I processi politici interni in Turchia cambiano la situazione nei Paesi limitrofi
Si dibatterà a lungo su ciò che è accaduto davvero in Turchia tra il 15 e il 16 luglio, e queste dispute sono cominciate ancor prima che fosse tutto finito (almeno come fase attiva). Tenuto conto che si è trattato o di un tentativo di colpo di stato, o di una pericolosa ma riuscita provocazione per schiacciare l’opposizione a Erdogan, per essere avvenuto proprio in Turchia, per la Russia è importante capire esattamente cosa sia successo.
Le conseguenze immediate saranno la trasformazione di un paese membro della NATO in una repubblica di fatto islamica, l’istituzione di un regime di dittatura personale del suo presidente, imprevedibile e ambizioso, la presa di controllo su tutte le ramificazioni del governo e la possibilità di realizzare tutti i piani neo-ottomani in Siria, in Iraq e nello spazio post sovietico, che ancora non erano consentiti dalla fronda nell’esercito, nella magistratura e nel parlamento.
Nella Russia moderna ci sono abbastanza lobbisti degli interessi della Turchia, di Erdogan e del suo partito Giustizia e Sviluppo. Anche gli islamisti appartenenti alla vasta famiglia dei “Fratelli Musulmani”, che oltre all’AKP turco comprende i palestinesi di Hamas, i “fratelli” siriani che si oppongono a Bashar Assad e i “fratelli” egiziani che fanno la guerra al regime del generale al-Sisi.
Non a caso, i difensori volontari (o pagati) della Turchia e di Erdogan hanno iniziato, subito dopo la notizia del golpe, una campagna nei media russi secondo cui l’aereo russo, il cui abbattimento ha provocato una crisi acuta nei rapporti tra Mosca e Ankara, non era stato eliminato su ordine del presidente (l’unico che in Turchia avrebbe potuto prendere una simile decisione), ma come risultato di azioni illegali dei militari.
La comprensione dei processi politici interni attualmente in corso in Turchia si basa anche su testimonianze oculari. Decine di migliaia di cittadini russi risiedono permanentemente nel paese. Milioni di turisti visitavano ogni anno il paese, prima della rottura delle relazioni causata dalla crisi nei rapporti bilaterali. In ogni caso, le relazioni economiche della Turchia con la Russia sono assai importanti per entrambi i paesi, e non si possono certo azzerare sui due piedi, anche se al giorno d’oggi la realizzazione di mega-progetti come il “Turkish stream” o la centrale nucleare di Akkuyu sarebbe estremamente rischiosa e poco giustificata in termini delle prospettive per cui sono stati progettati. In ogni caso, gli eventi attuali permettono di abbandonarli, con la scusa di cause di forza maggiore (c’è anche da chiedersi se gli enti russi saranno disposti ad abbandonarli, visti gli investimenti di miliardi di dollari previsti dal bilancio dello Stato della Federazione Russa).
Il flusso di informazioni dalla Turchia riempie lo spazio dei media, ma allo stesso tempo è praticamente impossibile estrarne informazioni sui reali processi che si succedono nella élite militare e politica del paese. Nel frattempo, gran parte di ciò che sta accadendo lì, determina non solo il presente e il futuro della Turchia ma anche le relazioni con i suoi vicini, inclusa la Russia. E’ da questi processi che dipende la continuazione o la sospensione della politica di Ankara di integrazione con l’Europa, il livello di supporto per l’Islam nell’ambito internazionale e, infine, le relazioni con i paesi del mondo islamico, l’Unione europea e gli Stati Uniti. Materiali preparati per l’Istituto del Medio Oriente dai suoi collaboratori Yu.B. Scheglovin e I.I. Starodubtsev, permettono di colmare alcune delle lacune più significative.
Poche persone al di fuori della Turchia (e poche in più nel paese stesso), sanno del repulisti nelle fila del principale servizio segreto, il MIT. Nei piani del presidente turco c’è una trasformazione radicale dei vertici del servizio. Per il suo leader di lunga data Hakan Fidan, una delle persone più vicine a Erdogan ed esecutore dei suoi incarichi più delicati, si prospetta l’incarico di ambasciatore in Giappone. Finora la sua nomina è stata rinviata, sia per la situazione politica sia perché egli vorrebbe fare l’ambasciatore negli Stati Uniti. Il suo vice Ismail Hakki Musa, che era facente funzioni del capo del MIT nel 2015, è stato già nominato ambasciatore a Parigi.
La questione curda
Nonostante la Francia sia un paese importante per la Turchia, secondo gli standard burocratici tale trasferimento significa una degradazione di rango: più esattamente, un esilio onorevole prima del pensionamento. Si noti che Musa è diventato il vice di Fidan dopo aver fatto l’ambasciatore turco a Bruxelles negli anni 2011-2012. In questa posizione egli curava le operazioni del MIT per eliminare emissari e vertici del partito dei lavoratori curdi (PKK) in Europa occidentale. Dopo aver ottenuto vari successi in questo campo, è stato promosso alla sede centrale. Come vice di Fidan, lo ha aiutato a stabilire una tregua con il PKK, e dopo il fallimento di questa tregua è stato responsabile della neutralizzazione fisica dei leader del PKK in Turchia. Ci sono tutte le ragioni per credere che fosse lui l’organizzatore dell’attentato terroristico di vasta risonanza a Suruc, durante una manifestazione pro-curda.
Musa si occupava del reclutamento degli informatori tra gli jihadisti, e del loro trasferimento in Siria, usandoli per l’organizzazione di attacchi terroristici provocatori in Turchia. Inoltre, Ismail Hakki Musa ha supervisionato il tentativo, circa due anni fa, di creare nel nord della Siria una specie di forza “talebana” curda, il cui zoccolo duro era costituito da ex combattenti del PKK reclutati nelle carceri turche, che avevano preso la strada della jihad. Questo tentativo è stato stroncato dai sostenitori del partito dell’unione democratica (PYD) dei curdi siriani. E’ chiaro quindi che Erdogan si è liberato completamente dei vertici del MIT, che in precedenza avevano partecipato attivamente alla risoluzione della questione curda e al mantenimento dei contatti con i gruppi jihadisti in Siria.
Va notato che l’ex primo ministro A. Davotoglu e lo stesso Fidan si sono rivolti al presidente turco chiedendogli di cambiare politica nei confronti dei curdi e raggiungere con loro una tregua. A Davotoglu ciò è costato il posto di primo ministro. Molto probabilmente, anche Fidan sarà costretto a dimettersi. Questo significa forse, così come la caduta in disgrazia di Musa, che Ankara comincerà a cambiare politica nei confronti dei curdi? Potrebbe essere, ma solo dopo il referendum per la modifica della Costituzione. In caso contrario, ci sarebbe un’elevata probabilità di mancato sostegno al presidente Erdogan da parte dei nazionalisti. Qualsiasi flirt con i curdi implica un malcontento di questa parte della popolazione, che ora costituisce la sua base elettorale. La pace con i curdi, che proponevano Davotoglu e Fidan, è stata respinta da Erdogan non perché l’idea era inaccettabile in sé, ma solo perché per lui personalmente era prematura.
Ciò che ora sta facendo il presidente turco per migliorare le relazioni con Israele e la Russia è nient’altro che la preparazione del terreno per il referendum e la fatidica trasformazione della Turchia da repubblica parlamentare a presidenziale. Per questo mutamento delle sue idee, Mosca può ringraziare l’Unione europea, che anche attraverso il voto al Bundestag sul riconoscimento del genocidio armeno da parte della Germania ha di fatto rifiutato di concedere l’abolizione dei visti per i cittadini turchi e soprattutto un’imminente adesione della Turchia alla UE. Sarebbe stata la carta vincente di Erdogan per persuadere gli elettori alla vigilia del referendum. In caso di abolizione dei visti, i turchi voterebbero in massa per le sue proposte di modifica della costituzione. Ciò non è accaduto, e il referendum nel Regno Unito ha rafforzato il senso di fallimento della politica turca nella direzione europea. Erdogan ha dovuto cercare dell’altro, per convincere l’elettorato. E ha ripristinato le relazioni con Russia e Israele. Nei due casi per ragioni diverse, ma comunque puramente economiche.
La questione curda o, piuttosto, un indebolimento o una completa cessazione del terrorismo curdo, che somiglia sempre più a una classica guerriglia, sarebbe un’altra carta vincente del presidente turco per indebolire le tensioni interne del paese e ridurre i rischi per gli investimenti nell’economia. Tuttavia, i curdi non si fidano più né di Fidan né di Musa, che vengono accusati di aver ucciso i loro rappresentanti in Europa e in Turchia. C’è bisogno di persone nuove che siano in grado di riavviare da zero i negoziati e non irritare l’altra parte. E perché queste possano fare la loro comparsa e ricevano il mandato per le trattative, deve essere rimossa la vecchia squadra.
Il piano di Fidan “del bastone e della carota” per domare i curdi non ha funzionato e non funzionerà, perché i curdi di Turchia hanno ottenuto, oltre al Kurdistan iracheno, una base logistica nel nord della Siria. Questo rende senza fine la guerriglia, che ha la possibilità di rifornimenti continui dalle cellule turche del PKK. Ankara non potrà liquidare le basi curde in Siria per diversi motivi, uno dei quali è l’aperto sostegno al PYD da parte degli Stati Uniti. Washington considera i curdi in Siria come la principale forza sul campo per combattere l’ISIS. Ciò viene confermato dal fatto che i militari americani vengono mandati nel nord-est della Siria per coordinare le operazioni per la liberazione di Raqqa.
Questo processo può essere fermato o almeno influenzato solo politicamente, il che costringe Erdogan a cambiare atteggiamento. Per lui è doloroso, ma ancor più dolorosa sarebbe la perdita del potere personale e la caduta nel dimenticatoio politico. Forse questo è il filo conduttore di tutte le sue manovre, sia in Turchia che all’estero. Ciò può spiegare le stranezze del fallito golpe militare, a condizione che lo si consideri dal punto di vista del raggiungimento da parte del presidente turco dei suoi obiettivi personali. Allo stesso tempo, non va dimenticato che egli ha svolto la sua carriera politica come rappresentante della Turchia islamista. In tutta la storia moderna di questo paese l’esercito è stato fondamentale e coerente nemico degli islamisti.
I generali hanno soltanto minacciato
Al momento della stesura di questo articolo, esistono ancora focolai di tensione tra i lealisti e gli oppositori del regime, ma è chiaro che il colpo di stato militare è fallito. Nonostante l’abbondanza di informazioni rilasciate dai media, e gli arresti di massa, per il momento non si sa né il numero né il nome dei capi né gli obiettivi dei partecipanti al fallito putsch. Secondo alcuni rapporti, sono il procuratore militare e un gruppo di alti ufficiali della 1a Armata di Istanbul e il 4° corpo d’armata di Ankara.
Non è chiaro il ruolo del capo di stato maggiore delle Forze Armate, H. Akar. E’ stato preso in ostaggio, poi è stato rilasciato e ha ripreso le sue funzioni. Poi si è saputo che capo di stato maggiore ad interim è diventato U. Dundar. Ciò indica che Akar o è stato ferito o è stato coinvolto nel tentativo di golpe. Questo getta nuova luce su un viaggio segreto a Damasco dei due emissari di Akar, a fine maggio. Con Assad si sono incontrati l’ex capo dei servizi segreti militari I. Pekin e il nazionalista D. Perenchek, che figuravano come sospetti membri dell’organizzazione “Ergenekon” [una sorta di “Gladio” turca, NdT]. Gli esperti hanno detto che Erdogan cercava di instaurare un dialogo con Damasco, ma ora ci sono dubbi sul fatto che egli sapesse della visita.
Tuttavia, questi sono particolari. E’ molto più importante altro. Quando negli ultimi mesi i nostri esperti di politica prendevano in considerazione un colpo di stato militare in Turchia, quasi tutti concordavano nel ritenerlo improbabile: l’esercito era seriamente indebolito dai repulisti (erano stati fatti fuori con pari zelo sia i sostenitori della linea di Atatürk che i seguaci di Gülen), demoralizzato e privo di ogni ambizione di tornare al ruolo di principale garante della costituzione, come ai bei vecchi tempi.
In questa prospettiva il golpe lo potevano tentare probabilmente sia i seguaci di Gulen, molto numerosi nelle strutture statali e nelle forze dell’ordine, sia i rappresentanti della vecchia tradizione militare che non hanno accettato i tentativi di Erdogan di ridurre al minimo il ruolo dell’esercito, di monopolizzare il potere nelle sue mani e di consolidarlo cambiando la costituzione.
A queste conclusioni conducevano i cauti passi di Erdogan sull’organizzazione dell’intervento in Siria per prendere il controllo sull’area-cuscinetto curda nel nord del paese. Erdogan si era trovato più volte prossimo alla realizzazione di un tale scenario, venendo però fermato dal dissenso dei comandi dell’esercito. Il presidente turco non nutriva molta fiducia nei militari, che davano chiari segnali di non voler combattere in Siria. Quando l’esercito dà questi segnali, vuol dire che nel paese non tutto è tranquillo: per quanto tempo lo resti, può dirlo solo il futuro, ma è probabile che sia per poco. La vittoria di Erdogan potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro, proprio perché è intenzionato a un giro di vite implacabile sull’opposizione, reale o immaginaria, e vuole spargimenti di sangue, in particolare l’introduzione della pena di morte. E se ne ottiene l’approvazione dal Parlamento, è più che probabile che essa verrà applicata agli avversari del presidente, indipendentemente dal loro effettivo grado di colpevolezza.
A giudicare da quel che si è osservato durante il golpe, nella prima fase quasi tutto il comando militare ha in qualche modo sostenuto l’intervento contro il presidente – chi con l’azione, chi con il silenzio. Per tutti è stato prioritario acquisire con certezza il dato fondamentale: se Erdogan fosse stato ucciso o no. Solo quando è apparso chiaro che era vivo, i dirigenti militari di alto rango hanno cominciato a prendere le distanze dai ribelli. Questo testimonia che la politica di Erdogan e i suoi sforzi per trasformare la costituzione incontrano una seria opposizione tra i militari, e più in generale tra la vecchia élite del paese. Questa fronda ha forti radici, e in questo caso non mi azzarderei a sostenere che il repulisti dell’esercito dopo l’accaduto cambierà radicalmente la situazione.
Il potere ha vacillato, il sultano ha resistito
Il tentativo di colpo di stato non era legato alle vacanze di Erdogan. Non è da escludere che i ribelli siano stati spinti da altro. L’impulso per il golpe potrebbe essere giunto dal brusco cambiamento nella politica estera del paese, realizzato da Erdogan nell’ultimo mese. E non perché i militari (e dietro di loro i rappresentanti della vecchia élite) si oppongano alla normalizzazione delle relazioni bilaterali della Turchia con la Russia e Israele. Questa trasformazione nella politica estera ha prospettato in realtà un miglioramento dell’economia turca e l’uscita del paese da una fase di liti permanenti con tutti i suoi vicini geografici.
Gli avversari interni di Erdogan puntavano invece sul suo ulteriore isolamento politico, la stagnazione economica, una guerra lunga e inutile con i curdi, il fallimento della promessa di abolizione dei visti con la UE e altri eventi della categoria “tanto peggio tanto meglio”. Tutto ciò avrebbe garantito il fallimento dell’idea di cambiare la costituzione con un referendum, seguito dalla sconfitta del partito di governo alle elezioni parlamentari, e di conseguenza dalle dimissioni di Erdogan. La rottura con la Russia, oltre ad altri errori nella politica estera e nazionale del presidente turco, ha dato impulso alla crescita di una massa critica di insoddisfatti.
Con i già complicati rapporti della Turchia con Iran, Egitto e Israele, l’intromissione nella guerra civile siriana potrebbe essere stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Se ci atteniamo alla versione che il golpe non sia stato opera dei servizi di sicurezza infiltrati nell’opposizione, la conclusione scaturisce da sé: quando si è capito che Erdogan poteva sacrificare alcune ambizioni pur di mantenere il potere personale, per i cospiratori è apparso chiaro che non poteva essere che una ribellione a fermare la mossa vincente del presidente, che aveva scommesso sulla ripresa economica dopo la normalizzazione delle relazioni con Russia e Israele. Ci hanno provato nei limiti delle loro capacità.
Questo significa forse che stiamo assistendo alla fine dell’era delle ambizioni di potere dei militari turchi? Difficile dirlo. Il loro malcontento resta all’ordine del giorno, e le repressioni lo rafforzeranno solamente. C’è il desiderio di impedire la trasformazione di Erdogan in un usurpatore. Tuttavia, la situazione in Siria, gravi contrasti nella direzione del Partito Giustizia e Sviluppo, la questione curda, sono tutti indicatori della crisi dell’architettura del potere istituzionale in Turchia, ben lungi dall’essere superata. Questo colpo di stato farà certamente il gioco di Erdogan, che cerca di ottenere il sostegno elettorale in grado di portare a termine al più presto il referendum per cambiare la costituzione.
I frutti di una vittoriosa catastrofe
Quali sono le prospettive per il prossimo futuro delle relazioni russo-turche? Da un lato, le repressioni nell’esercito lo indeboliranno e mineranno la fedeltà delle élite a Erdogan. Questo avrà un impatto negativo sull’influenza turca in Siria, indebolirà il supporto turco agli islamisti nel corridoio di confine tra Azaz e Dzharablus e in direzione di Aleppo, e semplificherà il compito dell’esercito siriano e delle milizie curde per mettere sotto controllo queste aree. Tale processo sarà facilitato anche dal raffreddamento delle relazioni di Ankara con Washington, accusata da Erdogan (non importa se a torto o a ragione) di aver sostenuto il tentativo di colpo di stato. Inoltre Erdogan chiede agli Stati Uniti l’estradizione di Gulen, suo ex alleato e ora uno dei suoi principali critici.
Appaiono poco realistiche le prospettive di una concessione, all’autoritario leader turco, dell’estradizione del famoso leader spirituale musulmano, che a suo tempo aveva fortemente condannato l’attacco dell’11 settembre. Inoltre la richiesta stessa indebolisce considerevolmente la posizione del presidente turco presso le élite americane. E’ sintomatico il divieto temporaneo delle autorità turche alle forze aeree americane di usare la base di Incirlik per bombardare l’ISIS. Ciò è molto istruttivo su come funzioni la NATO e quanto l’America possa contare sulla Turchia come alleato regionale, mentre per la flotta aerea russa in Siria ciò non rappresenta alcun problema.
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Articolo di Evgenij Satanovskij, direttore dell’Istituto del Medio Oriente, pubblicato: 19 Luglio 2016
Traduzione dal Russo a cura di Elena per SakerItalia.it
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