– Marco Bordoni –
Molti commentatori hanno riconosciuto nel discorso tenuto da Putin il 24 ottobre scorso a Valdaj (disponibile in italiano qui) una piattaforma di grande valore politico e di portata storica. Ed in effetti il Presidente Russo ha proposto una contro narrazione compiuta e matura, forse la prima, da molti anni, in grado di contendere al “pensiero unico” i “cuori e le menti” di uomini e donne di tutto il mondo. Tuttavia, a fianco a tante verità (o meglio, a fianco a tante prese di posizione coerentemente esposte) Putin è stato costretto a dire una bugia. Alla domanda di un giornalista che gli chiedeva se si considerasse indispensabile, il Presidente ha risposto: “La Russia ovviamente, da parte sua, può andare avanti benissimo anche senza di me. Non è che le manchino gli uomini. Ma visto che sono arrivato dove sono oggi, e visto che occupo questo incarico, considero mio dovere fare tutto quello che posso per la prosperità della Russia e per proteggere i suoi interessi.” Purtroppo non è così. In questo momento, per la Russia, Putin è indispensabile.
Si pensi alla questione delle nazionalità, riportata alla ribalta dalla sparatoria della notte scorsa a Grozny. Che la Russia sia un organismo immenso ed eterogeneo sotto il profilo linguistico, religioso e culturale è cosa nota persino agli inviati di Repubblica. In effetti, per tutta la durata della sua storia, il Paese – Continente si è trovato a gestire minoranze interne in quote variabili da un quinto a metà della sua popolazione complessiva. E’ vero: anche gli Stati Uniti, il maggiore competitore globale, devono fare i conti con minoranze numerose e talvolta turbolente. Ma il caso della Russia è più complesso: le sue etnie minoritarie non sono masse sradicate dalle patrie originarie e distribuite in maniera più o meno omogenea sul territorio nazionale, ma bensì popolazioni concentrate in date regioni, territori spesso occupati dai loro avi da molto tempo prima che l’espansione russa giungesse a lambirli ed assorbirli.
Quello delle nazionalità è quindi un problema reale, che i governanti Russi gestiscono da quasi 500 anni, ovvero dal tempo in cui la Moscovia prese ad espandersi in direzione del bacino del Volga e del Mar Nero a spese dei grandi Khanati tartari e musulmani. Mezzo millennio di esperienza ha permesso al Cremlino di affinare strategie differenziate. La prima e la più ovvia (ed anche l’unica di cui in occidente giunga voce) è la russificazione. Essendo i Russi sempre stati di gran lunga la maggiore comunità del paese, imporre almeno un principio di assimilazione è una misura in un certo senso inevitabile. Senza una componente maggioritaria a fare da collante, senza una lingua franca universalmente parlata e senza un sostrato culturale comune, lo spazio geopolitico oggi occupato dalla Federazione Russa si sarebbe disintegrato da tempo, seguendo il destino dell’Impero Ottomano e di quello Asburgico. Le politiche di russificazione si sono avvalse, nei secoli, di strumenti diversificati, talvolta brutali, talvolta raffinati. Trasferimento di comunità russe nelle regioni periferiche e deportazioni delle comunità periferiche, misure economiche contro le élite nazionaliste, provvedimenti sulla libertà religiosa, quella di stampa e l’organizzazione scolastica: sono solo alcune delle varie forme in cui le pressioni assimilatrici si sono manifestate. Questi impulsi si sono fatti più frequenti nei periodi di grave difficoltà dello stato: nell’ottocento, dopo la sconfitta in Crimea e nel novecento dopo la guerra con il Giappone e durante la stagnazione degli anni ottanta. Nel periodo sovietico fu il Partito Comunista a favorire la russificazione, come contraltare al decentramento statale. Quindi sì, le politiche di russificazione hanno avuto un ruolo nella storia russa. Ma non si è trattato di un ruolo esclusivo.
L’altra leva generosamente utilizzata a più riprese dal Cremlino è stata la cooptazione, ovvero l’organizzazione delle minoranze in strutture politiche territoriali stabili e l’inserimento delle élite nel sistema di potere di Mosca. Il rispetto delle minoranze interne e addirittura la loro promozione politica e culturale è una consuetudine amministrativa talmente utilizzata da divenire una prassi, prassi a cui va riconosciuto il merito di avere preservato l’integrità dello stato. Una notevole tolleranza verso le comunità non russe contraddistinse la politica del governo centrale nel settecento. Nella prima metà dell’ottocento, nonostante il dilagare del nazionalismo in tutta Europa, il potere centrale compì sforzi per inquadrare le nazionalità più mature ed irrequiete, come polacchi, i baltici e i finlandesi, in organismi istituzionali capaci di farsi in qualche misura portatori dei loro interessi. In questi periodi i movimenti irredentistici locali vennero contrastati non tanto in ragione di un nazionalismo Grande Russo, ma come semplici fatturi di destabilizzazione del potere imperiale costituito. Questa politica, trascurata negli ultimi anni dell’Impero, tornò alla ribalta con la rivoluzione d’ottobre, sotto gli auspici di due padri insospettabili: Lenin e un giovane Stalin nella sua funzione di Commissario del Popolo alle Nazionalità. Pur ritenendo il nazionalismo un portato della economia borghese (destinato, quindi, a scomparire sul lungo periodo), i due statisti organizzarono l’Unione Sovietica su base realmente federale e decentrata. Molte comunità, specie in Asia Centrale, ricevettero un grado di autonomia mai sperimentato e forse addirittura inatteso, e non è esagerato affermare che le costituzioni sovietiche del 1918 e del 1924 in molti casi incoraggiarono la formazione di un sentimento nazionale ancora embrionale.
E’ in questo periodo che vide la luce il “patto nazionale” su cui ancora oggi si fonda la Russia. I dirigenti delle comunità locali vennero cooptati nel potere centrale come rappresentanti delle diverse nazionalità e a loro fu affidata la redistribuzione delle risorse e degli investimenti provenienti di Mosca. Contemporaneamente il governo si incaricò di contrastare il nazionalismo Grande Russo, ribadendo in ogni occasione l’uguaglianza di tutti i cittadini sovietici. Nella sostanza, il sistema funzionava come al tempo degli zar, quando le autorità imperiali cooptavano i comandanti cosacchi nei loro reggimenti conferendogli una dignità nella gerarchia russa, solo il sistema era perfezionato e modernizzato. Fondamento di tutto era il collante ideologico sovranazionale e la capacità del centro di sostenere le élite periferiche in modo da garantirsene la lealtà.
E’ una struttura potenzialmente destabilizzante nei momenti di crisi: quando l’ideologia unificante viene meno, e quando sopraggiunge una crisi economica che priva il governo centrale delle sue capacità redistributive, le dirigenze periferiche sono facilmente tentate dall’idea di tagliare i legami con Mosca. Ma in condizioni normali questa prassi amministrativa garantisce buoni risultati.
La Russia di oggi si fonda esattamente sugli stessi presupposti. Nel 1992 i soggetti che facevano parte della Repubblica Socialista Sovietica Russa sottoscrissero un “patto federale”, che nella sostanza riproduceva il contenuto della Costituzione Russa del 1978 (al tempo, naturalmente, la Russia era a sua volta soggetto federato dell’Unione Sovietica). Ecco perché Putin è indispensabile per la Russia di oggi: la soluzione del problema delle nazionalità e l’aggregazione attorno alla Russia di una comunità di nazioni che occupano lo spazio ex sovietico richiede capacità redistributiva e una ideologia unificante e nessuno dei due elementi può prescindere, oggi, dalla persona di Putin.
Sotto il primo profilo molto lavoro è stato fatto, ma molto ne resta da compiere: sarà cruciale la capacità della Federazione di Russa di rispondere alle sanzioni con una politica di sviluppo industriale e di rilancio della produzione manifatturiera che possa affrancarla almeno in parte dalle fluttuazioni del mercato delle materie prime. Nell’attesa, l’afflusso di valuta pregiata derivante dalla vendita di idrocarburi viene generosamente ridistribuito alle varie entità autonome le cui élite esprimono materialmente la propria lealtà garantendo a Putin ed al suo partito, ad ogni tornata elettorale, percentuali di consenso stellari (ben superiori a quelle ottenute nel resto del paese). La Russia di oggi è un paese in cui le minoranze etniche votano per il partito al potere più della maggioranza. Resta il problema ideologico. Putin ha ormai da tempo maturato la consapevolezza della necessità di un nuovo orizzonte ideale che possa superare le divisioni esistenti fra i diversi popoli euroasiatici. La parte più facile di questa costruzione è stata identificare i nemici: il blocco occidentale all’esterno e, l’estremismo religioso e la xenofobia Grande Russa all’interno, minaccia, quest’ultima, che il Presidente ha a più riprese descritto come mortale. Il compito di riempire di contenuti positivi l’identità russa del terzo millennio appare più laborioso, anche se questa identità sembra avere trovato una prima, provvisoria, formulazione nel concetto ancora non ben definito di “neoconservatorismo”, attorno al quale si affollano i teorici più variopinti: chierici ortodossi, postcomunisti, nazionalisti, sostenitori dell’eurasianesimo. La Novorussia è un calderone in cui tutti questi elementi ribollono: un magma in cui si potrebbero forgiare i presupposti teorici della nuova potenza russa, ma anche una miscela che potrebbe esplodere compromettendo la stabilità di tutto l’edificio.
In attesa che questo lavoro economico e intellettuale giunga a maturazione, la questione delle nazionalità, come molte altre, trova oggi la propria sintesi nella persona di Putin. Putin che redistribuisce. Putin che incarna un ideale unificatore. Putin che è ancora indispensabile. Ma che lavora alacremente per non esserlo più in un futuro ragionevolmente prossimo.
Grazie per la versione italiana, e’ un piacere leggere
Articolo decisamente interessante, pur non essendo “Putiniano” mi sento di condividere l’assunto sulla sua indispensabilità, almeno per ora.
Il problema infatti verrà dopo e a mio parere da li bisognerà ripartire anticipando gli eventi se cosi si può dire.
L’attuale crisi con l’occidente è un dramma ma come molti hanno capito è anche un’enorme opportunità, in tutti questi anni l’elite russa ha tergiversato troppo ed è stata fin troppo fluttuante, divisa tra occidente ed oriente, tra un capitalismo in embione (spesso criminogeno) ed un sano ritorno ad un certo grado di “soviettismo” ma senza mai prendere una direzione chiara e univoca, questo se da un lato ha permesso un certo eclettismo dall’altro ha reso il paese estremamente vulnerabile alle pressioni esterne, sopratutto ideologiche.
Non credo che l’ideologia da sola basti ma nemmeno l’economia, sarà necessario trovare un nuovo modello di sviluppo che recuperi almeno in parte il portato della gloriosa storia sovietica, un certo grado di industrialismo, enormi investimenti in tecnologia, miglioramente delle condizioni di lavoro ecc.
Non tanto il comunismo in se (che da comunista approverei in toto) ma un nuovo collante economico che pur tenendo conto dei tempi e le diversità riesca ad offrire un modello di società stabile ed armoniosa che possa far da traino e collante per le generazioni future.
Questo si manca, tuttavia sono convinto che la Russia sia in grado di affrontare queste sfide e sono ancora più convinto che sarà in grado di vincerle, ne hanno bisogno loro ma ne abbiamo bisogno anche noi.
Samo, a nessuno viene chiesto di essere “Putiniano”: basta essere consci dello sviluppo delle dinamiche politiche ed economiche: fatto questo (e mi pare che tu lo abbia fatto egregiamente), capire dove stanno i nostri interessi nazionali e, se posso elevare il discorso, anche la giustizia, viene di conseguenza. Il percorso è tracciato: per come la vedo io si tratta di una costruzione collettiva in cui ciascuno può portare la sua identità e le sue esperienze senza rinunciare a nulla, senza irregimentarsi e senza firmare cambiali in bianco. MB
Nella foto non è tartaro russo, è un turkmeno – si può capire dall’abbigliamento e dal camelus dromedarius che vivono nel deserto del Karakum.
Ringrazio il lettore per la precisazione corretta. Ne approfitto per segnalare la meravigliosa rassegna fotografica da cui proviene la foto http://it.euronews.com/2014/10/23/la-russia-a-colori-com-era-cento-anni-fa/ MB
@Marco Bordoni
Si, relativamente al “Putinismo” ci tenevo a specificare perchè molto spesso si assiste ad una sorta di culto sulla sua figura, tra chi lo ama alla follia e chi invece continua a dipingerlo in toni foschi.
La sua denigrazione non stupisce se vista da destra (liberale) ma è davvero deprimente quando connotata a sinistra, segno che questo parte politica spesso non è memmeno più in grado di analizzare la società .. questo è davvero triste per me
Penso che in realtà Putin sia una figura assolutamente non inquadrabile, impossibile capire la persona con le classiche chiavi intepretative occidentali o con la la classica (ed ormai semi-obsoleta qui da noi) dicotomia destra-sinistra, per capire Putin bisogna capire la Russia e per capire la Russia bisogna prima studiarne la sua storia, direi che questo blog arriva proprio al momento giusto !
Il governo Russo ha dimostrato di saper condurre il paese nella direzione giusta (i risultati sono innegabili) ma come appunto dicevamo probabilmente ha sbagliato nel dimostrarsi troppo conciliante, di dipendere troppo dalle sua esportazioni anzichè scommettere sul potenziale enorme del suo popolo ecc, questo non da oggi, è un “difetto” che ha sempre avuto dal ’91 in poi
E’ da molto tempo che seguo la politica russa ed in tutti questi anni (proprio per queste ragioni, non solo per velleità ideologiche) ho sempre sperato in una vittoria elettorale del KPRF, tuttavia oggi, ed è quasi ironico dirlo mi trovo “costretto” a sperare in un lungo corso dell’attuale Presidenza, però chissà ci troviamo in tempi difficili e non è detto che a breve non possa nascere una sorta di governo di unità nazionale .. la direzione pare quella ed i tempi sono maturi, vedremo !
Continuerò a seguirvi con passione, nel frattempo vi rinnovo i miei complimenti per il blog ed un enorme grazie per il vostro supporto all’eroico popolo del Donbass 🙂
Concordo parola per parola. MB
“sotto gli auspici di due padri insospettabili: Lenin e un giovane Stalin nella sua funzione di Commissario del Popolo alle Nazionalità.”
di sicuro fu più in un ‘ ottica di ” comunistizzazione” che di “russificazione” che allora venne aggregata alla ” piccola ucraina ” la novarussia, anche se in effetti nella ” grande ucraina” del 1921 l’ elemento russofono restava dominante .
L’ errore invece fu fatto quando con lo spostamanto ad ovest della polonia Stalin incremento’ il peso dei non-russi nella nuova ” più grande ukraina” del 1945 ; errore che non fu certo riparato dall’ errore di krisciov di appiccicargli nel 1954 anche la crimea. 🙂
Il fatto e’ che che i comunisti per loro scelta ignorano la storia e la storia poi sempre si vendica.
il problema russo attuale,indecisione ed ambiguità in seguito alle provocazioni usraeliane e non…deriva dal devastante crollo dell’urss con la messa al potere di compiacenti e la svendita del patrimonio industriale ed energetico a prestanome detti oligarchi.
ancora oggi putin e la sua corrente ortodossa deve fare i conti con questi personaggi ancora molto influenti,ma personalmente ho idea che pian piano o si allineano o vanno a londra…….
@ws
“Il fatto e’ che che i comunisti per loro scelta ignorano la storia e la storia poi sempre si vendica.”
Non si tratta di ignorare la storia, il Socialismo è una dottrina umanista e come tale è un’ideale che guarda al di la delle Nazioni cercando di includere i popoli anzichè escluderli.
Il fatto che oggi si ponga giustamente il problema “nazionale” (anche qui da noi tra l’altro) non può essere imputato al Bolscevismo di allora ma a tutta una serie di eventi storici che sono avvenuti dopo, eventi che allora difficilmente potevano essere prevedibili
Il passaggio della Crimea all’Ucraina al tempo aveva un significato più simbolico che altro, lo stesso Krusciov era Ucraino ma nessun russo “etnico” al tempo abbe nulla da ridire semplicemente perchè erano tutti assieme, erano un unico popolo !
La stessa Russia di oggi è fatta da tanti popoli, da tante etnie che vivono insieme.
In fondo oggi a cosa stiamo assistendo, qual’è il dramma politico di oggi se non l’odio anti russo instillato dalle potenze occidentale verso tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia ?
Un certo grado di nazionalismo difensivo russo di oggi va difeso ma non va mai dimenticato che questo è unicamente il portato delle politiche occidentali dell’ultimo ventennio, se l’URSS non fosse crollata oggi non staremo certo parlando di Russi o Ucraini come di due entità in rotta, il divide et impera non è mica una trovata di oggi !
Putin questo lo sa bene, è un patriota russo (questo nessuno può negarlo) ma sa anche che la Russia ha bisogno di riunire nuovamente questi popoli, è necessario ricreare le condizioni per una coesistenza armoniosa tra di loro, popoli che per tanti decenni hanno vissuto assieme, condiviso le loro gioie, i loro dolori, le loro conquiste e speranze.
La pace verrà anche da questo, anzi sopratutto da questo 🙂
Ottimo articolo, rispondendo alla domanda sull’indispensabilita’ di Putin, tutto si decidera’ in quanto profonda sara’ la sua impronta sul Paese piu’ grande del mondo, gia’ ora sembra che abbia avuto al capacita’ di trasformare 180 milioni di abitanti in soli 10anni, da anime confuse dopo la dissoluzione dell’impero sovietico in veri patrioti riuniti come un tempo sotto un unica nazione ed un unico ideale la grande madre Russia, un terzo mandato a furor di popolo anche se extracostituzionale permetterebbe di consolidare quello che e’ gia’ stato fatto e portare la russia definitivamente tra le maggiori e piu’ potenti democrazie del mondo senza piu’ il bisogno di un grande Leader come Putin che e’ gia’ entrato nella storia della nostra umanita’.