
Dimostrazione pratica della differenza fra una svista ed una bugia consapevole da un testimonial d’eccezione: Vittorio Zucconi
La solita armata Brancaleone di eurocrati inetti, giornalisti pinocchi, intellettuali liberal, si prepara per l’ennesima crociata. Questa volta l’obiettivo sono le bufale, le fake news come va di moda chiamarle. Un calderone in cui vengono abilmente mescolate le notizie false consapevolmente spacciate per vere dai cacciatori di click, quelle semplicemente non verificate, quelle vere e verificate ma colpevolmente omesse dai media mainstream e le semplici opinioni dissenzienti. Un caos da cui non può palesemente venire alcunché di buono. La domanda da porsi, tuttavia, come sempre quando si tratta dai miasmi usciti da queste cucine, non è tanto se si vi sia motivo di sperare (non c’è mai) quando se si debba temere e correre ai ripari.
Diciamo subito che non c’è preoccupazione a breve termine. Se però contestualizziamo questa brillante idea (la guerra alla bufala) con tutte le altre iniziative di limitazione della libertà di stampa e di espressione in corso ed in fieri, se poi leggiamo il tutto sullo sfondo degli sviluppi politici in atto nelle nostre società, dobbiamo concludere che motivo di preoccupazione esiste eccome. Cerchiamo di capire perché.
La guerra al fake oggi: chiacchiere e petardi bagnati.
Si è parlato di fake news in quattro occasioni: la stampa USA e alcuni politici europei hanno chiesto un intervento censorio a Facebook, la Camera dei Deputati Italiana ha organizzato un incontro con noti debunkers, il Presidente dell’Antitrust Pitruzzella ha rilasciato una discussa intervista al Financial Times e le autorità tedesche e ceche hanno annunciato la costituzione di “commissioni antibufala”. Tutto questo nel giro di un mese: è evidente che qualcosa bolle in fondo al calderone della cucina liberal, ma quello che è salito in superficie è, ad oggi, davvero poco.
Facebook: accusato dalla stampa (peraltro senza uno straccio di prova) di aver avvantaggiato Trump, Zuckemberg ha sulle prime risposto come si conviene al proprietario di un’azienda che, a causa della sconfitta della Clinton (su cui aveva massicciamente puntato), ha perso il 7% del suo valore: “siete matti?”(letteralmente).
Qualche giorno dopo, però, un pazzoide ha sparato una sventagliata di colpi di arma da fuoco in una pizzeria di Washington, il Comet Ping Pong, protagonista di una storiella cospirazionista circolata sui social prima delle elezioni (è qui, dicono questi credibili resoconti, che Hillary Clinton e John Podesta avrebbero mercanteggiato neonati per sacrifici umani & satanic parties). (Si, stiamo parlando di questo). (E, certo: se questi snob annoiati non frequentassero davvero le demenziali cene a base di piscio e sperma fritto di sedicenti artiste serbe fuori di testa, nessuno presterebbe attenzione a questi fake).
Comunque, nonostante la sparatoria non abbia provocato feriti o vittime, i meglio giornalisti della stampa mondiale ci hanno ricamato un po’ su ed hanno caricato sul groppone di Mark la responsabilità del fattaccio, così che Facebook è sceso a più miti consigli, annunciando, con un comunicato, la propria intenzione di creare un sistema di “spunte” per segnalare le notizie “non verificate”.

Laura Boldrini Presidente della Camera. E nonostante questo la gente non capisce ancora quanto danno possano fare le bufale online.
Peggio la pezza del buco: non solo la “verifica” studiata da Facebook dovrebbe essere fatta a cura di media mainstream farciti di panzane e totalmente screditati, ma l’intera operazione sarebbe gestita da The Pointer Institute, una realtà immediatamente denunciata da Zerohedge come emanazione della galassia Soros. Si è già capito, in definitiva, che i “controlli” di Facebook, se mai esisteranno, saranno o del tutto ininfluenti, o esercitati da soggetti talmente compromessi che l’effetto finale potrebbe essere l’esatto opposto di quello sperato.
La Guerra di Laura: Poteva mancare la Presidente Laura Boldrini, madrina honoris causa di qualsiasi iniziativa controversa dell’emisfero nord? Non poteva. E così alla Camera dei Deputati si è tenuto il famoso incontro sulle fake news già da tempo annunciato dalla Presidente e dalla stampa al seguito con grande fanfara: presenti giornalisti, debunkers, tuttologi assortiti. Unica, scontata, conclusione: Laura Boldrini, il politico italiano che più ha basato la propria notorietà sulla provocazione e sulla ricerca della reazione scomposta, una personalità di cui tutti ignorerebbero l’esistenza se non fosse per le sue dichiarazioni che paiono pensate apposta per provocare regolarmente uno strascico di polemiche online sui social, una che, in sostanza, dovrebbe ringraziare il cielo per ogni bufala che gira sul suo conto, ha ricevuto il serto del martirio dai meglio cacciafrottole de noartri. Fine del teatrino.
Pitruzzella goes to Hollywood: Un giorno di fama mondiale l’ha avuto anche il Garante dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella, sparato da Palermo alla redazione del Financial Times a pontificare sulla creazione di una Super Agenzia Europea (una specie di orgasmo dell’eurocrate) che dovrebbe “riconoscere le bufale, rimuoverle e fare multe, se necessario”. La lotta alla bufala, sostiene Pitruzzella, non può essere lasciata a Facebook perché (lo ha detto veramente!) “il controllo delle informazioni non è compito per entità private. E’ storicamente compito dei poteri pubblici” (ad esempio, in Italia, del Minculpop). Purtroppo per Pitruzzella il suo sogno orwelliano, sempre che sia realizzabile, avrebbe bisogno di una costruzione legale ed organizzativa ad oggi del tutto assente. Del resto il fondo scritto ieri dallo stesso Pitruzzella per il Corriere della Sera (un estratto qui) denuncia chiaramente che il Nostro non ha la più pallida idea di ciò di cui sta parlando (basti dire che viene evocata come esempio attinente la tragica vicenda di Tiziana Cantone) e declassa la sua intervista da macchinazione totalitaria a eccessivo consumo di Nero d’Avola al pranzo di Santo Stefano.
Fake & Krauten: si è parlato molto, negli ultimi giorni, anche del progetto del Governo Tedesco di mettere assieme una unità di contrasto alle false notizie prima delle prossime elezioni (e pazienza se il vero problema del governo tedesco non sono le notizie false, ma quelle vere, come il Rapporto sulla Povertà recentemente censurato).

E’ grande, ha le orecchie a punta , parla tanto e sgrammaticato, ma non è un Troll Russo.
Si tratterebbe, in ogni caso, di iniziative non coercitive, completamente ignorate dall’opinione pubblica, come il mitico account Twitter @EUvsDisinfo, un ridicolo ricettacolo di video demenziali su come scoprire i troll russi (sono grandi e verdi, hanno le orecchie a punta, scrivono tanto ma sbagliano i congiuntivi) e di articoli “obiettivi” scritti da think tank collaterali alla NATO. Il classico tipo di spesa pubblica per una propaganda ottusa con l’unico prevedibile effetto di fare infuriare i contribuenti.
In conclusione: per ora, calma e gesso. Non sta succedendo nulla. Eppure la Crociata contro le Bufale è inquietante. Per due motivi. Uno riguarda l’Occidente nel suo complesso, l’altro l’Unione Europea.
Ennesimo sintomo della crisi dell’Occidente.
Prima di tutto questa ennesima allucinazione mediatica è il segno definitivo dello scollamento in atto fra le elite e le masse in tutto l’Occidente. Il processo è ormai chiaro e probabilmente irreversibile.
Vivete su Marte o a Strasburgo? Ecco il riassunto. Dopo la fine della guerra fredda, dopo la cosiddetta “fine della storia” marcata dal trionfo del liberismo, politica ed informazione hanno marciato al passo scandito dall’economia. In un primo momento le masse si sono accodate, perché ingannate sulla natura del processo in atto e sedotte dal fogno del desiderio infinito di consumo.
In quegli anni l’informazione, con la collaborazione di uno stuolo di “tecnici” a gettone, si è giocata tutta la sua credibilità spacciando menzogne sulle provette di Colin Powell, sulle armi di distruzione di massa di Saddam, sulle magnifiche sorti e progressive dell’Unione Europea, sulla efficienza dello stato minimo e sulle meraviglie dell’immigrazione incontrollata. Nel frattempo la politica si è suicidata rinunciando a progettare il futuro e consegnandosi a piazzisti ed esperti di marketing che hanno gareggiato nel consegnare ai privati tutte le leve di comando della società. Ma poi, con il passare del tempo, si sono riscossi i dividendi del liberalismo: guerra, disuguaglianza, rapina, povertà, caos. Gli yesman nelle istituzioni hanno fatto sempre più fatica a imbellettare il maiale, e i media a spacciarlo per una bambola da sogno. Alla fine, nel 2016, dopo 25 anni esatti di trattamento all’olio di ricino, la corda si è spezzata: le masse si sono rese conto che i rappresentanti hanno tradito il mandato e l’informazione le ha ingannate ed hanno disertato. Brexit, Trump, referendum italiano. Un solo, assordante, messaggio: non vi voteremo mai più!

La rappresentazione visiva della fine della stampa occidentale.
In teoria questi tre sonori, inequivocabili ceffoni avrebbero potuto produrre un ripensamento. Certo, le elite avrebbero dovuto riconoscere la responsabilità della catastrofe, cambiare rotta, fare autocritica, ma cavalcando le sacrosante richieste dei popoli si sarebbero potute salvare: in fondo gli specialisti sopravvivono ad ogni rivoluzione. Era una strada percorribile? Io credo lo fosse. Comunque ormai è chiaro che non si andrà in questa direzione.
Ciò che invece è successo e a cui stiamo assistendo è un avvitamento, un arroccamento, una chiusura suicida. La politica ha concluso che se gli elettori non votavano le riforme il problema è che le riforme non erano abbastanza numerose e traumatiche. Hanno deciso che la soluzione è più riforme. Le teste d’uovo della informazione tradizionale, da parte loro, hanno pensato che se la gente non legge più un giornale nemmeno ad infilarglielo sotto la porta di nascosto, nottetempo, non è colpa del fatto che la carta stampata è piena di frottole, ma che le frottole non sono abbastanza numerose, o abbastanza fantasiose: “Putin non solo non li spaventa più, ma li entusiasma?” paiono aver pensato. “Potremmo inventare gli hacker, o i bufalari. O magari gli hacker bufalari di Putin! E quando arriveranno a commentare i nostri pezzi sommergendoli sotto tonnellate di pernacchie e di insulti potremmo invocare l’intervento delle autorità. Chiamare la forza. Si, può funzionare!”. Questo devono aver pensato. Pare di vederli.
Siamo dunque arrivati al momento in cui le masse subalterne, che vivono nel mondo reale, sono divenute insensibili non solo alle blandizie ed alle promesse, ma anche alle minacce, mentre le elite urbane e globalizzate, vittime della propria stessa propaganda, considerano i popoli governati estranei o addirittura nemici. Questa spaccatura, comunque la si guardi, è pericolosa. Gli assediati sembrano avere solo due opzioni: la resa o la repressione violenta. Molto dipenderà dal contesto intellettuale, istituzionale e politico, in cui agiscono.
Perché l’Unione Europea è un grosso problema.
E veniamo così all’Unione Europea. A prima vista sembrerebbe una istituzione abbastanza democratica o, se non proprio democratica (la Commissione Europea è espressione della volontà popolare più o meno come i funzionari imperali al tempo di Teodosio), almeno abbastanza inoffensiva da garantire un esito soddisfacente della crisi. “E’ vero, facciamo tanti disastri” sembrano dirci gli Eurocrati “Ma non siamo cattivi. Siamo tanto buffi, carini e coccolosi. Portateci a casa con voi. Vedrete: vi faremo compagnia.”. E’ davvero così? Purtroppo no.

Direttamente dall’aldilà: Karl Popper assiste alle conseguenze pratiche delle proprie riflessioni
Per quanto apparentemente troppo stupida per essere pericolosa, l’Unione Europea rappresenta sempre nel fatti una macelleria sociale, e nei principi il risultato di una elaborazione ideologica tutt’altro che rassicurante. L’architrave che regge questo circo Barnum è infatti quel liberalismo da “società aperta” teorizzato da Karl Popper, un pensatore che considera il concetto di verità intrinsecamente totalitario. Secondo la visione del filosofo austriaco una società politica deve accettare che la verità non faccia parte del discorso pubblico, poiché la verità è un concetto autoritario e la sua scoperta impone il silenzio e la cessazione della ricerca.
Nel giardino delle delizie di Popper il campo della verità è occupato dalle opinioni, dai punti di vista parziali, che competono nel mercato dell’epistemologia così come i capitali fanno in quello dell’economia. Effetto collaterale: la soppressione della verità porta ovviamente alla guerra al totalitarismo, una categoria in cui viene ricondotto qualsiasi sistema politico affermi una verità, a prescindere dal merito e dal contenuto della verità affermata. Chi vuole costruire un mondo diverso non è amico né di Popper né dei suoi epigoni odierni.
La lotta al totalitarismo produce, traslata nella prassi dei documenti ufficiali dell’Unione Europea, sia quella che Costanzo Preve chiamò “religione olocaustica intesa all’asservimento simbolico dell’Europa, chiamata ad espiare per sempre”: Auschwitz come simbolo supremo del rifiuto della comunità nazionale (a vantaggio del progetto atlantico, mentre Hiroshima e Dresda sono ovviamente spiacevoli e sfortunati inciampi), sia la rinuncia programmatica alla libertà di immaginare un mondo “altro”. Estraneità che trova la sua concretizzazione ideale e geografica nell’oriente. Nella Russia, già comunista, identitaria, comunitaria, irriducibilmente idealista, o nella Cina, grande antagonista geopolitico, capitalista ma statuale.
Ecco come il superamento della nazione produce l’asservimento ad ovest e la guerra ad est. L’Unione che “assicura 70 anni di Pace” (agisce retroattivamente, esistendo da poco più di venti, e per questo è pronto al tavolo un Nobel su ordinazione servito con puntualità dai camerieri di Stoccolma) nasce in realtà per la guerra continentale contro Cina e Russia, nemici naturali dell’Oceania di Orwell. Dall’intima dinamica della lotta al cosiddetto totalitarismo sorge quindi un progetto permeato di strisciante autoritarismo. Lo stesso Popper (che George Soros considera con qualche ragione suo maestro) ha fornito una “clausola di salvaguardia” che consente alla più edenica delle creazioni politiche questa evoluzione: il paradosso della tolleranza. Leggiamo:

A dire la verità l’Oceania di 1984 si fermava al canale della Manica. Un raro caso di distopia ottimista
“La tolleranza illimitata” scrive Popper in La società aperta e i suoi nemici “porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi. In questa formulazione, io non implico, per esempio, che si debbano sempre sopprimere le manifestazioni delle filosofie intolleranti; finché possiamo contrastarle con argomentazioni razionali e farle tenere sotto controllo dall’opinione pubblica, la soppressione sarebbe certamente la meno saggia delle decisioni. Ma dobbiamo proclamare il diritto di sopprimerle, se necessario, anche con la forza.”
E’ su queste basi ideali che, nei primi anni con fare insinuante e approccio molliccio, e più recentemente, mano a mano il cambio di pelle progredisce, con sempre maggiore assertività, l’Unione Europea ed i suoi paesi membri affermano verità incontrovertibili (lotta al “negazionismo totalitario”) sottraendole all’analisi degli storici, bandiscono i partiti comunisti e socialisti, limitano l’espressione delle opinioni (il contrasto del temibile hate speech), presidiando queste iniziative con i codici penali. Sempre il codice penale e la repressione sono destinati a contrastare il “terrorismo”, una fattispecie di reato abbastanza generica ed estesa a condotte talmente anticipatorie da prestarsi, in potenza, quale opportuno strumento per la repressione di ogni forma di dissenso. Nemmeno i morti e i ricordi sfuggono all'”Amore” dei veri democratici: in tutta l’Europa orientale vengono dissacrati i monumenti all’Armata Rossa, rinominate strade, rimossi monumenti, riscritti i libri di storia, mentre si celebra la “giornata europea dei giusti” vittime di Nazismo e Comunismo (che ovviamente pari sono). E’ una tendenza chiara ed inquietante, che approda necessariamente alla affermazione di un “eccezionalismo” europeo (“Europa potenza indispensabile” cit. Federica Mogherini), fratello minore di quello di oltre Atlantico.

Incredibile abbiano fallito. Parevano così rassicuranti.
Queste sono le coordinate ideologiche in cui si muove una dirigenza ormai totalmente screditata ed incapace di immaginare le opportune correzioni di rotta. Un contesto in cui anche tentativi velleitari e puerili e idee strampalate come la “Crociata contro le Bufale” i “Ministeri della Verità e dell’Amore” miranti, in ultima analisi, alla repressione violenta dal dissenso, potrebbero sembrare a qualcuno disperato, quando la crisi si aggraverà, una via di uscita praticabile.
Dopo la fine dell’Unione Europea
Tutti questi strumenti repressivi, tutta questa ideologia avvelenata, sarà poi pronta per chi verrà dopo la catastrofe europea. Visto che i “tecnici”, i “saggi”, gli “esperti”, in una parola gli “specialisti” quelli che, in ultima analisi, fanno funzionare la macchina della società, si sono chiusi in una torre d’avorio e hanno rifiutato di porre mano alla riparazione dei danni da loro stessi provocati, è fatale che le elite che verranno dopo il crollo di quella torre saranno (le avvisaglie già si vedono) tecnicamente sprovvedute e politicamente imprevedibili. Costoro si troveranno fra le mani questi strumenti di repressione già pronti, ed il rischio di un loro utilizzo largo ed indiscriminato a questo punto sarà grave.
Un motivo in più per opporsi all’imbarbarimento senza fine del nostro sistema politico e comunicativo. “Possa tu vivere in tempi interessanti”: mai la maledizione cinese è sembrata più puntuale e più sinistra.
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Articolo di Marco Bordoni per Sakeritalia.it
Articolo interessante, all’autore del quale rivolgo i miei complimenti, ma che:
1- non coglie l’elemento fondamentale della questione
2- non analizza nel modo dovuto cosa c’è alla radice di un pensiero che si spinge a ipotizzare provvedimenti siffatti.
Forse questi argomenti potrebbero essere trattati più agevolmente in una continuazione dell’articolo.
L’elemento fondamentale della questione è la realtà squisitamente totalitaria insita nell’imporre una “Verità Istituzionale”. Ma ancor più nella gravissima sindrome dissociativa stante nella presunzione che tale Verità che possa essere accettata, e in caso contrario di poterne imporre l’accettazione mediante mezzi di coercizione cui si ritiene di avere accesso e di poter utilizzare impunemente.
Le radici di un pensiero e una logica siffatti stanno appunto nella vera faccia di quello che insiste a definire sé stesso liberalismo. Si mostra nel momento in cui tale ideologia viene a trovarsi priva di forma alcuna di contrasto a livello politico-istituzionale, avendo essa penetrato e infiltrato coi suoi sicari ogni centro di potere. Quindi va a dispiegare le sue reali conseguenze, finendo per forza di cose con lo scontrarsi con un’opinione pubblica sufficientemente radicata, generata appunto dalle enormi contraddizioni prodotte dagli squilibri congeniti e irrisolvibili da cui è gravato.
Malgrado quell’opinione pubblica sia stata privata di qualsiasi forma di rappresentatività a livello politico, è riuscita a sfruttare i residui strumenti non ancora aboliti dal liberalismo, in quanto necessari alla finzione con cui mostra la sua faccia falsamente benevola.
Infatti già al primo esito negativo quegli strumenti vengono revocati. Mediante il tentativo di invalidarne il responso, come nel caso del Brexit e di Trump, o rimandandone sine die le conseguenze logiche come nel caso del Mattarella che malgrado il partito al potere abbia ormai una rappresentatività poco più che marginale del paese reale, mediante un’evidente forzatura delle norme costituzionali e delle funzioni attribuitegli, gli permette di insediare ancora una volta un Presidente del Consiglio illegittimo, il quarto consecutivo, in quanto privo di mandato popolare.
Tutto questo pone in evidenza la natura dispotica propria del liberalismo. In primo luogo quale ideologia che già a partire dalla sua stessa definizione contiene gli attributi tipici del bispensiero e della neolingua orwelliani, tali da denunciare la sua realtà genuinamente distopica.
Ma soprattutto ne palesa l’incapacità non di correggere ma persino di ammettere la possibilità di aver commesso degli errori, peraltro gravissimi, in primo luogo per la totale inadeguatezza a livello intellettivo e concettuale degli individui di cui si è servito, conseguenza delle metodologie con le quali li ha “educati” e formati riducendoli a una sorta di automi teleguidati.
Così facendo, invece di mitigare le conseguenze delle contraddizioni di fondo di cui è portatore, si arrocca ulteriormente sulle proprie posizioni giungendo appunto a prospettare la necessità di un “Ministero della Verità” ancora una volta di matrice schiettamente orwelliana.
Ricetta che già in sé esprime al meglio la realtà del fallimento totale e definitivo dell’esperimento liberista, alla quale esso stesso si condanna in base alla sua pretesa di irriformabilità.
L’articolo è scritto molto bene e si fonda su un’analisi perfetta fino al punto in cui, complice l’annebbiamento della vista dovuto allo sventolio del drappo blu costellato di giallo, l’autore perde lucidità e s’inalbera. Peccato.
La lettura offerta sulla genesi e le dinamiche dell’Unione Europea denota una conoscenza approssimativa del funzionamento della macchina istituzionale e dei suoi processi di formazione del consenso, delle maggioranze e quindi delle decisioni: ne risulta la dolorosa assenza delle giuste chiavi di comprensione e l’impossibilità di attribuire agli uni e agli altri le corrette responsabilità.
L’Unione Europea – come ogni altra istituzione umana e come, ad esempio, la Costituzione italiana – è il frutto di molte e differenti spinte economiche, politiche e sociali. La necessità di ricostruire un continente devastato dalla guerra; la volontà degli USA di dotare il mondo di due poli di produzione di eccedenze con un proprio mercato e capacità finanziarie tali da assorbire i due deficit gemelli statunitensi (Giappone e tigri asiatiche da una parte, Germania e UE dall’altra); la speranza collettiva di chi aveva perso familiari e casa e voleva superare anni (anzi, secoli) di guerre e tensioni; la necessità capitalistica di avere un’area di libero scambio per generare economie di scala; il gioco delle due sfere di influenza… Potrei continuare ancora per un bel po’, ma la sostanza è che l’UE non è un progetto scritto a tavolino da una ristretta élite liberale, ma il prodotto di secoli, anni, mesi e giorni di traiettorie di vita di milioni e milioni di persone sui un continente attraversato da dinamiche sociali, economiche politiche complesse e in perenne mutazione da più di duemila anni.
L’UE potrà durare mille anni o scomparire entro il 2018, ma non è una visione astratta: è il nonno di una mia amica francese che combatté nella resistenza e poi fondò un circolo di amicizia franco-tedesca, sono le migliaia di studenti e lavoratori che ogni giorno attraversano le frontiere per andare a vivere qua e là, lontano dalla provincia di nascita, arricchendo se stessi e tutto gli altri di esperienze, beni e servizi; è un luogo surreale, nel centro di Bruxelles, in cui si parlano decine di lingue e si prova ogni giorno a fatica a trovare un possibile denominatore comune a interessi tra i più disparati e spesso confliggenti.
L’UE è basata su un sistema bicamerale, con il potere legislativo affidato a Consiglio e Parlamento. Il Consiglio, formato da rappresentanti dei governi dei paesi membri, è nettamente prevalente. La Commissione (quella a cui si fa vagamente cenno nell’articolo, quando si citano gli “eurocrati”) non c’entra un granché con le decisioni fondamentali: si limita ad amministrare un budget e a dare qualche input ed è, in ogni caso, votata dal Parlamento si proposta del Consiglio. Non ha quindi nessun potere che non le sia stato conferito in maniera – diretta e indiretta – dai popoli sovrani (proprio come avviene per il nostro Presidente della Repubblica o per il nostro Primo ministro).
E’ ovvio che la Commissione sia europeista e debba abbozzare un qualche disegno per giustificare il proprio mandato. Immaginate un governo italiano che si dichiarasse scettico rispetto all’unità nazionale? E’ ovvio che europeista sia pure lo spirito con cui tutti noi eleggiamo il Parlamento, in cui siedono (a nostre spese e con pieno diritto di voto e di parola) anche deputati euroscettici. Ma il Consiglio, che è il vero dominus del gioco politico continentale, non rappresenta affatto la fumosa e inesistente élite transnazionale catto-pluto-giudaica che disturba i sogni dell’autore dell’articolo, quanto gli interessi nazionali degli stati membri: ogni tanto l’interesse dei rispettivi popoli, più sovente quello dei poteri economici locali di volta in volta preminenti. Finché il sistema capitalistico ha prodotto crescita economica grazie agli incrementi di produttività e all’estensione della platea dei consumatori, è andato tutto bene. Adesso che i nodi della crisi del modello di produzione e distribuzione della ricchezza vengono al pettine, i governi nazionali non sanno più che pesci pigliare e danno la colpa all’UE: proprio come i fascisti danno la colpa della crisi ai migranti e la Clinton ai russi quella di aver perso le elezioni.
E quindi? E quindi abbiamo due strade: o facciamo gli utili idioti di chi soffia sul fuoco della sovranità nazionale e di cazzate simili, per riportarci alla gloriosa epoca in cui la polizia poteva massacrare i manifestanti in Spagna e in Grecia, i servizi mettevano le bombe sui treni tra Bologna e Firenze e gli USA si imbarcavano da soli nella carneficina dei civili del del Vietnam, oppure proviamo a costruire un’UE federale in cui il parlamento continentale abbia *molti* più poteri, compreso quello di esprimere un governo, un esercito e una comune politica estera e in cui possa nascere un movimento internazionale che pratici la lotta di classe, quella per redistribuire le ricchezze che se ne fottono delle frontiere in cui restano impigliati i poveracci.
E’ il capitalismo, bellezza, e non l’UE, che dobbiamo combattere.
Prendo atto dell’ obiezione ben argomentata ed esposta.
Non accetto solo due passaggi: primo il “catto pluto giudaico” che è il classico straw man argument (se non si è capito il mio pezzo non se la prende con persone, e meno che mai con persone di una certa confessione, ma solo con il capitale e con chi si fa interprete delle sue dinamiche).
Il secondo passaggio è quello degli “utili idioti”. Un po’ supponente, no?
C’ è un gruppo di persone di sinistra che pensa che i confini nazionali siano un ottimo strumento di repressione delle rendite finanziarie (strumento che ha funzionato molto bene fino al 1990) e che il patriottismo non sia affatto un appannaggio delle destre (ricordate “patria o muerte?).
Ci sono altri, sempre di sinistra, che pensano che il rimedio sia “più Europa”.
Personalmente penso che “Più Europa” può significare solo trasferimenti massicci di capitali dal nord al sud che bilancino il divario di produttività all’ interno di un’area valutaria non omogena e questo i Tedeschi non lo accetteranno mai. Se una Europa migliore fosse possibile ci sarebbe già. Il fatto è che, guarda un po’, l’ unica Europa possibile fino ad ora è stata la mattanza salariale che abbiamo davanti agli occhi. E’ un caso? Difficile crederlo.
Facciamo così: dopo il collasso dell’ Unione Europea io, eventualmente, accetterò la parte di utile idiota di Salvini, se e quando Salvini, come tanti sostengono, instaurerà una regime autoritario. Ma lo farò solo se i fautori della chimera federale accettano oggi di essere stati gli utili idioti di Draghi & Monti & friends negli ultimi 25 anni.
A ciascuno il suo.
Cordialmente.
Mah, scusi se intervengo.
Cedere a Monti, Draghi & compagnia brutta cantante non è mica per tutti una questione ideologica alla “meno peggio”!
Più che cedere a loro molti di noi abbiamo ceduto alla maggioranza, proprio così come un giorno malaugurato probabilmente cederemmo a Salvini.
La miglior parola non fu mai detta, così come una miglior scelta, non per forza ottimale, ma comunque, migliore.
Saluti.
Ammetto che il “catto-pluto-giudaico” è stato un inutile cedimento al sarcasmo, pardon. E’ solo che abitando da ormai dieci anni all’estero (a Berlino e a Parigi prima e da poco proprio a Bruxelles) ho avuto modo di conoscere il punto di vista dell’elettore mediano europeo continentale, il quale nei confronti di noi mediterranei ha una radicata insofferenza: vuoi per colpa della cultura calvinista, vuoi per oggettivi elementi di analisi ci vedono come incalliti evasori fiscali che hanno speso per anni oltre le proprie possibilità finanziandosi a debito – e adesso frignano. Il che, detto fra noi, corrisponde in gran parte a verità, se si pensa alla qualità del “management” industriale italiano, sostenuto a colpi di superbolli, svalutazioni competitive e, più di recente, privatizzazioni di favore.
Tutte cose che con l’Europa siamo stati costretti ad abbandonare a tutto vantaggio di una miglior struttura macroeconomica, a condizione però di fare le riforme “che l’Europa ci chiede” – che non sono (solo) le liberalizzazioni del mercato del lavoro come vorrebbero farci credere quelli del PD, ma anche l’istituzione di un sussidio universale di disoccupazione, l’adeguata tutela dei consumatori, la liberalizzazione delle professioni e di settori ingiustamente protetti come quella farmaceutico, il recepito di un adeguato codice degli appalti… per finire con la difesa dell’ambiente come nel caso di Taranto, in cui l’Europa ci chiede da anni di fare le bonifiche mentre noi continuiamo a fare decreti per tenere aperta l’ILVA.
Questo per dire che all’Europa non dobbiamo solo alcuni evidenti svantaggi della moneta unica, ma anche l’opportunità di recepire norme e comportamenti più civili e democratici, che la nostra politica – per disonestà e cialtroneria – fa di tutto per rimandare. I vantaggi molto spesso li rifiutiamo noi continuando a eleggere gente come Renzi, o a mandare in Europa tecnici inadeguati, ministri incompetenti o politici come Salvini o come Barbara Spinelli (che pure io ho votato) e che poi si isolano nel nulla risultando inutili a qualunque causa. Sprecando opportunità come il semestre di presidenza, in cui avremmo avuto l’occasione di dettare per un anno l’agenda delle negoziazioni finanziarie e industriali – un ruolo fondamentale nel sistema politico continentale – e invece abbiamo fatto una stupida battaglia di retroguardia sull’immigrazione di cui tocca anche leggere le lodi da parte di gente tipo Scalfari.
Io sono europeista non per un’idea astratta, ma perché vorrei che l’Italia fosse un po’ meno simile alla Grecia e un po’ più simile alla Francia. Si potrebbe fare, ci vorrebbe poco. Ma per farlo bisogna avere il coraggio di andare contro la vulgata neo-nazionalista e sovranista e spiegare che è più sensato opporre al capitalismo internazionale un governo sovranazionale: e semplicemente perché i governi nazionali non contano più una sega, e se c’è una chance di ritrovare una voce collettiva “pesante” quella chance ha dimensioni europee. Io voglio che un movimento transnazionale accomuni le maggioranza invisibili (cit. Ferragina) tedesca, spagnola, greca, francese, inglese e italiana, non tornare a un dibattito angusto tra me, Fassina (chi?), Salvini e Di Maio. Abbiamo visto cosa succede a opporre un vasto movimento nazionale alle dinamiche capitalistiche europee, no? Guarda la fine che ha fatto Syriza, la sua sconfitta storica. Eppure, cavolo quando li ho sostenuti e quanto ci credevo. Semplicemente, a livello nazionale ci schiacciano. Se riuscissimo a giocarci una partita europea, avremmo qualche chance.
Tutto qua.