Mentre l’attenzione per quanto riguarda il conflitto siriano si è spostata quasi esclusivamente sui recenti attacchi dei missili da crociera degli Stati Uniti, è evidente che gli attacchi sono stati progettati per gettare le basi per implicazioni molto più grandi. Particolare attenzione dev’essere prestata alle forze statunitensi che operano sia all’interno del territorio siriano che lungo i confini della Siria.
Banalizzare l’uso di armi per attacchi da grande distanza come i missili da crociera rende più facile e più probabile che attacchi simili si svolgano nel prossimo futuro – in particolare se la Siria ed i suoi alleati non riescono a dare prova di deterrenza significativa contro gli attacchi futuri.
L’uso di armi a lungo raggio da parte degli Stati Uniti e l’uso di routine di attacchi aerei da alleati degli Stati Uniti, incluso Israele, all’interno del territorio siriano può probabilmente aprire la porta a un intervento militare diretto più ampio contro il governo siriano.
Gli attacchi punitivi aumenteranno gradualmente in uno sforzo concertato per smantellare la capacità di combattimento della Siria, dando la possibilità ai combattenti per procura degli Stati Uniti di rovesciare il governo siriano, o alle forze degli Stati Uniti di farlo direttamente – o probabilmente ad una combinazione di entrambi.
La preparazione a tale escalation riguarda non sono solo le forze USA in continuo aumento in scala e nella portata della loro presenza in Siria orientale, riguarda anche le forze della Turchia (membro della NATO), nel nord della Siria, ma anche un esercito di combattenti per procura guidato, organizzato e gestito per anni dagli Stati Uniti stanziato attualmente in Giordania.
La Giordania: l’altra “Turchia”
Fu dalla Giordania che una colonna di veicoli blindati statunitensi entrò recentemente nel territorio siriano. La CNN, in un articolo intitolato “Forze di opposizione della coalizione e delle truppe siriane respingono attacco ISIS” [in inglese], avrebbe riportato che:
Le truppe di coalizione anti-ISIS e le forze di opposizione alleate siriane hanno respinto un attacco di un gruppo terroristico in una base comune nel sud della Siria, secondo la coalizione.
La coalizione guidata dagli Stati Uniti ha detto che l’ISIS sabato ha iniziato un attacco complesso presso la base di At Tanf, sul confine Siriano-Giordano, con un veicolo-bomba (VBIED), e che l’attacco è proseguito con un assalto di 20-30 combattenti suicidi con giubbotti esplosivi.
CNN riferisce inoltre che:
Un ufficiale avrebbe detto che alcuni soldati Americani erano alla base all’epoca dell’assalto.
Inoltre, da anni, i politici e le piattaforme mediatiche Statunitensi hanno discusso sia i potenziali piani per la messa in scena di una forza di invasione in Giordania, sia gli sforzi attuali per far sorgere una forza di combattimento per procura in Giordania, prima di spostarla nel territorio Siriano.
Nel 2015, il Guardian in un articolo intitolato “Gli Stati Uniti iniziano a formare i ribelli siriani in Giordania per diventare forza anti-Isis” [in inglese], avrebbe riferito:
Giovedì i funzionari giordani hanno detto ai giornalisti che le forze della coalizione hanno iniziato ad addestrare i ribelli preselezionati in un sito all’interno di un regno del Medio Oriente. Si prevede inoltre che dei campi di addestramento inizieranno la loro attività in Turchia, Arabia Saudita e Qatar.
Un articolo del 2016 del Washington Post intitolato: “Il programma di addestramento degli Stati Uniti, con nuovi obiettivi, ha addestrato meno di 100 siriani finora” [in inglese], avrebbe riportato:
I funzionari militari americani stanno prendendo in considerazione i modi per aumentare il numero dei combattenti siriani addestrati contro lo Stato islamico, mentre il Pentagono si muove con cautela con un programma rinnovato per creare un’efficace forza di terra locale.
La serie di sconfitte che ostacolano la creazione di un “esercito di opposizione” da zero [in inglese], e anche gli insuccessi nell’addestramento e nell’utilizzo efficace dei gruppi militanti e terroristici esistenti, possono essere la ragione per cui gli Stati Uniti hanno cercato di creare una propria grande e crescente presenza militare in Giordania.
Nel 2013 la Heritage Foundation pubblicò un articolo intitolato “Hagel annuncia la distribuzione delle truppe Usa in Giordania in risposta alla peggioramento della crisi della Siria” [in inglese], affermando:
Sebbene inizialmente incaricate di svolgere un ruolo di sostegno in aiuto alla Giordania nello sviluppo di piani di contingenza per attenuare gli effetti di destabilizzazione della diffusione della guerra civile della Siria, le truppe potrebbero “potenzialmente formare una task force congiunta per operazioni militari, se necessaria”. La presenza di un quartier generale potrebbe gettare le basi per una presenza formale militare statunitense che potrebbe crescere fino a 20.000 unità o più, se l’amministrazione Obama attiva piani di emergenza per un grande intervento militare statunitense.
Secondo la maggior parte delle stime [in inglese] provenienti da tutti i media occidentali, circa 1.000-2.000 militari statunitensi sono attualmente collocati in Giordania. L’espansione di quel numero a 20.000 o più verrebbe immediatamente notata dalle agenzie di intelligence siriane, russe e iraniane. Allo stesso modo, la creazione e la diffusione di una forza di invasione su larga scala creata dagli alleati del Golfo Persico o dalla Turchia, membro della NATO, verrebbero immediatamente notati molto prima di avere la possibilità di penetrare in territorio siriano.
Invasione o ulteriore balcanizzazione?
Invece di un’invasione su larga scala, è più probabile l’aumento della balcanizzazione della Siria, con la Turchia che occupa già una parte significativa di territorio nel nord, mentre Israele mantiene la sua occupazione a lungo termine delle Alture del Golan a occidente, le truppe Americane che occupano il territorio siriano ad est, mentre i paesi del Golfo Persico, sponsorizzano i terroristi che detengono sia la città orientale di Raqqa che la città settentrionale di Idlib.
Un incursione guidata dagli Stati Uniti nella Siria meridionale potrebbe togliere ulteriore territorio, anche se una simile incursione non riuscisse a raggiungere Damasco o a rovesciare il governo del presidente Assad.
Mentre l’attenzione generale era rivolta altrove, in particolare lungo il confine con la Turchia sulle operazioni volte a riprendere sia Raqqa che Idlib – la Giordania ha goduto di un relativo disinteresse nell’ambito dell’analisi geopolitica. Tuttavia – visto che la fine dei giochi si avvicina e gli Stati Uniti sono sempre più disperati – va ricordato e portato all’attenzione del pubblico il ruolo della Giordania come punto di stanziamento e potenziale vettore verso la Siria, per ulteriori truppe statunitensi e per l’erosione di ulteriori territori siriani.
Inoltre, è importante che il pubblico capisca che la “nuova politica” dell’America verso la Siria è in realtà vecchia di anni – anche decenni – nei suoi tentativi di utilizzare sia la forza militare per procura che la forza militare diretta contro lo stato siriano, per deporre il suo governo e creare uno stato vassallo. Mentre motivazioni personali e politiche vengono attribuite al presidente americano Donald Trump riguardo al motivo per cui “egli” stia perseguendo un’espansione aggressiva contro la Siria, va notato che i piani che “lui” sta ora attuando erano sulla scrivania dell’ex presidente Barack Obama da anni, in attesa di essere portati avanti al momento giusto – essi sono solo stati complicati dalla resistenza Siriana e dall’intervento Russo nel 2015.
Con questo in mente, e con la pressione sul governo giordano, la Giordania può frenare le forze statunitensi che operano dal suo territorio, ostacolando, anche se in misura lieve, le ambizioni statunitensi di aggravare ulteriormente l’attuale tragico conflitto della Siria.
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Articolo di Tony Cartalucci pubblicato su New Eastern Outlook il 14 aprile 2017
Traduzione in italiano a cura di Hajduk per Sakeritalia.it
Scusate, dopo l’intervento russo a fianco di Assad che fino ad un certo punto è stato molto positivo ai fini di bloccare l’avanzata dei terroristi, sembra che l’aiuto russo sia sparito. A suo tempo avete dato molto risalto alla installazione da parte dei russi dei missili S400 che avrebbero protetto l’intero territorio siriano da interventi aerei e missilistici stranieri. Sono spariti questi missili? Per l’opinione pubblica dovrebbero svolgere questo ruolo se effettivamente sono in grado di farlo. Ora vediamo che ci sono continue intrusioni aeree da parte di paesi stranieri nella Siria compresi americani (non è una novità) cosa stanno a fare questi missili? Probabilmente è cambiata la politica di sostegno dei russi nei confronti di Assad sta di fatto che le porcherie politiche continuano su uno stato che ora non è più sovrano del proprio territorio.
Buongiorno Alfonso,
Le rispondiamo per dare un quadro più chiaro a tutti, gli S-400 sono stati dislocati in Siria a protezione delle Forze Russe, non per proteggere Assad e il governo siriano. Quest’ultimo possiede difese aeree antiquate ma ancora funzionanti.
Non è affatto cambiata la politica nei confronti di Assad ma sarebbe inaccettabile ritrovarsi a combattere una guerra per un abbattimento aereo. Non importa se l’aereo è israeliano o americano, se viene abbattuto i problemi aumenteranno, non diminuiranno. Per questo difficilmente vedremo l’impiego di quelle armi, perlopiù dissuasive (al momento).
Logicamente le intrusioni aeree continuano e continueranno, ma saranno esposte e comunicate all’ONU (sappiamo che non è molto ma è meglio di niente). La Russia sta chiaramente giocando con i suoi nemici sul piano del diritto internazionale, l’abbattimento di un jet non sarebbe una bella pubblicità, per quanto sia piacevole per alcuni o giusto per altri. Inoltre questi attacchi sul territorio siriano hanno l’aria di essere provocazioni più che altro, abboccare significherebbe perdere la partita. La Siria resta una nazione accerchiata la cui sovranità è minacciata quotidianamente, non si possono permettere una sola mossa sbagliata.
Speriamo di aver dissipato alcuni dei suoi dubbi
A presto
La Redazione