternativa che i Russi potrebbero utilizzare in caso di blocco dei Dardanelli.
I Russi potrebbero inviare rifornimenti anche da Vladivostock, attraverso il Canale di Suez. Dal momento che l’Egitto è un sostenitore della politica russa, non ci sarebbero rischi di chiusura per questa via. Di nuovo, si tratterebbe di allungare ancora il viaggio di qualche giorno, ma, a parte il fantastico e poco credibile scenario di navi americane che bloccano navi russe in alto mare, non c’è nulla che gli Stati Uniti od Erdogan possano fare per impedirlo.
In pratica, tutti i discorsi allarmistici sul blocco dei rifornimenti alle forze russe in Siria non hanno alcun fondamento reale e non ha senso ipotizzarlo in improbabili scenari che ci porterebbero molto vicini alla Terza Guerra Mondiale.
E per quanto riguarda la situazione vera e propria in Siria? Sono ben fondate le preoccupazioni di Jacob? E’ vero che la Russia, anche insieme a Siria, Iran ed Hezbollah non può sconfiggere i ribelli jihadisti e lo Stato Islamico?
La prima cosa da chiarire è che la Russia non ha mai detto che una soluzione militare alla crisi siriana è possibile. Tutti i suoi sforzi, fin dall’inizio della crisi, nel 2011, sono sempre stati rivolti ad assicurare un accordo politico. E’ stato l’Occidente, non la Russia, che ha cercato una soluzione militare alla crisi, quando dette il via all’offensiva dei ribelli (Operazione Damascus Volcano) nel 2012.
L’intervento russo in Siria di quest’autunno non era mirato al raggiungimento di una soluzione militare del conflitto siriano. Era inteso ad impedire che gli Stati Uniti ottenessero lo stesso risultato imponendo una no-fly zone (per una discussione dettagliata, vedete qui).
Gli sforzi dei Russi si concentrano però a livello diplomatico.
Come ho già detto molte volte, i diplomatici russi, nelle ultime settimane, sono stati molto occupati, almeno quanto i militari, e le due azioni vanno avanti di pari passo.
L’obbiettivo russo è quello di rivitalizzare il Piano di Pace di Annan, su cui si era raggiunto un accordo (o almeno così si dice) a Ginevra nel 2012: l’instaurazione di negoziati fra le parti in causa nel conflitto siriano (meno le milizie jihadiste), allo scopo di formare un governo di transizione che si impegni a preparare una nuova costituzione e ad indire nuove elezioni.
Nelle ultime settimane i diplomatici russi, durante la conferenza internazionale di Vienna, sono riusciti a strappare un accordo per il ripristino di questo piano.
Hanno anche fatto progressi verso il superamento dell’ostacolo principale, il vecchio mantra occidentale sul fatto che Assad se ne deve andare prima dell’inizio dei negoziati.
L’Occidente ha apparentemente rinunciato a questa pretesa, però continua a chiedere le dimissioni del Presidente Assad alla fine dei negoziati.
Questo non è certo un successo travolgente, ma è comunque un progresso di un certo tipo e dovrebbe rendere possibile almeno alcune trattative.
Che cosa possiamo dire della situazione militare sul campo?
Qui Jacob è caustico:
“è chiaro che la “Grande Offensiva” Iraniani-Hezbollah è stata un buco nell’acqua. Utilizzando gli attacchi aerei russi gli Sciiti hanno stabilizzato la situazione e conquistato qualche villaggio qua e là, ma stanno anche logorandosi, con perdite a cui non erano preparati.
Gli Hezbollah non hanno neppure riserve strategiche significative. Quello che hanno buttato nella mischia è tutto quello di cui disponevano. Non ci sarà un’altra “Grande Offensiva”
Solo qualcuno che ha passato troppo tempo ai videogiochi potrebbe pensare che gli Iraniani con appena 6000 Hezbollah e i patetici rimasugli dell’esercito siriano fossero in grado di scacciare dalla Siria i ribelli di al-Nusra o dell’ISIS.”
Semplicemente questa non mi sembra una riflessione accurata sulla situazione siriana, basata su rapporti che io considero affidabili.
Primo, descrivere l’esercito siriano come “patetico rimasuglio” non mi convince affatto. Come non accetto che Jacob, in un’altra parte del suo articolo, descriva il Presidente Assad come “il legittimo presidente eletto di un bel niente”.
Non c’è dubbio che l’esercito siriano abbia subito delle batoste negli ultimi quattro anni. Comunque, Patrick Cockburn, senza dubbio il più affidabile e autorevole testimone della situazione siriana, continua a considerarlo una forza efficiente, con quattro forti divisioni capaci di azioni offensive.
Recentemente, prima dell’intervento russo, l’esercito siriano aveva respinto un’importante offensiva dei ribelli a sud di Damasco, e questo la dice lunga sul suo stato di avanzata disgregazione.
L’esercito siriano potrà anche essere indebolito ed esausto, ma non è un “patetico rimasuglio” di un esercito, al contrario è una forza militare non solo “in grado” di combattere, ma attualmente impegnata proprio a fare ciò.
Che ci siano truppe siriane ben addestrate e coraggiose è stato dimostrato dal ruolo che hanno giocato i commandos siriani nel recupero del navigatore del Su-24, caduto dietro le linee dei ribelli.
Neppure si può definire “un bel niente” la zona della Siria controllata dal Presidente Assad. Escludendo Raqqa ed una parte di Aleppo, tutte le più grosse città della Siria, con circa il 70% della popolazione siriana, sono ampiamente sotto il controllo del governo siriano. Damasco, la capitale è perfettamente sicura e fidata e il governo controlla tutta la fascia costiera della Siria. La cosa importante, in netto contrasto con quanto successe nella rivolta in Libia del 2011, è che il corpo ufficiali, quello diplomatico e l’apparato burocratico statale sono tutti rimasti saldamente fedeli al Presidente Assad e al suo governo.
Al contrario, le aree controllate dai ribelli sono in gran parte desertiche e i loro leaders, con l’eccezione del capo dello Stato Islamico, Ibrahim Abu Bakr Al-Bagdadi, che si fa chiamare “Califfo Ibrahim”, sono tutti delle nullità dal punto di vista politico.
Certo, l’esercito siriano e i suoi alleati Hezbollah non hanno effettuato grandi sfondamenti nelle ultime settimane, anche se Jacob sottovaluta molto i loro risultati, che sono molto più della conquista di “qualche villaggio qua e là”. Comunque, e ne ho discusso recentemente, il piano non è mai stato quello di operare uno sfondamento immediato.
Quello che l’intervento russo ha consentito, ed era quello che doveva fare, è stato di dare all’esercito siriano quel po’ di respiro di cui esso aveva disperatamente bisogno e concedergli il tempo necessario per la ricostituzione.
Il successo dell’esercito siriano nella riconquista di 500 Km quadrati di territorio e nel miglioramento delle posizioni attorno a Homs, Damasco e Aleppo, con l’accerchiamento di Palmira quasi completato, mostra quanto bene sia stato usato quel po’ di respiro.
Frattanto, i dati a nostra disposizione ci fanno capire che i ribelli jiahdisti cominciano ad essere sotto pressione.
Come ho anche detto recentemente, l’acuirsi degli attacchi terroristici dei giorni scorsi, compreso l’avventato abbattimento del Su-24 russo, è indubbiamente una prova di ciò.
Non c’è posto per il compiacimento.
Non c’è dubbio che intervenendo in Siria, la Russia si sia accollata un grave rischio, ma il rischio dell’inazione, che avrebbe portato alla caduta del governo siriano e all’instaurazione del Califfato di Damasco, sarebbe stato ancora più grande.
C’è un paragrafo nell’articolo di Jacob che trovo francamente compiacente
“Per quanto riguarda poi i cittadini russi o di altre nazioni post-sovietiche coinvolti con al-Nusra o con l’ISIS, che costituiscono una minaccia per tutta l’ex Unione Sovietica, questi possono rifugiarsi rapidamente nelle loro basi di appoggio in Turchia, per ritornare poi una volta che le acque si siano calmate”.
Qui è importante ribadire che non c’è confronto fra il pericolo rappresentato da un movimento jiahdista frammentato, che si nasconde in Turchia e nel deserto siriano e iracheno e un’entità estremista come lo Stato Islamico che proclama la Jihad da Damasco, la capitale del Califfato al tempo degli Omayyadi.
Nel suo articolo, Jacob fa alcuni commenti positivi sulla Russia e sulla sua dirigenza. Dice:
“una nazione che intellettualmente supera di buona misura gli Stati Uniti con un capo in grado di parlare coerentemente, fino nei minimi dettagli, per tre ore e senza neanche il teleprompter”.
Se Jacob lo crede veramente, allora mostra veramente coraggio nelle sue convinzioni.
Come ha giustamente detto lo studioso indipendente Gordon Hahn, Putin e il governo russo si assumono dei rischi, ma hanno una grande capacità di valutazione e per questo motivo prendono quasi sempre le decisioni giuste.
Non c’è nessun motivo di panico o di discorsi allarmistici e non è neanche giusto fare l’esempio dell’invasione dell’Iraq da parte di Bush.
A differenza di Bush in Iraq, i Russi non stanno invadendo la Siria. Sono stati chiamati dal governo legittimo, le cui forze militari stanno combattendo quegli stessi militanti jihadisti con cui si stanno confrontando i Russi.
Al contrario di Bush, i Russi sono andati in Siria con un obbiettivo ben chiaro e definito: conservare lo stato siriano e le sue istituzioni.
A differenza di Bush, i Russi hanno anche un piano ben preciso: far riprendere fiato all’esercito siriano, in modo che possa essere ricostituito e possano iniziare i negoziati politici.
In contrasto con la spedizione irachena di Bush, l’impegno russo in Siria non è né illimitato, né senza un termine ben definito. Il contingente russo in Siria è ridotto e il suo mandato è chiaramente specificato.
Qui non si ha la sensazione, come si aveva con Bush, di essere di fronte ad un’operazione intrapresa senza la giusta pianificazione e gestita in gran parte con l’improvvisazione.
Fino ad ora i Russi stanno avendo la meglio in tutti i campi. La situazione in Siria si è stabilizzata, l’esercito siriano è all’offensiva e i negoziati sono in corso.
Non c’è motivo di euforia, però è il momento giusto per dire, al contrario di Jacob, che i Russi in Siria stanno vincendo.
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Articolo di Alexander Mercouris pubblicato da Russia Insider il 28 novembre 2015
Tradotto in Italiano da Mario per Sakeritalia.it
Il cuore di un soldato Russo è diverso da quello di un mercenario NATO, i suoi moventi sono radicati nella patria, poco nel denaro, questo determina insieme alla forza degli armamenti, alla dirigenza politico-militare, dei rapidi successi sul campo che sconvolgono i piani USA.
Le manfrine occidentali nelle varie guerre che hanno insanguinato la Terra negli ultimi 50 anni sono invece dettate dai deliri espansionistici che mirano alla utopistica sopravvivenza del capitalismo becero, per allargare i mercati mediante la conquista di territori e l’insediamento dei tanti governi fantoccio filosionisti, ma questo malcostume ha sbattuto ora inesorabilmente contro la fermezza dell’Iran, la porta d’Oriente, ed ha risvegliato il patto di Shangai; pertanto la guerra contro Assad è l’ultima bravata del comando unificato NATO, che non riuscendo più a sfondare la coesione Orientale cerca di ostacolare la Russia e dividerla dai suoi alletati, spostando il fulcro bellico in Ucraina in modo da incendiare prossimamente l’Europa per farne il solito teatro catastrofico. Sta all’Europa scegliere se l’Oriente o il terzo disastro.