Caucasus

Due anni fa gli Stati Uniti hanno perso con la Russia in Siria. Non sono riusciti ad umiliarla, anzi la sua posizione nella regione è diventata ancora più forte a spese degli Stati Uniti. Ma i “cacciatori di gloria” del Dipartimento di Stato e della CIA, sebbene disillusi, non hanno fatto una piega. Hanno lasciato la Siria in preda ad una guerra divampante, alimentata dal terrorismo internazionale dell’ISIS, spostando poi tutto il carrozzone in Ucraina dove speravano di assestare la batosta decisiva sulle rive del Dnepr.

Ma di nuovo hanno fatto cilecca. Nonostante la complessità e la tragicità di tutto quello che sta accadendo, Mosca è riuscita a rigirare la situazione a proprio favore. Gli Stati Uniti, impantanati in Ucraina, stanno ora incominciando a pensare a come liberarsi in modo pulito del regime parassitario di Kiev, la cui avidità e incompetenza minaccia di trasformare l’Ucraina nel nuovo Vietnam americano (almeno per quel che riguarda le risorse inutilmente sprecate e la perdita di prestigio internazionale). Allo stesso tempo i combattenti “per la democrazia e il petrolio”, non perdono tempo e stanno cercando un altro terreno di scontro da cui la Russia possa essere estromessa, mentre le guerre civili in Ucraina e Siria distruggono le prove della complicità statunitense ai crimini del regime. E’ giunto così il momento che nel Caucaso il fuoco cominci a covare sotto le ceneri. All’inizio questa regione era stata la rampa di lancio delle “rivoluzioni colorate” nell’area post-sovietica. Il colpo di stato in Georgia aveva avuto successo, ma i tentativi in Armenia e Azerbaijan erano falliti.

Il Caucaso è una zona complessa, con un sacco di rancori reciproci di vecchia data, rivendicazioni territoriali e drammi personali. Ce n’è abbastanza per portare una nazione al disordine e mandare al potere elementi radicali in modo che tutta la regione venga travolta da un’ondata di instabilità, che potrebbe arrivare ad infrangersi contro gli staterelli filo-russi del Caucaso settentrionale.

Il primo colpo è stato sferrato contro l’anello debole (in senso economico), l’Armenia, che è membro dell’Unione Euroasiatica e del Trattato per la Sicurezza Collettiva, il che significa che i principali progetti di integrazione con la Russia sono a rischio. Siamo sicuri che la Russia sarà l’unica nazione minacciata da un attacco al governo di Yerevan? Il rovesciamento del governo porterebbe i radicali al potere a Yerevan, metterebbe in dubbio la stessa esistenza della base russa a Gyumri e peggiorerebbe la situazione sociopolitica armena, minacciando gli scambi commerciali e i legami economici con il suo partner principale, la Russia.

In Ucraina, il problema del rapido ridimensionamento delle condizioni di vita è stato risolto distogliendo l’attenzione con una guerra civile. Sarebbe più difficile iniziare una guerra civile in Armenia, le tradizioni sono differenti, le dimensioni diverse, la popolazione è multi-etnica, ma l’Armenia ha un conflitto in sospeso nel Karabakh, e una guerra contro un nemico esterno è sempre più efficace di una guerra civile per mettere la gente sotto la stessa bandiera.

Ci sono provocazioni giornaliere lungo la linea di contatto ed entrambe le parti si accusano reciprocamente, ma è la presenza di truppe russe che impedisce a quelli che sono sporadici scambi di colpi di degenerare in guerra vera e propria. Un eventuale colpo di stato a Yerevan cambierebbe profondamente la situazione. La Russia oggi non solo mantiene buone relazioni con entrambe le parti in causa nel conflitto del Karabakh: la cooperazione con l’Azerbaijan si sta velocemente intensificando e l’Armenia è da lungo tempo un alleato militare della Russia. Un colpo di stato pro-Europa e anti-Russia cambierebbe drammaticamente l’equilibrio militare e politico. Gli elementi più radicali in Azerbaijan, che da molto tempo chiedono che Baku ripristini la propria sovranità sull’intero territorio, avrebbero nuovi argomenti a loro favore. Chiederebbero l’aiuto della Russia nell’eventualità di un conflitto militare, i radicali armeni a loro volta chiederebbero il sostegno del “mondo civile” (a loro dovuto dopo la “scelta europea”) per il consolidamento dei territori occupati. E avrebbero un altro argomento a loro favore: l’Armenia ha già abbastanza territorio, è l’Azerbaijan che deve attaccare, sarebbe così facile accusarlo di aggressione e rottura del cessate il fuoco.

Naturalmente, nè gli Stati Uniti, nè l’Unione Europea aiuterebbero nessuno se il conflitto nel Caucaso si dovesse riaccendere. Due nazioni con governi favorevoli a Mosca vengono destabilizzate, se questi due Stati si facessero guerra, Mosca dovrebbe schierarsi dalla parte dell’uno o dell’altro oppure riconoscere la propria incapacità nel perseguire una politica estera efficace nel Caucaso. Qualunque sia la scelta, questa richiederebbe l’impiego di ulteriori risorse da parte della Russia. Considerando che la situazione in Ucraina è lungi dall’essere risolta e l’ISIS è arrivata con la sua influenza a soli 500 km dai confini azeri, la situazione potrebbe trasformarsi rapidamente in una caotica crisi militare.

Perciò, se la Russia fosse estromessa dal Caucaso e perdesse la sua abilità di garante per una pace di compromesso nella regione, tutta l’area compresa fra i confini di Turchia, Iran e Russia diventerebbe un unico, enorme falò. E questo sarebbe molto brutto per Russia, Turchia e Iran.

Sebbene Mosca abbia mostrato per decenni una notevole resistenza all’uso della forza nei conflitti civili ed ibridi, questo non si può dire, per esempio, della Turchia che ha più di una volta utilizzato artiglieria, aviazione e anche incursioni militari all’interno della Siria per assicurarsi una fascia di sicurezza lungo il confine. Non c’è riuscita, e solo la ferma posizione della Russia ha impedito alla Turchia di impegnarsi pesantemente nella guerra.

Quando si pensa al tradizionale disaccordo e alla competizione esistente fra Turchia ed Iran, ed alla facilità con cui entrambe le nazioni ricorrono alla forza, allora la situazione nel Caucaso potrebbe rapidamente ritornare quella di quando sia Turchia che Iran erano presenti nella zona, ma la Russia no. Fino a che i Padiscià di Istanbul e i Pascià di Tabriz e Shiraz si sono combattuti per il controllo di posizioni strategiche nel Caucaso, le popolazioni dei kanati mussulmani e dei principati cristiani avevano equamente sofferto per stragi e saccheggi, in accordo alle particolari tradizioni degli eserciti in campo. Alla fine, la Russia non ha bisogno del territorio delle nazioni caucasiche, quello che le serve sono governi amichevoli e popolazioni felici.

Il Caucaso per la Russia è una zona tampone che la protegge dell’instabilità del Medio Oriente ed è interesse di Mosca che questo cuscinetto abbia un’economia fiorente e non diventi invece una zona di conflitto perenne.

D’altro canto, per Turchia ed Iran, questo è il laghetto dietro casa da cui possono nascere i pericoli. Nei tempi antichi bisognava impedire al nemico di mettere radici nella regione, per cui gli eserciti turchi ed iraniani sterminavano allegramente le popolazioni locali: nessuna popolazione, nessun rifornimento per le truppe nemiche. Gli eserciti dell’epoca si sostentavano a spese degli abitanti del posto, se non ce n’erano, nessuno poteva sfamare gli invasori, ogni armata che fosse apparsa nella regione avrebbe dovuto fare velocemente marcia indietro.

Attualmente la minaccia alla sicurezza in quel laghetto è rappresentata dall’ISIS. Se il Caucaso dovesse essere destabilizzato, centinaia di militanti che attualmente combattono in Siria ed Iraq arriverebbero immediatamente sul posto ed avrebbero l’appoggio degli elementi locali. Visto come i Turchi affrontano il problema curdo e come gli Iraniani hanno approcciato la questione dell’Azerbaijan del sud, potremmo facilmente pensare che nè Teheran, nè Ankara darebbero prova di eccessiva umanità. Tratterebbero le popolazioni locali, senza considerare etnie o religioni, come potenziale base d’appoggio dell’ISIS.

E’ ovvio che anche nel peggiore dei casi la Russia dovrebbe prima o poi ritornare nel Caucaso (meglio prima che dopo). Migliaia di civili non farebbero comunque l’esperienza di questo ritorno della Russia semplicemente perché sarebbero già morti. Per cui è meglio che la Russia non lasci il Caucaso, anche se solo temporaneamente e per poco tempo.

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Articolo di Rostislav Ishchenko, pubblicato su Fort Russ il 25/06/2015
Tradotto da Mario per SakerItalia.it

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