Nel libro “la mia gioventù nel fuoco” sono raccolti lavori di studenti, futuri giornalisti della facoltà di filologia della Università Nazionale di Donesk. In questi pezzi gli studenti condividono le loro osservazioni sugli eventi accaduti nel Donbass negli ultimi tre anni. Abbiamo deciso di tradurre un capitolo dell’antologia (che vi proponiamo in tre puntate), per permettere anche ai lettori italiani di conoscere “la gente straordinaria del Donbass”.
La gente straordinaria del Donbass
di Nikita Makarenkov e Pavel Khanarin (da La mia gioventù nel fuoco, pag. 110)
La guerra è arrivata inaspettatamente nel Donbass. Chi avrebbe mai potuto pensare che nel 21° secolo ci saremmo trovati bloccati in città e avrebbero cominciato a ucciderci. Ucciderci fisicamente e moralmente. Ma la gente del Donbass non si è mai piegata, come è provato dalla storia ed è confermato dagli atti eroici di oggi.
Il battesimo del fuoco
Dai tempi della scuola sognavamo di iscriverci alla facoltà di giornalismo, e così è stato nel 2014. Questo fu il nostro primo anno in condizioni di guerra. Per via dei combattimenti, gli studi cominciarono con un mese di ritardo. Ma l’inizio dei corsi fu veramente l’inizio di una guerra. Ci ricordiamo soprattutto l’esplosione di un missile Tochka-U su una fabbrica di reagenti chimici. La forza dell’onda d’urto fu sentita anche in diversi paesi della giovane repubblica di Donetsk, ma noi studenti la avvertimmo nel momento più imprevisto. Successe durante la lezione di letteratura russa di Nikolaj Aleksejevich Anisimov. Tutti ascoltavamo le sue considerazioni, ed ecco all’improvviso un botto! Assomigliava a un colpo inferto con un asse, solo che un asse non colpisce tutto il corpo. Ci fu un attimo di silenzio assoluto, tutti rimasero immobili. Da dietro la porta si sentì un grido: “Allarme! Tutti al rifugio!” Tutti si riversarono nei corridoi dove già c’era una calca di studenti, che si precipitavano al rifugio antiaereo.
Tempo dopo ricordiamo questo episodio con una leggera ironia, ma comunque non si possono dimenticare le sensazioni di quel giorno. Questo fu il nostro primo “battesimo del fuoco”. Da lì a qualche mese trovammo un impiego come inviati in un giornale locale. Da allora sono passati due anni. La guerra ha dimostrato che gli abitanti del Donbass, anche in queste condizioni di estrema difficoltà, non perdono il senso dello humour, l’umanità e la gioia di vivere.
La famiglia di Ilja e Rimma

Il’ja Petrov persca nella zona a ridosso del fronte
I pensionati Ilja e Rimma hanno vissuto tutta la guerra in via degli Stratonauti, [cosmonauti della stratosfera, ndt] completamente disabitata, non lontano dalla linea del fronte. Mentre tutti i loro vicini se n’erano andati, i coniugi continuavano a vivere a un chilometro dall’aeroporto (per molto tempo l’aeroporto rimase uno dei punti più caldi). Un volontario americano conosciuto come Texas ci propose di andare a trovarli.
“Questi pensionati abitano non lontano dal nuovo terminal dell’aeroporto. Per tutta la guerra non si sono mossi da lì” – ci dice l’americano. – “Ero molto stupito di sapere che Ilja va a pescare a Peskì, è una zona molto pericolosa, vicino alle posizioni degli ucraini”.
Mentre ci avviciniamo all’aeroporto, l’atmosfera diventa sempre più pesante. Sembra che solo pochi metri separino il mondo civile da questa terra abbandonata. Dietro il finestrino della macchina, il paesaggio cambia sotto i nostri occhi. Sembra una scacchiera, con “caselle” occupate da edifici intatti alternate ad altre con cumuli di macerie o case rase al suolo. Più andiamo avanti più orribile diventa il quadro.
“Siamo arrivati” – dice Texas vicino a una casa rimasta intatta.
Ilja ci viene incontro; dal suo sorriso si vede che è felice che siamo venuti, e non c’è da meravigliarsi: nessuno si azzarda a spingersi fin qui. Forse per questo siamo ospiti molto graditi.
La padrona di casa mette sul tavolo il borshch, le polpette con le patate, l’insalata di barbabietole e la panna acida fatta in casa. Per cucinare in queste condizioni bisogna fare molti sforzi, perché per quanto riguarda la luce, l’acqua e il gas è una vera catastrofe. Da due anni la famiglia Petrov sopravvive senza queste comodità.
“Tagliamo la legna, qui intorno ci sono molti alberi abbattuti, cuciniamo sulla stufa, che riscalda anche la casa, per l’acqua c’è il pozzo, abbiamo dei pannelli solari che ci permettono di guardare un po’ la televisione e sapere le notizie. Le candele cerchiamo di non sprecarle, le accendiamo solo quando ce n’è veramente bisogno” – ci dice della loro vita quotidiana Rimma Nikolajevna.
La famiglia Petrov ha ereditato la casa dalla nonna, di cui si sono presi cura fino alla sua morte.
“Prima di morire ci disse: vivete qua, ve lo siete meritato, non abbandonate questa casa”. – ricorda Ilja – ”Per questo siamo rimasti qui anche durante i bombardamenti. Per due volte sono stato a un passo dalla morte: i proiettili sono esplosi dove mi trovavo un attimo prima”.
Poi l’uomo si vanta del suo pescato. Tutti i giorni la mattina presto va a pescare, e a detta di sua moglie non torna mai a mani vuote. Va a pescare a Peskì, a 500 metri dalle postazioni ucraine.

Rimma Nikolaevna prepara una gustosa zuppa al ritorno del marito dalla pesca
Nonna Vera
Non lontano dal ponte Putilov, nei sotterranei dell’ospedale N18, abbiamo conosciuto la nonna Vera. E’ una pensionata che abita in questi locali umidi e malsani, diventati la sua seconda casa, dai primi giorni del conflitto militare. Le pareti sono umide, gli scalini sono alti anche per le persone più giovani e sane, per non parlare degli anziani. Per questo, la nonna non esce praticamente mai da questo sotterraneo.
Nella stanza di nonna Vera ci sono un tavolo, due letti con le reti a molle e dei cassetti usati come contenitori per vestiti. Una debole torcia illumina a malapena il vano, e la vita è rallegrata un po’ dalla televisione, che è diventata anche l’unica fonte di informazioni.
“Quando mi sono stabilita qui eravamo in ottanta, adulti e bambini” – ricorda i primi giorni di guerra Vera Ivanovna. “Avevano tanta paura delle esplosioni, quando tremavano i muri piangevano, c’era tanta paura. Adesso tutti se ne sono andati, siamo rimaste solo io e mia figlia. Non abbiamo dove andare e mezzi per partire non ce ne sono”.
L’anziana donna racconta che la sua salute è peggiorata dai primi giorni che è venuta qua.

Vera Ivanovna passa il tempo nel rifugio ricamando
“Ho 71 anni, soffro di asma. Prima riuscivo a camminare bene, lavoravo come netturbino, adesso riesco ad alzarmi dal letto con molte difficoltà per uscire fuori. Cammino con un bastone, le gambe si gonfiano, ma non ho soldi per le medicine”.
Dai primi giorni della sua permanenza qui, Vera Ivanovna viene aiutata dai miliziani, come li chiama tuttora. Lei ricambia.
“Quando vengono mi danno sempre qualcosa, pane, carne in scatola. Anch’io gli offro sempre qualcosa, ieri ho fatto dei pasticcini. Vengono a trovarci quasi tutti i giorni, in quest’anno siamo diventati quasi una famiglia, ci siamo affezionati. Mi chiamano semplicemente nonna Vera, io pure li chiamo con i patronimici: Ivanovich, Petrovich. Mi hanno aggiustato il televisore, adesso lo posso guardare per sapere le notizie.
“Il 20 luglio (era il 2015) ho compiuto 71 anni. Ho lessato le patate, sono venuti i miliziani, mi hanno fatto gli auguri. Il regalo più prezioso era la carne in scatola. Abbiamo messo dei tavoli in cortile e abbiamo festeggiato sotto il rumore delle esplosioni. Il ricordo di quel giorno mi rimarrà per tutta la vita, non ho mai avuto un compleanno simile, ma la vita è più facile quando c’è gente che ti è vicina. Grazie ai ragazzi per le loro premure e l’aiuto che mi danno.
Subito dopo la nostra visita abbiamo lanciato un appello sulle reti sociali per aiutare la nonna con le medicine. All’inizio nessuno offriva soldi, magari chiamavano i medici per spiegarci di quali le cure aveva bisogno Vera Ivanovna.
Poco tempo dopo, il primo agosto, ha chiamato Lilia Nikon. Questa donna ha coperto con il proprio corpo suo figlio di undici mesi durante un bombardamento, mentre si trovava su un filobus. In seguito le fu amputata una gamba. Lilia ha visto il nostro appello e ci ha consegnato 5 mila rubli. Questi soldi per le medicine e il cibo destinati a Vera Ivanovna li hanno raccolti i suoi amici. Abbiamo raccontato la storia di Lilia a Vera Ivanovna. Lei era molto commossa.
“Grazie a te, Lilia, grazie di tutto cuore. Ti auguro tutto il bene, che ti abbiano messo una protesi e che la tua salute si sia ristabilita. Sii felice, e che il tuo bambino sia sano” ha augurato con le lacrime agli occhi la nonna.
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Brano tratto da Aa. Vv. Iunost’ Moia V Ogne (La Mia Gioventù nel Fuoco)
Traduzione in Italiano di Elena per SakerItalia.it
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