Ospitiamo oggi, con il gentile consenso della testata Analisi Difesa, una interessantissima analisi di Mirko Monteni avente ad oggetto i progressi della Federazione Russa nello sviluppo di un proprio “scudo” in risposta ai tentativi simili posti in atto dagli Stati Uniti dopo la denuncia unilaterale, da parte degli Americani, del trattato ABM. Vista la lunghezza dell’analisi riportiamo qui una presentazione dell’autore, invitando i lettori a scaricare il testo integrale disponibile in file pdf qui: La Difesa Antibalistica Strategica Russa di Mirko Molteni.

Schermata 2015-07-10 alle 12.46.50Voluta nel 2002 dall’ allora presidente americano George Walker Bush, l’uscita unilaterale degli Stati Uniti dal vecchio trattato ABM del 1972 potrebbe ora ritorcersi contro Washington, che negli ultimi anni ha sparpagliato i suoi progetti di difesa antimissile regionale su diversi scacchieri, mentre la Russia sta lavorando almeno dal 2010 abbastanza in sordina per lo sviluppo di nuovi missili antimissile a grande raggio e alta quota, non essendo più tenuta a informare i rivali sulle sue difese strategiche, come in base al vecchio trattato, e avvantaggiata dalla posizione centrale e dall’ agire “per linee interne”. Per ora si ritrova con un numero maggiore di missili operativi, i comunque datati e non più extra-atmosferici ABM-3 Gazelle, rispetto al GBI americano schierato in Alaska. La linea ABM verrà tuttavia presto rinforzata. Si parla del fantomatico sistema A 235, un Gazelle migliorato, e dell’ancora misterioso S-500, di cui almeno una versione sarebbe in grado di uscire dall’ atmosfera e fermare non solo testate MIRV, ma forse anche i futuri sistemi Global Strike americani. Il tutto nel quadro di una frammistione di vocazioni antiaerei e antimissile che caratterizza gli ultimi prodotti della Almaz Antey, come del resto i sistemi pari classe stranieri, e che contribuisce a creare una efficace cortina fumogena attorno a un settore che invece nei decenni passati veniva chiaramente delineato per facilitarne controllo e limitazioni internazionali.

Vantaggio numerico

Al recente vertice di Sochi del 12 maggio 2015, che ha segnato un tentativo di disgelo fra USA e Russia, il segretario di Stato americano John Kerry avrebbe parlato a margine col collega russo Serghei Lavrov e con lo stesso presidente Vladimir Putin della questione degli ABM, i missili antimissile su cui, anche se non lo si ammette apertamente, Washington potrebbe attualmente accarezzare un ripensamento rispetto alla politica degli ultimi 13 anni. Nessun dettaglio è emerso su questo nodo dall’ incontro di Sochi, come del resto nulla di preciso è stato deciso sugli altri temi in ballo, specialmente la crisi in Ucraina, al di là delle generiche attestazioni di entrambe le parti secondo cui “è necessario mantenere aperti i canali di dialogo”. Il sospetto che, a porte chiuse, si sia discusso anche di difesa antimissile e di salvaguardia della deterrenza reciproca pare confermato da quanto emerso il 13 maggio, quando la stessa Rose Gottemoeller, il sottosegretario di Kerry per il controllo degli armamenti e la sicurezza internazionale, ha dichiarato, intervistata dal quotidiano russo “Kommersant”: “Spero nella possibilità di firmare in futuro con la Russia un qualche accordo per cooperare nel campo della difesa antimissile”. Era stata sempre la Gottemoeller a far trapelare, fin dallo scorso autunno, la preoccupazione americana per il fatto che l’entità del cosiddetto “scudo spaziale” americano, cioè il sistema GMD, o Ground-Based Midcourse Defense, preposto alla difesa antibalistica del continente nordamericano, risultava in svantaggio numerico rispetto al corrispettivo sistema russo. Il 19 novembre 2014 la vice di Kerry ha infatti confermato che la Russia dispone di almeno 68 missili intercettori del sistema integrato A-135 “Samolet”, detti ABM-3 o SH-8 Gazelle in codice NATO, effettivamente schierati e operativi, a protezione della regione di Mosca, contro gli appena 30 GBI, o Ground Based Interceptor, pronti sulle loro rampe di Fort Greely, in Alaska, postazione ideale a guardia di traiettorie di rientro atmosferico solcanti sia i cieli dell’Artico, sia quelli del Pacifico Settentrionale. Poiché gli Stati Uniti progettano di aumentare il numero degli ABM con base a terra di altri 14 esemplari entro il 2017 (se non più in là, a seconda degli stanziamenti disponibili) il divario resterà tale anche contando i soli Gazelle, senza il nuovo e misterioso S-500, di cui si sa ben poco, che dovrebbe affiancarsi al precedente sistema.“Sessantotto missili intercettori in servizio significano almeno 24 in più di quanto l’America abbia persino in progetto di schierare”, notava la Gottemoeller, nel tentativo, peraltro, di parare le ripetute critiche russe allo scudo antimissile di teatro che gli USA stanno portando avanti in Europa. La constatazione del sottosegretario serve certamente a Washington per rinfacciare al Cremlino che in fatto di ABM per la difesa del territorio metropolitano gli USA non sono certamente in vantaggio sulla Russia, ma nasconde anche il dubbio che la decadenza del vecchio trattato ABM del 1972 possa aver sì dato mano libera agli Stati Uniti, ma garantendo nel contempo alla Russia altrettanto campo libero, senza l’obbligo peraltro di informare gli antagonisti dei propri sviluppi. Un vero effetto boomerang su cui le ultime amministrazioni di Washington non hanno riflettuto abbastanza. E che ben spiega, per fare un altro esempio, il ponderato auspicio espresso il 19 dicembre 2014 dall’ex-ambasciatore americano in Russia, Thomas Pickering: “Le critiche di Putin alla cancellazione del trattato ABM non sono aspirazioni imperiali. Dobbiamo tornare a discutere e a collaborare con Mosca, anche nel campo della difesa missilistica”.

s-400-triumph-air-defense-system-source-ria-novisti

S-500 – Copyright EPA/MAXIM SHIPENKOV

Difese sguarnite

Era il 13 dicembre 2001 quando l’allora presidente americano George Walker Bush annunciò che gli Stati Uniti si sarebbero presto ritirati unilateralmente dal trattato ABM, firmato a Mosca il 26 maggio 1972 come “sottoprodotto” dei più generali colloqui SALT fra USA e URSS per la limitazione delle armi strategiche. L’accordo consentiva dapprima batterie antimissile a protezione di due soli luoghi strategici per nazione, a scelta dei rispettivi governi, poi ridotti dopo ulteriori negoziati a un solo caposaldo difendibile. Il trentennale pezzo di carta andava ormai stretto all’ America, che era allora nella piena fase di sviluppo del sistema, inizialmente noto come programma NMD, o National Missile Defence, concretizzatosi nelle rampe di missili GBI dell’Alaska. La decadenza del trattato, che fino ad allora aveva salvato il principio della deterrenza reciproca scoraggiando nelle due superpotenze la tentazione di sferrare un “primo colpo” nucleare, si ebbe il 13 giugno 2002 e da allora gli americani hanno proseguito sul doppio binario dello “scudo” nazionale, che in verità è risultato finora inferiore alle aspettative, e degli “scudi” regionali incentrati soprattutto sul sistema Aegis incarnato nel missile Standard SM-3, che inizialmente furoreggiante come arma imbarcata su incrociatori, sarà presto anche il fulcro dello scudo europeo con le previste rampe di lancio in Romania e Polonia. Ora, l’SM-3 si è confermato un sistema notevole, specie considerando la riuscita intercettazione, il 14 febbraio 2008, di un satellite in disuso che ha fatto da bersaglio inerme a circa 240 km di quota. Il sistema GBI in Alaska, i cui vettori sono stati collaudati lungamente per una quindicina d’anni tra le basi di Kwajalein, nelle isole Marshall, e di Vandenberg, in California, ha invece spesso rivelato problemi nel riconoscimento delle testate vere dalle possibili testate “esca” che sarebbero imbarcate in tempo di guerra nell’ ogiva di un missile ostile MIRV. Peggio ancora se le testate in oggetto fossero MARV, cioè manovrabili e in grado di cambiare bersaglio anche all’ ultimo momento. Inoltre, non va dimenticato che una componente importante della difesa antimissile nazionale USA doveva risiedere in quella specie di “incrociatore volante” che sarebbe dovuto essere il Boeing YAL-1, alias un 747 Jumbo militarizzato e modificato con torretta laser nel muso per colpire da centinaia di chilometri di distanza i missili nemici ancora nella precoce fase ascendente, coi motori a razzo ben incandescenti a facilitarne il rilevamento infrarosso. Come noto, il programma dell’ambizioso aereo con cannone laser è stato cancellato nel 2011 e al momento non se ne intravede alcuna resurrezione. Ma, al di là delle mere prestazioni tecniche, del resto facilmente “gonfiabili” a scopi politici e industriali mediante collaudi studiati “su misura”, ci interessa qui rilevare come si sia mossa la Russia di fronte alla prospettiva di un rivale strategico che a oltre trent’ anni dall’ annuncio di Reagan sulle “guerre stellari” persegue ancora l’impenetrabilità a intrusioni nucleari balistiche. Un rivale dunque, almeno teoricamente, in grado, presto o tardi, di illudersi di essere invulnerabile, con la logica conseguenza di poter concepire il “primo colpo” come una possibile opzione, per quanto remota e sgradita. Mosca ripete ancora oggi che il suo attuale schieramento di ABM strategici non contravviene al vecchio trattato del 1972. Quei 68 missili SH-8/ABM-3 Gazelle, o per i russi NPO Novator 53T6 furono concepiti verso la fine dell’epoca sovietica ma diventarono realmente operativi dal 1995. Sono inquadrati nella 9° Divisione Difesa Missilistica e distribuiti su cinque basi di lancio fisse in pozzi sotterranei localizzati a Sofrino, Lytkarino, Korolev, Shkodnya e Vnukovo, tutt’intorno a Mosca. Il razzo è lungo 10 metri, con una velocità massima valutata in Mach 17, più di 20.000 km/h. Potrebbe in teoria ingaggiare una testata in rientro nell’ atmosfera in arrivo fino a una velocità sui 5-6, forse anche 7 km al secondo, ma lo scudo russo ha lo stesso problema di quello americano, cioè il discernimento di eventuali testate fasulle. Non si è in grado di dire quanto il sistema sia accurato ed è probabile che i Gazelle, o almeno alcuni di essi, imbarchino ancora una testata nucleare della forza stimata in 10 kilotoni per fermare gli ordigni avversari con la proverbiale palla di fuoco atomica, chiamata anche “pikadon”, dall’ espressione giapponese per “lampo-tuono” coniata dai superstiti di Hiroshima e Nagasaki. Ufficialmente, tuttavia, le testate nucleari sono disassemblate dai missili ABM-3 e vi verrebbero applicate solo in caso di pericolo immediato, sebbene si sia lasciato intendere che molti Gazelle monterebbero già una testata convenzionale a impatto cinetico, il che però pare dubbio per l’elevata precisione richiesta in tal caso. Il problema maggiore dell’ ABM russo, per quel che si sa, è però che proprio la quota massima operativa dichiarata è assai bassa, intorno ai 40 km dal suolo, cioè al di sotto della media stratosfera. Un po’ poco, per un’efficace azione di sbarramento, soprattutto nel caso di una “bordata” di missili con ogive MIRV. Anche il raggio d’azione, in orizzontale, è piuttosto limitato, sugli 80 chilometri. Che poi l’esplosione atomica nella stratosfera possa avere effetti collaterali sull’ area di Mosca, questo potrebbe riguardare più che altro le apparecchiature elettroniche, specie i radar, a causa del noto effetto del “blackout beta” cagionato dall’ impulso elettromagnetico della detonazione e in particolare dei raggi beta, vale a dire “grandinate” di elettroni liberi che sovraccaricherebbero le antenne per vari minuti, rendendo cieche le difese ABM nel caso di attacchi a ondate. La ricaduta radioattiva sulla popolazione locale e sull’ ambiente naturale e agricolo sarebbe però piuttosto esigua per il fatto che trattandosi di un’esplosione stratosferica, la palla di fuoco sarebbe molto lontana da terra e ben si sa come la maggior parte dell’inquinamento radioattivo da esplosioni atomiche sia dovuto all’ ablazione del terreno da parte del pikadon, con conseguente contaminazione delle risultanti migliaia di tonnellate di detriti solidi scagliati nell’ atmosfera dall’ elevarsi del “fungo”. Il fatto è che i Gazelle erano nati come difesa estrema di seconda linea, lasciando l’incombenza principale a un altro tipo di missile antimissile, questo sì extra-atmosferico, in grado cioè di arrampicarsi fino ad oltre 120 km di quota, si dice perfino con apogeo di 670 km, e dal raggio d’azione orizzontale di 350 km. Era l’ABM-4, o SH-11 Gorgon, alias 51T6, anch’ esso fabbricato dalla NPO Novator di Ekaterinburg, nella regione degli Urali. Lungo 20 metri, era armato con testate nucleari di diverso tipo, anche all’ idrogeno, fino a una potenza massima di ben 3 megatoni, da scatenare nel caso delle intercettazioni a quota orbitale o sub-orbitale. Questi terribili ordigni erano però più facilmente impiegabili, data la grandissima distanza dalla superficie terrestre. Il Gorgon fu introdotto in servizio già fra il 1984 e il 1988 e sopravvivendo al crollo dell’URSS era rimasto attivo ancora fino ai primi anni dell’era Putin, per poi essere radiato attorno al 2005, o al più tardi nel 2007. I razzi Gorgon erano annidati in silos di lancio a Novopetrovska, Klin, Turakovo e Kolodkino, le cui infrastrutture sarebbero ancora integre. Come vedremo più avanti, si dice che tali pozzi siano stati ben conservati negli ultimi 7-8 anni in previsione di un loro riutilizzo per nuovi ABM. La difesa ABM strategica attorno a Mosca sembra quindi, al momento attuale, essere rimasta sguarnita, in fatto di raggio d’azione verticale dei missili. Archiviati i più prestanti Gorgon, i soli Gazelle, pur abbastanza numerosi, hanno un margine d’azione più ridotto poiché gli ultimi 40 km di atmosfera verrebbero attraversati da eventuali testate MIRV, o MARV, nemiche in un ristretto arco temporale diciamo fra 6 e 10 secondi, calcolando una velocità di rientro massima sui 7 km/s, e poi a calare. Questa “falla” nelle difese russe è però solo provvisoria ed è destinata ad essere colmata al più presto grazie a nuovi programmi su cui viene mantenuto un ovvio riserbo, quando non alimentata una confusione ad arte, oseremmo dire una tattica di “maskirovka”, perfino da parte dello stesso vertice politico russo. Una confusione favorita anche dal proliferare delle sigle, talvolta contraddittorie, per designare i sistemi completi e i singoli missili, o versioni di essi. Nel maggio 2012 il vice primo ministro Dimitri Rogozin aveva dichiarato: “La difesa antimissile è un’illusione, non importa quanto ci si spende”. In linea di massima sarebbe vero se si pensa a un peraltro improbabile impiego di centinaia di missili balistici per volta, ma un certo livello di difesa resta plausibile nell’ ipotesi di uno scambio limitato e mirato di pochi missili, per quanto qualche testata filtrerebbe ugualmente causando danni catastrofici. E questo i russi lo sanno tanto quanto gli americani. Non a caso, un rapporto del George C. Marshall Institute, dal titolo “Current developments in Russia’s Ballistic Missile Defense”, chiosava nell’aprile 2013: “Fonti dell’industria militare russa dicono che la Russia ha pianificato di spendere fino al 20 % del programma di Stato per gli armamenti, almeno fino al 2020, nella difesa aerospaziale, per una cifra equivalente a quasi 40 miliardi di rubli all’ anno”.

51T6-SH-11-Gorgon-ABM-TL-1S

Gorgon ABM

Mischiare le carte

A partire dal 1° dicembre 2011 le forze di difesa aerea e spaziale russe sono state riorganizzate e unificate nella Voyska Vozdushno-Kosmicheskoy Oborony, abbreviata in VKO, cioè le Forze di Difesa Aerospaziale, superando la precedente divisione fra la Kosmicheskie Voyska, le forze spaziali, e la componente missilistica terra-aria della vecchia forza dedicata e indipendente di epoca sovietica, ma sopravvissuta fino al 1998, la PVO, o Protivo Vozdushnaya Oborona, cioè la difesa contraerea. Già questa compattazione operativa tende a far sfumare la distinzione fra ABM e altri tipi di missili terra-aria alimentando nella controparte americana le incertezze sul reale livello delle difese antimissile del Cremlino, stante il fatto che, in parole povere, diventa più difficile dire dove finisce l’antiaereo, o al limite l’ anticruise, e dove comincia l’ antibalistico. Per i russi, mischiare le carte è stato soltanto il primo passo. Hanno iniziato a lavorare pazientemente per ricostruire e ampliare il loro scudo ABM, in una forma che si lascia intuire meno appariscente, ma non meno efficace di quello statunitense. Tanto per cominciare, vanno ricordate le voci trapelate a partire dal dicembre 2012 su una possibile variante migliorata del Gazelle. In quel momento, appunto più di due anni e mezzo fa, veniva data per imminente, per l’autunno 2013 o al più l’inverno sul 2014, l’entrata in servizio di un nuovo sistema antimissile, denominato A-235 “Samolet M” che è stato spacciato per una modifica, e in effetti la “M” starebbe per “Modifikazija”, del precedente A-135, ma ancora con una quota operativa dichiarata sui 30 -40 km (ma le prestazioni reali potrebbero essere diverse), e un raggio di 100 km, seppure con una testata convenzionale a impatto cinetico. Se davvero il nuovo ABM sia dotato di una testata cinetica, che presupporrebbe la massima precisione di detezione del bersaglio, non facile per gli stessi americani, anche studiosi russi lo mettono in dubbio. Il già citato rapporto dell’istituto Marshall riportava l’opinione di Alexander Konovalov, presidente dell’Istituto delle Valutazioni Strategiche, secondo cui “è dubbio che i progettisti della Novator abbiano ottenuto un rilevante risultato nella stratosfera”. Il fantomatico A-235 dovrebbe in teoria integrare i Gazelle venendo dispiegato nei silos intatti dei vecchi Gorgon. Difficile è però dire se davvero si tratti di razzi Novator 53T6 migliorati, oppure se la sigla A-235 celi un progetto radicalmente nuovo. Al momento attuale, del resto, non se ne sa molto di più e dell’A-235 si parla pochissimo e solo per illazioni. A prima vista, aggiungere qualche decina di razzi, da una dozzina a una trentina al massimo, nei pozzi lasciati vuoti dai Gorgon sembra una misura temporanea di “tappabuchi”, non fosse altro che per il fatto che la Russia ha sempre più cercato negli ultimi decenni di mettere su rampa mobile autocarrata tutto ciò che poteva esservi messo. E certamente missili in postazione fissa, per quanto sotterranea e con portello corazzato, sono meno flessibili e più vulnerabili per definizione, quale che sia il loro scopo operativo. Ecco perché il vero rinforzo alla difesa ABM russa verrà quasi dalla linea di sviluppo dei terra-aria della Almaz Antey, tutti da rampa mobile. Non è un caso che proprio all’ inizio di quest’anno si sia rinnovato l’interesse strategico del governo russo per la “fucina” statale Almaz Antey. Come polo principale dell’industria della difesa missilistica, era già stata fondata il 23 aprile 2002 con uno dei primi decreti presidenziali di Vladimir Putin, l’ ukaz N.412, che aveva fuso i complessi Almaz e Antey in un unico conglomerato, diventato fra i maggiori della galassia militare-industriale nota fin dai tempi sovietici come “oboronka”, tanto da assorbire, come controllate varie altre aziende come la NPO Novator e la Vympel. Ebbene, pochi mesi fa, il 5 febbraio 2015, firmando il decreto, o ukaz, N.56, Putin ha stabilito una ricapitalizzazione della Almaz Antey e soprattutto, il che la dice lunga, il mutamento della sua ragione sociale in “Konzern VKO Almaz Antey”, inserendovi nientemeno che la sigla della forza di difesa aerospaziale e confermando la maggiore vocazione ABM di molti dei suoi progetti in incubazione. Così, è come se una tendenza tecnica già scritta nei fatti abbia ricevuto tanto di “imprimatur” legislativo. E’ noto che proseguendo la dinastia dei missili dalla serie S-300 in poi, i russi hanno dato loro una sempre più marcata ambivalenza antiaerea più antimissile travalicando le vecchie e rigide categorizzazioni che quarant’ anni fa avevano reso plausibile uno specifico trattato anti-ABM. Si prenda il caso del sistema Almaz Antey S-400 Triumf, ormai in servizio in circa 150 esemplari a partire dal 2007, in diverse versioni. La variante con razzo 9M96, con raggio di 120 km, si è dimostrata in grado, durante un’esercitazione il 14 novembre 2014, di arrivare fino a una quota massima di 56km, mentre l’ancor più potente 40N6, che il 4 aprile 2015 è riuscito a colpire un bersaglio a una distanza massima di 400 km dal punto di lancio, sarebbe capace di arrampicarsi fino a 185km di altezza. Ora, proprio il razzo 40N6 sarebbe la base di partenza del nuovo sistema denominato S-500, su cui i russi stessi alimentano, ad arte, la confusione, talvolta denominandolo col soprannome “Samoderzhez”, cioè “Autocrate”, con richiamo alla vecchia tradizione assolutista degli zar ortodossi, oppure chiamandolo “Prometheus”, o ancora “Triumfator M”. Al 40N6, subentrerebbe però presto come dotazione ABM del sistema S-500, il nuovo razzo ipersonico 77N6, con testata a impatto cinetico e, si dice, in grado di colpire non solo le testate MIRV, ma anche gli ordigni del ventilato sistema americano Global Strike, quest’ultimo peraltro ancora sulla carta. L’entrata in servizio delle prime batterie S-500 era, in teoria, prevista già per il 2012, ma ha subito poi numerosi rimandi, al 2013 e poi al 2014. Un dispaccio della Itar Tass del 20 agosto 2014 citava uno dei maggiori ufficiali della VKO, generale Andrei Demin che prometteva per l’inizio del 2016 le consegne operative dei primi S-500, da assegnare alla difesa della capitale: “Sono sicuro che finita la fase di sviluppo i primi distaccamenti di S-500 entreranno nei ranghi delle nostre truppe che fanno scudo a Mosca e alla Russia Centrale”. Ancora oggi si considera suppergiù attendibile questa tabella di marcia, con il termine della fase di sviluppo entro il dicembre 2015, consegna dei primi esemplari ai reparti nel 2016 e piena operatività dal 2017. Entro il 2020 dovrebbero essere almeno 10 i battaglioni di S-500 in servizio nella forza VKO, pari a circa 80 esemplari. Sull’ S-500 il direttore di Almaz Antey, Vladislav Menshikov, aveva dichiarato nel 2013 che si trattava di un sistema missilistico impiegante componenti nuove, quindi piuttosto slegato dal filone evolutivo dei precedenti S-300 ed S-400. Dal canto suo, il comandante in capo dell’aviazione russa, generale Vitkor Bondarev, ha assicurato: “L’S-500 sarà in grado di ingaggiare fino a 10 bersagli contemporaneamente”. Se i radar campali di cui saranno dotati i battaglioni di S-500 sono davvero in grado di rilevare una testata balistica in avvicinamento fino a una distanza di 1300 km, o ancora superiore, la prontezza del sistema sarà certo implementata anche dai numerosi nuovi radar di allarme precoce che la Russia sta dispiegando per sostituire i tipi precedenti, soprattutto il tipo Voronezh in banda VHF e UHF per la scoperta lontana. Con portata di 8.000-10.000 km, per ora è operativo in quattro stazioni, a partire da quella di Lekhtusi, vicino Pietroburgo a coprire il versante nordoccidentale e che è stata la prima completata nel 2009. E’ stata poi seguita dalle antenne di Armavir, nel Sud, di Pionersky, vicino Kaliningrad e dunque alle porte della Polonia. E poi, una quarta stazione tipo Voronezh è attiva vicino a Irkustk, nel centro dell’Eurasia. Ce ne sono altre sei in varie fasi di progetto, costruzione e sperimentazione, la maggior parte di queste a Est degli Urali, a guardia di “sorprese” dall’ Asia, ma anche dall’ Artico.

Linee interne e ombrello continentale

Dal settembre 2012 circola voce, dopo un annuncio del Ministero della Difesa di Mosca, che i russi stiano inoltre studiando un sistema ABM basato in mare. Si parla infatti di varianti imbarcate dell’S-400 e soprattutto dell’S-500, che verrebbero dispiegate verso il 2020 a bordo di alcuni incrociatori classe Kirov, segnatamente le unità Admiral Nakhimov, Admiral Lazarev e Admiral Ushakov. Di più, dopo indiscrezioni dell’ottobre 2014, l’ammiraglio Vitkor Chirkov, comandante in capo della Voyenno Morskoy Flot, ha confermato il 20 febbraio 2015 che si sta progettando una nuova classe di 12 incrociatori a propulsione nucleare dislocanti ben 10.000 tonnellate, tanto da rendere artificiosa la classificazione come “distruttori”, cioè “cacciatorpediniere”. Denominati “classe Leader” (ma potrebbe essere un nome provvisorio), la loro costruzione dovrebbe cominciare nel 2017, con operatività dal 2023. Il 16 marzo 2015 esperti come l’ammiraglio Igor Kasatonov e lo studioso Vasily Kashin, del Centro per Analisi di Strategie e Tecnologie, hanno stimato che anche queste nuove navi avranno a bordo gli S-500, rendendole di fatto incrociatori antiaerei e antimissile. L’ambizione di parificare la situazione con i sistemi Aegis americani è palese, anche se l’imbarco di ABM su natanti sembra più importante per gli Stati Uniti che per la Russia, data la valenza della US Navy come strumento per “aggirare” per linee esterne il mondo, o meglio, i tre continenti classici del Vecchio Mondo. Per Mosca, sarà però più importante sviluppare una rete ABM che, rispetto ai sistemi americani, disseminati presso i territori o le coste di numerosi alleati, avrà il vantaggio difensivo di posizioni concentrate su di un’ininterrotta estensione continentale, riproponendo anche nell’ evanescente campo delle traiettorie missilistiche e delle onde radar l’antica superiorità della manovra per linee interne, nonché la maggior economicità della difesa sull’ offesa. E’ come se, in altri termini, la rilevanza geostrategica dello “Heartland”, la fortezza naturale costituita dal nucleo eurasiatico occupato dalle popolazioni russe e affini, si dimostrasse intatta persino nell’ epoca dei missili, nonostante il geografo scozzese Halford Mackinder l’avesse delineata fin dal lontano 1904. Infatti la VKO, proseguendo nella costruzione dei nuovi radar ad allarme precoce e sviluppando sempre più ABM con rampe mobili, in continuo movimento su strada o sterrato, magari fra gli alberi della taiga, per schierarli dove necessario o anche solo per celarli alla ricognizione nemica e a possibili raid preventivi, può costruire un unico ombrello antimissile, vagamente ellittico, per coprire la maggior parte del territorio russo. Se ipotizziamo che nel giro di alcuni anni l’ABM base russo si consoliderà su un sistema S-500 o simile (si vocifera di un programma S-1000) su veicoli ruotati, le varie batterie potranno portarsi reciproco aiuto a seconda della situazione, spostandosi senza ostacoli nell’ immenso territorio per mantenere una certa compattezza dell’ombrello antimissile. A dar manforte saranno anche gli eventuali incrociatori menzionati poc’ anzi, che verrebbero distribuiti lungo le coste del settore critico, segnatamente l’Oceano Artico o il Mar Nero in caso di guerra con la NATO, ma anche il Pacifico, se in un futuro più lontano dovesse spezzarsi, e nel peggiore dei modi, l’intesa fra Mosca e Pechino. In tal caso, le navi con S-500 imbarcati formerebbero una sorta di prima linea di sbarramento adatta anche a fermare aerei e missili da crociera. Per confronto, i missili GBI in Alaska, se pure posizionati in modo da attendere al varco le testate in arrivo lungo una traiettoria artica o pacifica, sono comunque in posizione decentrata rispetto ai capisaldi principali che dovrebbero difendere, cioè gli USA metropolitani, con i grandi agglomerati di popolazione e di industrie, molto più a Sud. Le numerose batterie americane Patriot o Standard, terrestri o imbarcate su navi Aegis, farebbero logicamente la loro parte ottimamente, ma l’impegno planetario degli USA le porterebbe a essere disperse su numerosi scacchieri, facendo mancare forze preziose in patria. In sostanza, tramontato il trattato ABM, ora che anche la Russia non si sente più tenuta a limiti vetusti nel settore, essa può assicurare una maggior protezione al proprio territorio, vastissimo ma unificato e compatto, rispetto agli Stati Uniti, i cui “scudi” regionali a beneficio di alleati e basi esterne, sono spesso separati da migliaia di chilometri di distanza. Lampante è quindi l’asimmetria fra le due parti, dato che, essendo gli ABM armi difensive, è molto più vantaggioso per i russi disporre di un’unica copertura relativamente coerente su gran parte del loro territorio, piuttosto che per gli americani mantenere e gestire diversi ombrelli più piccoli che in un certo senso circondano l’Eurasia ma è un accerchiamento che avrebbe più valore se si trattasse di armamenti offensivi, anziché di una evoluzione, pur potenziata e sofisticata fin che si vuole, della tradizionale contraerea.

S-400_Triumph_triumf_5P85TE2_SA-21_Growler_surface_to_air_SAM_long_range_missile_defense_system_Russia_Russian_amy_025

S-400

Ovvio comunque che nessun sistema ABM potrà mai essere impenetrabile, tanto che è auspicabile che la pericolosa chimera dell’impunità nucleare venga sempre ghettizzata da strateghi e politici delle grandi potenze, per evitare che in futuro si possa davvero pensare di sferrare un “primo colpo” nucleare senza timore di conseguenze terribili per la propria popolazione. E’ quindi auspicabile che a una prevedibile fase di proliferazione di difese antimissile da parte di Russia, America e altre potenze come la Cina subentri una successiva stagione di riflessioni e schiette trattative fra le parti, per scongiurare il rischio di disastrosi errori di valutazione.

Condivisione: