La fine della legge internazionale e della diplomazia
La fine della Guerra Fredda venne salutata come una nuova era di pace e sicurezza, in cui le spade si sarebbero trasformate in aratri, i vecchi avversari in amici e il mondo avrebbe assistito ad un nuovo sorgere di amore universale, pace e felicità. Naturalmente non è successo nulla di tutto questo. Quello che è successo è che l’Impero Anglo-Sionista si è auto-convinto di aver vinto la Guerra Fredda e di comandare. Il mondo intero, nientemeno. E perché no? Aveva costruito ovunque fra le 700 e le 1000 basi militari ( a seconda di quello che si intende per “base”), e aveva diviso il pianeta in svariate zone di responsabilità esclusiva chiamate “comandi”. L’ultima volta che una potenza aveva avuto la megalomania necessaria per distribuire diverse parti del mondo a differenti comandi era stato il Papato nel 1494, con il “Trattato di Tordesillas”.
E per rendere ancora più chiaro il concetto, l’Impero decise di dare un esempio e scatenò tutta la sua forza contro la piccola Jugoslavia. La Jugoslavia, un membro fondatore del Movimento dei Non-Allineati, fu brutalmente attaccata e smembrata, creando un’enormità di rifugiati, sopratutto Serbi, che il mondo, così democratico e civile, decise di ignorare. Subito dopo, l’Impero scatenò un’altra guerra, questa volta in Russia, che spinse il semi-comatoso regime di Yeltsin contro quelli che sarebbero diventati in seguito una parte di al-Qaeda, ISIS e Daesh: i Wahabiti in Cecenia. Ancora una volta il risultato di questa guerra furono centinaia di migliaia di “rifugiati invisibili”, e anche questi furono in gran parte ignorati dal mondo democratico e civile, specialmente quelli di etnia russa. Alla Russia occorse un intero decennio per spazzare via questa rivolta Wahabi-Tafkira, ma alla fine ci riuscì. Nel frattempo gli Anglo-Sionisti si stavano interessando ad altro: i gruppi occulti di potere (lo “Stato nello Stato”) americani ed israeliani pianificarono ed eseguirono insieme l’operazione di false-flag del 9/11, che diede loro il pretesto perfetto per dichiarare la “guerra globale al terrore”, che a sua volta consegnò agli Anglo-Sionisti la “licenza di uccidere”, alla 007, valida in tutto il mondo, solo che il bersaglio non era più una persona, ma intere nazioni.
Sappiamo tutti quello che ne è seguito: Afganistan, Filippine, Somalia, Etiopia, Somalia, Sudan, Yemen, Mali, Pakistan, Siria, Libia, Ucraina, l’America era in guerra dovunque, ufficialmente o di nascosto. Lo spettro degli interventi variava dalla (tentata) invasione completa di una nazione (Afganistan) al sostegno di vari gruppi terroristici (Iran, Siria), al completo finanziamento e alla gestione di un regime nazista (in Ucraina). Gli Stati Uniti hanno dato il loro pieno appoggio anche ai Wahabiti nella crociata contro lo Sciismo (KSA, Baharain, Yemen, Siria, Iran). Ciò che queste guerre hanno in comune è che sono tutte assolutamente illegali; gli Stati Uniti e tutte le “coalizione dei volenterosi” fatte “ad hoc” sono diventati un accettabile sostituto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Ancora una volta è importante ricordare a tutti, specialmente a quei Mussulmani che hanno gioito per il bombardamento dei Serbi, che tutto questo ha avuto inizio con la distruzione, completamente illegale, della Jugoslavia, seguita da un ancor più illegale bombardamento della Serbia.
Naturalmente l’Impero ha sofferto anche qualche cocente sconfitta: nel 2006 Hezbollah ha inflitto ad Israele quella che può essere considerata una delle più umilianti batoste militari della storia moderna, mentre nel 2008 una piccola forza di veri eroici combattenti Ossetiani, sostenuti da un altrettanto piccolo contingente militare russo (venne coinvolta solo una esigua frazione dell’esercito russo) fece polpette dell’esercito georgiano, addestrato e finanziato dagli Stati Uniti: la guerra era già finita dopo 4 giorni. Comunque, e alla grande, il primo decennio del 21° secolo ha assistito al trionfo della Legge della Giungla sul Diritto Internazionale, e la piena convalida del vecchio detto “la forza ha sempre ragione”.
Logicamente, questi sono stati anche gli anni in cui ha cessato di esistere la diplomazia americana. L’unica funzione rimasta ai diplomatici degli Stati Uniti era quella di consegnare degli ultimatum: “obbedisci oppure…” e così l’Impero ha semplicemente smesso di negoziare. Diplomatici stagionati e sofisticati come James Baker sono stati rimpiazzati da psicopatici come Madelaine Albright, Hillary Clinton e Samantha Power, o da mediocri non-entità come John Kerry e Susan Rice. Dopo tutto, quanto si deve essere raffinati per minacciare, fare i prepotenti e consegnare degli ultimatum? Sono caduti così in basso che i Russi si lamentano apertamente della “mancanza di professionalità” da parte dei loro omologhi americani.
E per quanto riguarda i poveri Russi, con la loro patetica insistenza sul fatto che le leggi internazionali debbano essere osservate, sono proprio irrimediabilmente fuori moda. In questa sede, non voglio poi neanche parlare dei politici europei. Chi li ha definiti meglio è stato il sindaco di Londra, Boris Johnson, che li chiamati “grandi gelatine inerti, protoplasmatiche e invertebrate”.
Ma poi qualcosa è cambiato. Drammaticamente.
Il fallimento della forza
Improvvisamente tutto ha iniziato ad andare a rotoli. Ogni singola vittoria americana si trasformava in qualche modo in una sconfitta: dall’Afganistan alla Libia, ogni “successo” americano diventava una situazione dove l’opzione migliore, se non l’unica rimasta, era “dichiararla una vittoria e andarsene”. Questo comporta l’ovvia domanda: “ma cos’era successo?”
La prima ovvia conclusione è che le forze degli Stati Uniti e quelle dei loro cosiddetti “alleati” hanno scarse capacità di mantenere l’occupazione. Se da un lato sono perfettamente in grado di invadere una nazione, dall’altro perdono poi rapidamente il controllo della maggior parte del territorio. Una cosa è invadere una nazione, un’altra amministrarla, e di ricostruirla non se ne parla nemmeno. Come risultato la “coalizione dei volenterosi” a guida americana non è riuscita a terminare nulla (di quello che aveva iniziato).
In secondo luogo, è diventato evidente che il nemico che si credeva ormai di aver sconfitto, in realtà si era solo nascosto e stava aspettando tempi migliori per ritornare e vendicarsi. L’Iraq è un perfetto esempio di ciò: ben lungi dall’essere veramente “sconfitto”, l’esercito iracheno ha scelto (saggiamente) di disperdersi e di ripresentarsi nelle vesti di una formidabile insurrezione sunnita, che si è gradualmente trasformata nell’ISIS. Ma l’Iraq non è stato un caso isolato, la stessa cosa è accaduta praticamente ovunque.
Alcuni obbietteranno che gli Stati Uniti non fanno preferenze fra il controllare una nazione o distruggerla, basta che non “vincano” gli altri. Personalmente non sono d’accordo. Certamente, gli Stati Uniti preferiranno sempre la distruzione di una nazione ad una schiacciante vittoria dell’avversario, ma ciò non significa che non cerchino di controllarla, se possibile. In altre parole, quando una nazione precipita nel caos e nella violenza, non è una vittoria, ma una sconfitta bella e buona per gli Stati Uniti.
Ciò che è mancato agli Stati Uniti è di capire che la diplomazia rende molto più efficace l’uso della forza. In primo luogo, un’accorta diplomazia rende possibile costruire un’ampia coalizione di nazioni desiderose di sostenere un’azione collettiva. Inoltre, la diplomazia rende possibile diminuire anche il numero di nazioni che si opporrebbero apertamente a una tale azione collettiva. Qualcuno forse ricorda che fu proprio la Siria a mandare truppe in appoggio a quelle degli Stati Uniti contro Saddam Hussein nell’operazione Desert Storm? Certo, questo non fece una grossa differenza, ma almeno diede agli Stati Uniti certezza che la Siria non si sarebbe opposta, almeno apertamente, alla politica americana. Ottenendo l’appoggio siriano all’operazione Desert Storm, James Baker rese molto difficile per gli Iracheni sostenere che questa fosse una coalizione anti-Araba, anti-Mussulmana o anche solo anti-Baathista e fece apparire completamente isolato Saddam Hussein (anche quando gli Iracheni cominciarono a lanciare missili su Israele). La diplomazia rende possibile ridurre anche l’entità delle forze che si intende usare, perché non occorre un’esplosione di violenza eccessiva per far capire al nemico che fai sul serio. Terzo, la diplomazia è necessaria per avere legittimazione, e questa è di cruciale importanza quando ci si impegna in conflitti di lunga durata. Infine, il consenso che emerge da sforzi diplomatici andati a buon fine previene la rapida erosione del sostegno popolare ad un’azione bellica. Ma tutti questi fattori sono stati ignorati dagli Stati Uniti nella loro GWOT (Guerra Globale al Terrore) e nelle rivoluzioni delle “Primavere arabe” che ora si sono arrestate di colpo.
Un trionfo diplomatico per la Russia
Questa settimana è stata un vero trionfo diplomatico per la Russia, trionfo culminato nei colloqui multilaterali di venerdì a Vienna, che hanno visto insieme il Ministro degli Esteri russo, quello americano, quello turco e dell’Arabia Saudita. Il fatto che questa riunione abbia avuto luogo subito dopo la visita di Assad a Mosca indica chiaramente che gli sponsor del Daesh e di al-Qaeda ora sono costretti a negoziare nei termini voluti dai Russi. Ma come è potuto succedere?
Come ho continuato a ripetere fin dall’inizio delle operazioni russe in Siria, il contingente militare russo è molto limitato. Certo, è molto efficace, ma è tuttavia molto piccolo. Infatti i membri della Duma hanno annunciato che i costi dell’intera operazione rientreranno probabilmente nel normale budget del Ministero della Difesa sotto la voce “addestramento”. Comunque, ciò che la Russia ha ottenuto con questo piccolo intervento è piuttosto sorprendente, non solo in termini militari, ma sopratutto in termini politici.
Non solo l’Impero ha dovuto accettare (con molta riluttanza) che Assad rimanga al potere nel prossimo futuro, ma anche il fatto che la Russia sta, gradualmente ma inesorabilmente, costruendo una vera coalizione regionale che vuole combattere il Daesh dalla stessa parte delle forze del governo siriano. Anche prima che iniziassero le sue operazioni militari, la Russia aveva già il sostegno della Siria, dell’Iran, dell’Iraq e di Hezbollah. Ci sono anche forti segnali che i Curdi, di fatto, vogliano lavorare con i Russi e Assad. Venerdì è stato annunciato che la Giordania avrebbe coordinato con la Russia alcune azioni militari ancora da definire, e che ad Amman sarebbe stato istituito uno speciale centro di coordinamento. Ci sono voci molto attendibili che anche l’Egitto si unirà alla coalizione guidata dai Russi. Sembra poi che Russia e Israele, anche se non lavorano insieme, almeno non stiano remando l’una contro l’altra: Russi e Israeliani hanno attivato un canale speciale per comunicare direttamente fra loro in ambito militare. Il risultato è che, indipendentemente dalla sincerità delle diverse parti, tutti adesso nella regione sentono il grosso bisogno di apparire, se non favorevoli, almeno non contrari allo sforzo bellico russo. Questo, in sé, è già un grosso trionfo per la diplomazia russa.
L’arma segreta di Putin: la verità
La situazione attuale è, ovviamente, completamente inaccettabile per l’Egemone Globale: non solo la coalizione americana di 62 nazioni, dopo aver effettuato ben 22.000 missioni aeree non ha successi da mostrare, ma la coalizione russa, assai più piccola, è riuscita a spiazzare completamente l’Impero e a controbattere tutti i suoi piani. E l’arma più formidabile usata da Putin nella sua guerra per procura con gli Stati Uniti, non è stata neanche di tipo militare: è bastato semplicemente dire la verità.
Sia nel suo discorso alle Nazioni Unite, sia questa settimana alla Conferenza di Valdai, Putin ha fatto quello che nessun altro leader mondiale aveva mai osato fare: ha definito chiaramente il regime americano incompetente, irresponsabile, mentitore, ipocrita e arrogante in modo incurabile. Questa pubblica “mancanza di rispetto” ha avuto un enorme impatto a livello mondiale perché, nel momento in cui Putin pronunciava queste parole, più o meno tutti quanti sapevano che ciò era assolutamente vero.
Gli Stati Uniti trattano i loro alleati come “vassalli” (discorso di Valdai) e sono i primi colpevoli di tutte le terribili crisi che ora minacciano il mondo (discorso all’ONU). Quello che Putin ha fatto in pratica è stato dire che “l’Imperatore è nudo”. In confronto, il discorso claudicante di Obama è stato ridicolmente patetico. Quella a cui stiamo assistendo ora è una svolta sorprendente. Dopo decenni segnati dal principio americano “chi ha forza ha ragione”, di colpo ci troviamo in una situazione dove ormai nessuna forza militare può essere di aiuto al bistrattato Presidente Obama: a che cosa ti servono 12 portaerei quando assomigli ad un pagliaccio?
Dopo il 1991 sembrava che l’unica superpotenza rimasta fosse così forte e inarrestabile da non aver bisogno di sottigliezze come la diplomazia o il rispetto delle regole internazionali. Lo Zio Sam pensava di essere l’unico regnante, l’Egemone Planetario. La Cina era solo un “grosso centro commerciale”, la Russia una “stazione di rifornimento” e l’Europa un cagnolino ubbidiente ( e in questo aveva ragione). Il mito dell’invincibilità americana era proprio quello che era, un mito. Infatti, dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti non hanno più vinto una, che sia una, vera guerra (Grenada e Panama non contano). Infatti gli USA, in Afganistan hanno fatto anche peggio della sotto-addestrata, sotto-equipaggiata, sotto-alimentata e sotto-finanziata 40° Armata Sovietica che almeno riusciva a mantenere le città e le strade principali sotto il controllo sovietico, e che aveva sviluppato in maniera significativa le infrastrutture civili della nazione (la stesse che gli Stati Uniti usano nel 2015). Nonostante tutto, il mito dell’invincibilità americana è crollato veramente solo nel 2013, dopo lo stop (attuato con un mix di metodi diplomatici e militari) imposto dalla Russia all’assalto della Siria da parte degli USA. Lo Zio Sam ha schiumato di rabbia ma non ha potuto fare nulla se non organizzare un colpo di stato a Kiev e una guerra economica contro la Russia, senza peraltro raggiungere nessun obbiettivo.
Per quanto riguarda Putin, invece di essere spaventato da tutti gli sforzi americani, ha invitato Assad a Mosca.
La visita di Assad a Mosca è un altro segno dell’impotenza americana
La visita di questa settimana di Assad è stata nientemeno che straordinaria. Non solo i Russi sono riusciti a portare Assad dalla Siria a Mosca e ritorno senza che la tanto decantata intelligence americana notasse qualcosa, ma, a differenza di molti capi di Stato, Assad ha parlato faccia a faccia con i gli uomini più potenti della Russia.
Prima Assad si è incontrato con Putin, Lavrov e Shoigu. In tutto hanno parlato per tre ore (e già questa è una cosa rimarchevole). Più tardi sono stati raggiunti da Medvedev per una colazione privata. Indovinate chi è arrivato dopo? Mikhail Fradkov, Capo dei Servizi Russi per l’Intelligence Estera e Nikolai Patrushev, Capo del Consiglio di Sicurezza Russo.
Di solito i capi di Stato non si incontrano personalmente con personaggi come Fradkov o Patrushev ma mandano invece i loro esperti. In questo caso però l’argomento in discussione era abbastanza importante da 1) far arrivare Assad in persona al Cremlino e 2) mettere tutti quelli che contano attorno allo stesso tavolo al Cremlino per una discussione personale con Assad.
Naturalmente da questa riunione non è uscita neanche una parola, ma a proposito di quanto è successo circolano attualmente due teorie principali.
La prima teoria afferma che ad Assad sia stato comunicato in termini non ambigui che i suoi giorni sono contati e che dovrà prepararsi ad andarsene.
La seconda dice l’esatto opposto: che Assad è stato convocato per confermare a lui (e agli USA) il pieno sostegno della Russia.
Credo che nessuna delle due ipotesi sia interamente corretta, ma sono convinto che la seconda sia probabilmente quella più vicina alla verità. Dopo tutto, se lo scopo era quello di dire ad Assad che era giunto il tempo di andarsene, allora sarebbe bastata una semplice telefonata. Magari una visita da parte di Lavrov. Per quanto riguarda il “sostenere Assad”, questo sarebbe in diretta contraddizione con tutto quello che i Russi hanno detto fino ad ora: essi non stanno sostenendo “Assad” come persona, anche se lo riconoscono come unico e legittimo Presidente della Siria, ma sostengono il diritto che debba essere popolo siriano a decidere chi dovrà comandare in Siria. E questo è, per l’appunto, qualcosa su cui lo stesso Assad si è detto d’accordo (secondo Putin). Inoltre Assad ha acconsentito anche a lavorare con ogni forza dell’opposizione, che non sia il Daesh, che però voglia combattere il Daesh insieme all’esercito siriano (sempre secondo Putin).
No, mentre credo che l’incontro fra Assad e Putin sia stato, almeno in parte, un messaggio diretto agli Stati Uniti e a tutti gli altri cosiddetti “amici della Siria” per dire che il loro piano “Assad se ne deve andare” era fallito, penso anche che lo scopo principale dell’incontro a porte chiuse con i massimi dirigenti russi sia stato qualcos’altro: la mia impressione è che abbiano discusso una qualche forma di alleanza importante e di lunga durata fra Russia e Siria, che farebbe formalmente rivivere quel tipo di alleanza che c’era in passato con l’Unione Sovietica. Mentre posso solo immaginare i termini reali di un tale accordo, la mia opinione è che questo piano, probabilmente concordato con gli Iraniani, dovrebbe avere due punti principali:
a) la componente militare: il Daesh deve essere schiacciato,
b) la componente politica: la Siria non deve cadere sotto il controllo degli Stati Uniti.
Considerando che, secondo la maggior parte degli esperti russi, le operazioni militari russe sono programmate per una durata di circa tre mesi, siamo allora in presenza di due piani separati, uno a medio e uno a lungo termine, piani che richiederanno la ricostruzione delle forze armate siriane, mentre Russia, Iran e Iraq coordineranno tutte insieme la guerra al Daesh. E, neanche a farlo apposta, venerdì è stato annunciato che l’Iraq ha autorizzato le forze armate russe a colpire il Daesh all’interno del territorio iracheno. Sembra certo che l’operazione russa ha agito da catalizzatore in una regione paralizzata dall’ipocrisia e dall’incompetenza americana e che i giorni del Daesh siano ormai contati.
Troppo presto per celebrare, ma è comunque un momento di svolta
Tuttavia, è troppo presto per celebrare. I Russi non possono fare tutto da soli, e toccherà ai Siriani e ai loro alleati combattere il Daesh, villaggio dopo villaggio. Solo gli scarponi sul terreno libereranno veramente la Siria dal Daesh e solo un vero Islam sarà in grado di sconfiggere l’ideologia del Takfirismo. Per questo ci vorrà tempo.
Inoltre sarebbe da irresponsabili sottostimare la determinazione e l’abilità dell’Impero nel tentare di impedire che la Russia appaia come la “vincitrice”, questo è qualcosa che l’ego imperiale americano, cresciuto nei secoli nell’ignoranza e nell’arroganza imperiale, non sarà mai in grado di fare. Dopo tutto, come potrebbe mai, la “nazione indispensabile” accettare di essere considerata inutile dal resto del mondo e che altri possano opporsi a lei e anche avere la meglio? Ci dobbiamo aspettare che gli Stati Uniti usino tutta la loro (ancora enorme) potenza per cercare di sminuire e sabotare ogni iniziativa russa o siriana.
In ogni caso, gli avvenimenti recenti sono il segno che l’era del “ diritto che nasce dalla forza” è arrivata al capolinea e che l’idea che gli Stati Uniti siano una “nazione indispensabile” o egemone del mondo ha ora perso ogni credibilità. Dopo decenni di buio, la diplomazia e il diritto internazionale stanno finalmente riprendendo la loro rilevanza. La mia speranza è che questo sia l’inizio di un processo che vedrà gli USA evolversi allo stesso modo di altre nazioni (Russia compresa) in passato: da impero, ritornare nuovamente ad essere “nazione normale”. In ogni caso, quando guardo alla campagna presidenziale per il 2016, ho come la sensazione che questo sarà un processo molto lungo.
The Saker
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Articolo pubblicato su Thesaker.is il 25 ottobre 2015
Traduzione in italiano a cura di Mario per Sakeritalia.it
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