– Marco Bordoni –
Nella giornata di oggi le forze aeree della Federazione Russa hanno colpito obiettivi in territorio siriano, vicino alle città di Hama e di Homs. Secondo alcuni analisti gli attacchi non si sarebbero diretti contro formazioni propriamente appartenenti al Califfato, ma piuttosto contro gruppi espressione dell’opposizione armata al governo siriano. Le motivazioni ufficiali della guerra sono la lotta all’estremismo ed il contrasto al terrorismo internazionale. Il Presidente Putin ha così sinteticamente illustrato le ragioni dell’intervento: “l’unico vero modo per combattere il terrorismo internazionale (e in Siria e nei paesi vicini il terrorismo internazionale dilaga) è quello di agire preventivamente. Bisogna combattere ed eliminare terroristi che hanno occupato dei territori senza aspettare che arrivino a casa nostra.”.
In realtà oltre alla preoccupazione, reale, di contagio terroristico, suggeriscono l’intervento anche considerazioni che attengono i complessi rapporti con il blocco occidentale, con il quale esistono tensioni che non si risolvono, ed anzi tendono a cronicizzarsi e che i Russi mirano a disarticolare con un complesso gioco nel quale Ucraina, Mar Nero, Balcani e Mediterraneo Orientale costituiscono una unica scacchiera.
Per la prima volta da quando la Russia esiste le sue forze armate svolgono operazioni militari attive al di fuori del territorio dell’ex Unione Sovietica (il cosiddetto “estero vicino”). Mentre i vantaggi in termine di prestigio, sicurezza ed influenza di questa scelta sono evidenti, vorremmo soffermarci per un momento ad esaminare tre rischi.
Sindrome Afgana.
Il popolo russo non vuole la guerra, non vuole che i suoi figli vengano mandati a morire all’estero. Secondo un sondaggio Levada del 18-21 settembre solo il 16% dei Russi è favorevole ad un sostegno militare al governo siriano, e solo il 6% ad un intervento diretto in Siria. Il timore è che l’intervento incontri una resistenza che richieda a sua volta una escalation, producendo una spirale che alla lunga potrebbe richiedere un impegno in uomini e mezzi insostenibile per una nazione dalle risorse umane ed economiche imponenti ma non inesauribili come la Russia.
Il governo russo ha rassicurato l’opinione pubblica garantendo che l’intervento sarà solo aereo e che non saranno in nessun modo impiegate truppe di terra. Sarà importante controllare se questa promessa verrà mantenuta, e nello stesso tempo verificare la tenuta degli indici di popolarità del governo.
Guerra interetnica.
Tutti gli alleati regionali della Russia sono sciiti: lo è il governo iraniano, lo è quello iracheno, mentre gli alawiti del Presidente Assad appartengono ad una setta derivante comunque dal ramo sciita. Le minoranze etniche interne alla Russia (come peraltro la grande maggioranza del mondo arabo) appartengono invece alla fede sunnita. Il rischio di venire identificati dall’uomo della strada musulmano come “crociati” che combattono i “veri credenti” assieme agli “eretici sciiti” è concreto. Passare per araldi confessionali di una parte all’interno di un conflitto interetnico secolare è davvero l’ultima cosa che serve alla Russia.
Minaccia Terroristica.
Il Segretario di Stato John Kerry ha rilasciato ieri una intervista in cui ha ipotizzato quali ostacoli potrebbe incontrare la Russia in caso di intervento unilaterale in Medio Oriente: “se la Russia li combatterà da sola [il Califfato] che succederà? Diventerà l’obiettivo ed inizieremo a vedere (chissà) missili antiaerei spalleggiabili che trovano la loro strada per arrivare in quella regione, aereoplani che precipitano… verranno annichiliti. Diventeranno, assieme ad Assad, il nuovo magnete per i jihadisti.” La questione se si tratti di una previsione “neutra “o di una vera e propria minaccia è fuorviante: in politica estera le cose “succedono” e gli effetti si producono come conseguenze naturali delle premesse che si pongono.
Nella sua intervista televisiva per i media statunitensi, Putin ha detto che risultano 2.000 cittadini Russi combattenti nei ranghi dello Stato Islamico, ed è facile immaginare come questa manovalanza potrebbe essere utilizzata da chiunque, in tal caso la Russia diventerebbe il “nemico pubblico numero uno” dell’islam militante. Il Segretario Kerry dimostra che gli obiettivi di questo tipo di terrorismo sono ben presenti agli addetti ai lavori: il personale militare che opera in Siria e la popolazione civile russa.
In definitiva ciò che rende le tre minacce davvero inquietanti è proprio il retroterra geopolitico teso ed instabile in cui si muove oggi il Cremlino. Nell’avventura siriana i Russi non dovranno guardarsi solo da Daesh, ma anche dai tanti competitori globali abilmente zittiti dalle “mosse del cavallo” del Presidente Putin, ma segretamente in attesa di un passo falso da sfruttare a proprio vantaggio.
se posso fare un’osservazione sia riguardo all’articolo dell’autore sia e riguardo alle conseguenze per la Russia di Putin per la sua decisione di combattere il califfato in Siria in luogo di attenderlo sul suo territorio di qui a qualche tempo si dovrebbe tenere conto che verosimilmente la ragioni vere non possono essere dette alla pubblica opinione occidentale ed internazionale per la manipolazione della potente rete dei media occidentale capace di distorcere non solo la verità dei fatti ma finanche di nasconderli(i fatti).
Dunque io penso che la Russia e l’Iran stiano concertando insieme la difesa dei propri confini dal rischio che in Siria si instauri un regime filo-occidentale che significa “protettorato USA” con tutte le conseguenze in danno della difesa di Russia ed Iran.
Non si tratta ovviamente di un rischio ma di una certezza se la Siria fosse lasciata sola a difendere l’indifendibile.
La presenza in Siria per la Russia è una dolorosa necessità ed i russi lo capiranno con il tempo.
Dunque la Russia colpirà dall’alto e l’Iran farà pulizia dal basso e gli USA dovranno accettare il fatto o essere implicati direttamente nel conflitto che hanno provocato e dovranno perdere o vincere.
La macchina si è messa in moto e dovremo solo attendere dove si fermerà.
“Tre trappole nel Deserto Siriano”. Sicuramente tre trappole insidiose, ma non mortali come la quarta, cioè quella che Putin ha deciso di evitare per prima: impedire l’accerchiamento della Russia anche da sud- ovest e mantenere la postazione geostrategica in Syria per il controllo del M.Mediterraneo e del Medio Oriente. Da buon giocatore di scacchi, Putin ha capito che l’attendismo, sarebbe stato controproducente per il futuro politico ed economico del suo Paese. Mi auguro lo abbiano capito anche i suoi connazionali.
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@@@ Joseph ottobre 01, 2015 – Mi trovo d’accordo con quanto hai esposto nel tuo commento.
“Per la prima volta da quando la Russia esiste le sue forze armate svolgono operazioni militari attive al di fuori del territorio dell’ex Unione Sovietica (il cosiddetto “estero vicino”).”
Con buona pace di chi anche in perfetta buona fede vedeva una Russia più propensa alla solo difesa dei propri confini interni criticando di converso il ruolo internazionalista e progressista della fu Unione Sovietica…
Se siamo arrivati a questo punto lo dobbiamo proprio alla caduta di quel muro, al revisionismo storico tutto occidentalista (anche a sinistra) che provava a spiegare il mondo secondo dinamiche liberal borghesi ormai totalmente estranee alla realtà.
Putin lo aveva capito da tempo definendo la caduta dell’URSS come la la peggior catastrofe geopolitica del XX secolo, oggi anche se con dinamiche diverse si sta cercando di sanare quell’errore.
I fatti di questi giorni segnano quindi il ritorno ufficiale della Russia nel novero delle superpotenze in grado di condizionare positivamente l’esito della storia mondiale, non più quindi solo in un ruolo subalterno o di mera difesa dell’esistente ma un vero e proprio contrattacco all’unipolarismo turbo-capitalista occidentale
Naturalmente questo comporta dei rischi e la Russia lo sa molto bene, ma arrivati a questo punto non era possibile fare altrimenti.
Vincere questa guerra e quindi una priorità assoluta, da questo dipenderà l’esito del futuro corso della storia mondiale