Da almeno due anni, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan sta spingendo per la creazione di “zone sicure”nel nord della Siria. Questa settimana, quando i carri armati, gli aerei da guerra e le forze speciali turche hanno preso il controllo di parte del territorio siriano, sembra che il governo di Ankara sia in grado di raggiungere quest’obbiettivo.

Non solo, ma il presidente turco è riuscito a coinvolgere Washington, mostrando di poter evitare qualsiasi ostacolo che la Russia o il suo alleato siriano avrebbero potuto porre per opporsi a questo intervento senza precedenti.

Gli aerei da guerra statunitensi hanno fornito la copertura aerea ai militanti siriani appoggiati da Ankara che hanno preso  il controllo della città di confine di Jarablus, strappandola al Daesh, e il Vice Presidente statunitense Joe Biden, ad Ankara nel primo giorno dell’assalto, ha promesso il pieno sostegno di Washington all’operazione Scudo dell’Eufrate.

Erdogan ha detto che l’operazione si pone due obbiettivi: quello di “fare pulizia” dei terroristi del Daesh nella zona di frontiera, e quella di spingere indietro i combattenti curdi anti-Daesh, verso est e oltre l’Eufrate, nella loro roccaforte nel nord-est della Siria.

La milizia curda, composta principalmente dalle Unità di Protezione Popolare (YPG), note anche come Forze Democratiche Siriane (SDF), è stata finora sostenuta da Washington. Il sostegno americano sembra essere messo in dubbio questa settimana, quando Biden ha diffuso un severo monito: il supporto degli Stati Uniti sarebbe terminato se i Curdi non si fossero ritirati verso est.

La Russia e il Governo siriano non sono rimasti a guardare: il ministero degli Esteri russo ha dichiarato infatti di essere “molto preoccupato” dall’escalation militare turca, e le autorità siriane sono andate anche oltre, denunciando l’attraversamento dei confini e il successivo schieramento di truppe come una “flagrante violazione della sovranità”.

Russia e Siria hanno tutti i diritti di essere allarmate. Nonostante la retorica di Erdogan che giustifica la riconquista di Jarablus con l’unico scopo di “sconfiggere i terroristi” e “proteggere l’integrità territoriale della Siria”, il fatto incontrovertibile è che le forze turche, con l’appoggio degli Stati Uniti, hanno messo i loro miliziani al controllo della città siriana e dei territori circostanti.

La Turchia dice di voler stabilire una “zona sicura” lungo la parte siriana del confine che si estenda per 100 Km, con una profondità di 30. Non è chiaro se l’esercito turco rimarrà sul territorio siriano per presidiare queste zone: potrebbe infatti ritirarsi e assegnare il compito ai militanti siriani di Ankara, compresi il cosiddetto Esercito Libero Siriano e i combattenti turcomanni. Questi miliziani combatteranno presumibilmente contro i jihadisti del Daesh, ma il loro obbiettivo principale è quello di muovere guerra contro il governo siriano del presidente Bashar Assad e i suoi alleati stranieri, Russia, Iran e Hezbollah.

La costituzione di una zona sicura attorno a Jarablus da parte dei militari turchi e americani dev’essere collegata alla dichiarazione rilasciata dal Pentagono la settimana scorsa, in cui ammoniva che i suoi aerei da guerra avrebbero abbattuto qualsiasi aereo siriano o russo si fosse avvicinato alla città orientale di Hasakah, nella quale sembra che le Forze Speciali americane siano dispiegate. Prese insieme, le azioni della scorsa settimana hanno portato alla creazione di due “zone sicure” controllate dai turchi e dagli americani.

Questo è uno sviluppo drammatico nel conflitto siriano che dura da quasi 6 anni, in quanto forze straniere ora controllano attivamente zone di territorio siriano senza alcun mandato lecito.

Qualcuno potrebbe giustamente chiedere: come si è arrivati a questo? Una situazione in cui i turchi e gli americani, entrambi membri della NATO, stanno conducendo operazioni terrestri e aeree sul territorio siriano, e stanno stabilendo delle zone di non accesso nei riguardi del governo siriano e dei suoi alleati russi.

Una nota della Reuters fornisce questo contesto alla operazione turco-americana:

Un funzionario turco ha dichiarato che le incursioni di terra erano in preparazione da più di due anni, ma sono state ritardate a causa delle riserve americane, dalla resistenza da parte dei comandanti turchi, e da una posizione di stallo con la Russia che aveva reso impossibile una copertura aerea.

La situazione di stallo è chiaramente riferita all’abbattimento di un aereo da guerra russo da parte di F-16 turchi lo scorso novembre. A causa della rabbia maturata da Mosca per la “pugnalata alla schiena”, come Putin stesso ha definito l’evento, da allora gli aerei da guerra turchi non hanno più osato entrare nel territorio siriano.

L’incursione dei velivoli turchi in territorio siriano di questa settimana è la prima da novembre.

La Reuters aggiunge:

La Turchia nei mesi scorsi ha fatto pressioni più decise su Washington, ha riallacciato i rapporti con la Russia, e ha rimosso alcuni comandanti turchi dai loro incarichi dopo aver scoperto il loro coinvolgimento nel tentativo di colpo di Stato, aprendo la strada al proseguimento dell’operazione.

Ciò solleva la vera questione: Erdogan è astuto a giocare sia con gli americani che con  i russi per raggiungere l’obbiettivo a lungo termine di Ankara, quello di realizzare “zone sicure” all’interno della Siria?

In seguito al fallimento del golpe in Turchia del 15 luglio, Erdogan ha sorpreso molti analisti decidendo per un improvviso riavvicinamento con Mosca, mentre, allo stesso tempo, fingeva di accusare Washington di essere forse implicata nel tentativo di golpe. In un apparente stallo con il suo alleato americano, Erdogan ha iniziato anche un riavvicinamento con l’Iran, e ha persino dato segni di apertura con il governo siriano, dopo aver etichettato per anni il Presidente Assad come un “macellaio” che avrebbe dovuto cedere il potere.

Nelle ultime settimane, Erdogan ha richiesto un nuovo “fronte anti-terrorismo” che coinvolga la Russia, l’Iran, e gli Stati Uniti.

Russia e Iran sembrano accogliere con favore l’apparente cambiamento di priorità della Turchia, che lascia in secondo piano il cambio di regime in Siria e si concentra maggiormente nel combattere le brigate terroristiche.

Gli atroci attentati della scorsa settimana nella città di Gaziantep, nel sud della Turchia, in cui sono morte 54 persone, presumibilmente ad opera di jihadisti, è stato percepito da Ankara come un punto di svolta per l’azione militare di questa settimana. Anche in questo caso, la sequenza degli eventi sembra confermare l’affermazione di Erdogan riguardo l’eliminazione dei terroristi.

Visto il passo indietro di Washington alle insinuazioni di Erdogan sul suo presunto collegamento con il fallito colpo di Stato, e date le aperture e i riavvicinamenti del Presidente turco verso Mosca, Tehran e Damasco, sembra che Ankara stia mettendo a frutto gli eventi del flusso geopolitico in modo da perseguire i propri interessi in Siria, cioè quelli di annettere territori che possa controllare in modo diretto, o per delega.

In breve, Erdogan sta cercando di prendere alla sprovvista tutti i giocatori.

La prossima domanda è: cosa sta cercando di guadagnare Ankara?

L’idea che Erdogan sia seriamente intenzionato a sconfiggere i terroristi in Siria deve essere presa con molta cautela. Il suo regime e il controspionaggio militare turco sono stati sponsor e collaboratori di una miriade di miliziani terroristi, incluso il cosiddetto Esercito Libero Siriano, i turcomanni e gli jihadisti più apertamente a collegati ad Al-Qaeda. Tutti questi partecipano ad una guerra segreta al fine di provocare il cambio di regime in Siria, che la Turchia ha fomentato sin dal 2011, insieme agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, alla Francia e agli alleati regionali come Arabia Saudita, Qatar e Israele.

Gli jihadisti fuggiti questa settimana da Jarablus, come le brigate messe in fuga da Manbij all’inizio di questo mese, sembrano essere scomparsi. Ma dove?

Il quadro attuale è che, nel corso dello scorso anno, le forze siriane, russe, iraniane e di Hezbollah hanno inflitto pesanti sconfitte ai mandanti esteri del cambio di regime. L’importante battaglia in corso ad Aleppo è un presagio della sconfitta finale nella guerra segreta per il cambio di regime. Per la Turchia, la creazione di rifugi sicuri a nord di Aleppo è vitale per riorganizzare e approvvigionare i mercenari jihadisti. Questo fa intendere il significato del nome “Operazione Scudo”.

Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale di Sputnik.

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Articolo di Finian Cunningham pubblicato da Sputnik il 26 agosto 2016

Traduzione in italiano a cura di Davide per SakerItalia

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