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Vladimir Lepechin

Il direttore generale dell’Istituto “Comunità economica dell’Eurasia” (EvrAzEs) Vladimir Lepechin ha analizzato i rapporti tra Russia ed Europa. L’esperto è giunto alla conclusione che la tensione nasca da una sostanziale differenza di valori. Durante l’ordinaria seduta del “Club Zinov’ev” tenutasi il 27 aprile 2015 presso l’agenzia  di informazioni internazionale “Russia oggi”, Lepechin ha constatato che il problema è l’incompatibilità tra il modo di vivere dei russi e degli europei. Non solo: ogni anno essi sono sempre più incompatibili.  “La principale differenza tra Russia ed Europa non è di tipo territoriale, né a livello di sviluppo economico (com’è noto, noi voliamo nel cosmo, mentre alcuni paesi europei sono arretrati a livello macroeconomico rispetto alla Russia), ma per i valori sostanzialmente distanti”, – ha dichiarato Lepechin.

V.Lepechin, Le differenze tra Russi ed Europei

Prima di condurre un’analisi comparativa tra le civiltà russa ed europea, occorre chiedersi se esista una civiltà russa. È tanto più importante considerato che, da quattro secoli, gli studenti Russi apprendono la storia nazionale su manuali (nell’ edizione di L.I. Semenikova) in base ai quali una civiltà russa in senso proprio non esisterebbe. Che questo “ponte” tra le civiltà orientali e occidentali altro non sarebbe che uno spazio di passaggio. Nel giudizio delle civiltà in essere, tale posizione sottende una adesione al pensiero teosofico di Helena Blavatsky, che suddivideva il mondo in tre civiltà: “progressista” (dallo sviluppo ininterrotto), “orientale” (dallo sviluppo ciclico) ed “extrastorica” (non destinata allo sviluppo).

Oggi tale concezione marcatamente razzista e antirussa è avvalorata dalla cosiddetta teoria del sistema-mondo di Immanuel Wallerstein, in base alla quale il mondo è suddiviso in nucleo (l’occidente), periferia e semiperiferia.

 È evidente che tale modello fa comodo all’ occidente che continua a rafforzare (ebbene con una nuova terminologia) – il concetto di sistema-mondo di tipo coloniale. Le élite russe (inclusi i funzionari del Ministero dell’Istruzione, che raccomandano agli studenti i sovracitati manuali) di fatto hanno accolto le idee di Helena Blavatsky e Wallerstein. Al contempo alcuni considerano la Russia parte integrante della civiltà europea (i liberali filo-occidentali), altri parte di un’unione di stati non occidentali (i tradizionalisti), altri ancora, ad esempio il filosofo Sergej Pereslegin, esattamente quel famigerato ponte.

Si ricorderà che anche Viktor Janukovich al tempo del suo mandato presidenziale si presentava come un “ponte” tra l’Unione europea e la Russia, e il risultato è sotto gli occhi di tutti. Purtroppo molti politici post-sovietici non leggono la filosofia, e neppure la letteratura antiutopica come La giornata di un opričnik di Vladimir Sorokin, dove l’immagine della Russia-ponte è addirittura esasperata. Per altro già Samuel Huntington aveva evidenziato che gli stati che mirano a un mondo multipolare, e dunque cercano di concorrere con le superpotenze, sono costretti a promuovere sé stessi come civiltà. E dunque la Russia, non più superpotenza, nel momento stesso in cui pone tra i propri obiettivi la sovranità nazionale e la resistenza ai concorrenti geopolitici, è semplicemente costretta a far riferimento a un modello di sviluppo basato sulla rappresentazione di una civiltà. Non sul modello imperiale, che nella situazione attuale rappresenterebbe un suicidio vero e proprio, ma esattamente su un modello di civiltà che le permetta di portare avanti un’efficace politica d’integrazione, nonché di garantire la sicurezza collettiva all’ interno dello spazio europeo.

Le illusioni storiche delle élite russe

Il fatto che Russia e Europa siano state un tempo parti, di quasi pari importanza, del mondo cristiano, ha generato l’illusione in alcune élite russe che il nostro paese appartenga alla civiltà cristiana europea.

 In effetti gli abitanti della Rus’-Russia e dell’Europa occidentale hanno una comune identità antropologica, analogie linguistiche, di tradizioni, di stili artistici, ma soprattutto hanno sempre venerato lo stesso dio e osservato lo stesso Vangelo. In parole povere, nell’ultimo millennio il Discorso della montagna ha tenuto unite le due parti.

Con una differenza: i Russi si consideravano pari agli Europei, ipotizzando giustamente che gli slavi, come i popoli romano-germanici, fossero i pionieri della cultura europea, mentre le élite occidentali non hanno mai creduto all’ illusione di “un’unica civiltà cristiana”. La Russia era da loro considerata se non un paese barbaro e asiatico (almeno a livello geografico quella sua parte situata in Europa), quanto meno una periferia arretrata dell’occidente civilizzato.

Alla base delle illusioni storiche dei Russi, della Chiesa russa ortodossa e delle élite, c’è una valutazione erronea del cristianesimo occidentale rispetto a quello orientale.

 Per un fraintendimento, più o meno consapevole, dei vertici della Chiesa russa ortodossa, periodicamente si è risvegliata l’idea di un’unità delle principali chiese cristiane, con i conseguenti tentativi di avvicinare la chiesa russa a quella ortodossa greca, a quella greco-cattolica, e in sostanza a quella cattolica. È sufficiente ricordare la riforma del patriarca Nikon, che spaccò in due la Chiesa russa, oppure gli intrighi degli imperatori russi con gli uniati ucraini, o i più recenti tentativi ecumenici del patriarca russo di avvicinarsi al Vaticano.

Da parte sua, il Vaticano ha avuto un atteggiamento diverso. La sua disponibilità ad avvicinarsi alla chiesa ortodossa ha sempre sottinteso la modifica degli statuti di quest’ultima e l’assimilazione al cattolicesimo. Perché mai? Perché la Chiesa cattolica occidentale, per come la vedo io, nella storia è stata la prima eresia mondiale rispetto al cristianesimo originario. E, a differenza degli autentici discepoli di Cristo, che, come ben ricordiamo, “aveva cacciato i mercanti dal Tempio”, la Chiesa romano-cattolica era nata grazie al sostegno dei mercanti del Mar Mediterraneo occidentale (lo stesso vale per la riforma della Chiesa romano-cattolica nel XVI secolo, quando Martin Lutero, iniziatore della riforma protestante, era stato attivamente sostenuto dalle comunità cittadine).

Non solo la Chiesa romano-cattolica ammetteva i mercanti in chiesa un tempo: i mercanti controllano il Vaticano ancora oggi. Mentre la Chiesa russa ortodossa negli anni del potere sovietico fu quasi del tutto affossata. Il destino così diverso della “sovrastruttura” spirituale e morale è alla base dei diversi sistemi di valori che hanno preso piede nell’Europa e nella Russia nel XXI secolo e, di conseguenza, dei diversi atteggiamenti.

Le principali differenze tra russi ed europei

La principale differenza tra la Russia e l’Europa non è territoriale e neppure a livello di sviluppo economico (tutti sanno che voliamo nel cosmo, mentre alcune nazioni europee sono indietro rispetto alla Russia a livello macroeconomico), ma nella differenza di valori. Ne consegue che il cosiddetto spirito russo non deriva dalla peculiarità antropologica dell’uomo russo, bensì da una serie di fattori oggettivi.

Ricordiamo anzitutto che la Russia nasce come civiltà agricola, e dunque produttiva, ferace, che gradualmente ha sviluppato prima l’artigianato, poi l’industria. Mentre l’Europa  il balzo in avanti lo ha fatto con lo sviluppo delle città mercantili affacciate sul Mediterraneo, e con la nascita del capitale commerciale, che ha determinato un rapido sviluppo del capitale economico, poi trasformato in capitale industriale.

L’Impero Russo per sei secoli si è dedicato alle terre, popolate prevalentemente da agricoltori-aratori; l’Europa per quattro secoli all’ annessione violenta delle colonie. La differenza territoriale e le diverse economie primigenie hanno predeterminato il diverso modello comportamentale del popolo russo e di quello europeo. Il filosofo russo Nikolaj Danilevskij, esasperando il fattore culturale nello sviluppo di una civiltà (comprese le peculiarità del cristianesimo ortodosso e orientale), ha definito i due modelli utilizzando il concetto di “non aggressività degli slavi” e “aggressività dei popoli romano-germanici”.

Dal canto loro, il tedesco Karl Haushofer e l’inglese Halford John Mackinder hanno esasperato – a vantaggio della propria nazione – il fattore geografico senza operare una contrapposizione tra popoli slavi e romano-germanici, ma tra “atlantisti” (gli anglosassoni) e “continentalisti” (con a capo, s’intende, i germani). Ma queste e altre concezioni storiche esageratamente paradigmatiche sono state da tempo smascherate, ad esempio da Fernand Braudel che ha descritto meglio di tutti il processo di nascita delle civiltà locali, nonché da un fitto numero di pensatori russi, a partire da Konstantin Leont’ev e Nikolaj Trubeckij, fino a Lev Gumilev, Aleksandr Zinov’ev, Aleksandr Panarin, Valentina Katasonova…

La principale differenza tra la Russia e l’Europa, sottolineiamo, è a livello di valori, e nasce da un insieme di elementi geografici, economici e, di conseguenza, socioculturali. Se i nomadi seguivano la natura e gli animali e difendevano il proprio diritto di spostarsi, i mercanti difendevano le proprie merci, i finanzieri i  capitali, gli industriali i propri guadagni, la vita contadina ha come presupposto la difesa della propria terra.

Il modello economico e sociale di tipo rurale (ancora al tempo di Caterina II il 94% dei russi erano contadini), ha predeterminato non solo il comportamento del popolo russo in senso ampio e la sua non aggressività, ma anche una serie di caratteristiche: il particolare atteggiamento verso la giustizia (la giustizia è al di sopra della legge), verso lo stato (lo stato non è padrone ma sommo giudice), verso la società, la famiglia, l’individuo etc. L’abisso tra russi ed europei è sempre più profondo.

Oggi sia i russi che gli europei hanno del tutto dimenticato il Sermone della montagna. Tuttavia se gli europei lo hanno fatto di buon grado e in modo consapevole, i russi ne sono stati in ottima parte costretti. E se i primi s’allontanano sempre più dai dogmi cristiani per andare verso il consumo smodato, i secondi – per lo meno oggi, e a livello ufficiale – si sforzano di tenere la società ancorata all’alta morale delle origini. E questi due stili di vita sono sempre più incompatibili.

Ecco perché i confini tra la Russia e l’occidente saranno sempre più carichi di conflitti bellici e, s’intende, non per colpa della Russia. È infatti l’occidente che, dai tempi delle crociate, fa di tutto per subordinare i paesi confinanti.

La prima e la seconda guerra mondiale, come anche la guerra ibrida in corso, sono tutte iniziative occidentali. Una civiltà del genere non ha origine nelle chiese e nei monasteri, bensì nelle piazze mercantili, nei mercati.

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  Articolo apparso su Baltija.eu il 3 maggio 2015.
Traduzione in italiano a cura di Chiara per SakerItalia.it

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