Erich Mende, Tenente dell’8a Divisione di Fanteria slesiana:

“Un giorno, ebbi una conversazione davvero profetica… All’epoca, era ancora il 1941, il mio comandante (che combatté contro i russi a Narva nel 1917), si fermò sulla strada verso il luogo di dispiegamento e disse: “Qui, su queste vaste distese, troveremo la nostra morte. Proprio come Napoleone”, e non nascose il suo pessimismo… “Mende, ricorda questo momento, segnerà la fine della vecchia Germania…””

Artigliere Johann Danzer, Brest, giugno 1941:

“Quando iniziammo la prima battaglia con i russi, ovviamente loro non ci aspettavano, ma non era affatto possibile definirli impreparati. Il comportamento dei russi nella primissima battaglia fu sorprendentemente diverso dal comportamento dei polacchi e degli altri Alleati che sconfiggemmo sul fronte occidentale. Anche se si ritrovarono accerchiati, i russi si difesero comunque con convinzione. Già il settimo giorno, appena andammo all’attacco, uno dei nostri si sparò con la sua arma. Tenendo stretto il suo fucile con le ginocchia, si infilò la canna in bocca e premette il grilletto. Ecco come finì per lui questa orribile guerra che era appena iniziata…”

Schneiderbauer, tenente di una divisione di fanteria, sulle battaglie per la Fortezza di Brest:

“La battaglia per la cattura della fortezza è inimmaginabile. Numerose perdite… Quando siamo riusciti a battere i russi o a snidarli col fumo, sono apparse nuove forze. Spuntavano fuori dalle cantine, dalle case, dalle fogne e da altri rifugi temporanei, facevano tiri di precisione e le nostre perdite stavano aumentando. La nostra 45a Divisione di Fanteria consisteva di 17.000 soldati contro una guarnigione di 8.000 uomini colti di sorpresa; solo durante il primo giorno di combattimenti perdemmo lo stesso numero di soldati e ufficiali che perdemmo durante tutte le 6 settimane della campagna di Francia, e non era un incubo! L’avanzata verso la fortezza divenne per noi una battaglia continua che non si placò fin dal primo minuto. Tutto intorno a noi era già completamente distrutto, non era rimasta una pietra degli edifici, e i russi ancora non si arrendevano…

I genieri della squadra d’assalto scalarono il tetto dell’edificio esattamente di fronte a noi. Avevano cariche esplosive in cima a lunghe aste, le gettarono nelle finestre superiori e distrussero i nidi di mitragliatrice del nemico. Ma quasi senza nessun esito – i russi continuarono la loro resistenza disperata. La maggior parte di essi si trincerò nella cantina fortificata, e il nostro fuoco d’artiglieria non li danneggiava. Guardi, c’è un’esplosione e un’altra ancora, tutto è silenzioso per un momento, poi riappaiono e aprono di nuovo il fuoco…”

Maggior Generale delle truppe corazzate e capo di stato maggiore della 4a Armata Corazzata Friedrich von Mellenthin:

È impossibile dire con certezza se gli abitanti acculturati dell’Occidente capiranno mai il carattere e l’anima dei russi. Anche se la conoscenza del carattere e dell’anima dei russi possono di fatto servire come chiave per capire le loro capacità combattive, i punti forti e i metodi di combattimento. La fermezza e la compostezza del combattente sono sempre stati una priorità in guerra, e spesso il loro valore è sempre stato più importante del numero e dell’armamento delle truppe… Inoltre, non è mai possibile dire in anticipo cosa faranno i russi: anche la loro natura è molto inusuale e complessa, come questo enorme e incomprensibile paese… A volte i battaglioni di fanteria russi venivano messi in subbuglio dai primi spari e, il giorno seguente, quelle stesse unità combattevano resistendo fermamente… I russi, in generale, sono assolutamente degli eccellenti soldati, e i leader abili sono forse i nostri nemici più pericolosi…”

Hans Becker, ufficiale di un’unità corazzata del Gruppo d’Armate Centro (in un intervista col corrispondente militare Curzio Malaparte):

“Solo qui, sul fronte orientale, ho incontrato gente del genere per la prima volta. Sono convinto che i russi si possano definire con tutta tranquillità una razza speciale. Durante l’attacco incontrammo un carro leggero T-26 e lo mettemmo immediatamente fuori uso con i cannoni da 37 mm. Quando cominciammo ad avvicinarci al portellone della torretta un russo spuntò fuori e aprì il fuoco contro di noi con una pistola. Divenne presto chiaro che non aveva le gambe, gli erano state tranciate quando il carro armato era stato colpito. E nonostante ciò ci sparò con una pistola! È proprio per questo motivo che non facevamo quasi mai prigionieri, perché i russi combattevano sempre fino all’ultimo e non cedevano mai. La loro tempra non può essere paragonata con la nostra…”

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Articolo di Ruslan Kubev pubblicato su cont.ws il 5 gennaio 2018.

Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia

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