In occasione dell’anniversario dei fatti di Maidan, vi propongo una lunga analisi di quegli eventi. A causa della eccezionale lunghezza di questo post, presentiamo anche una versione stampabile: 21 Febbraio 2014 la Fine dell’Ucraina Unitaria. Buona lettura!
– Ilio Barontini –
Ad un anno di distanza dalla defenestrazione del Presidente Yanukovich non si è ancora raggiunto un consenso su come interpretare i fatti di Kiev dello scorso inverno. Si sono anzi consolidate due narrazioni antitetiche, quella russa del “colpo di stato” e quella occidentale della “rivoluzione democratica”. Le due espressioni hanno qualcosa in comune: entrambe sono sintetiche e immediatamente comprensibili, entrambe hanno una connotazione semantica implicita (in senso positivo quella occidentale ed in senso negativo quella russa) ed entrambe sono abbastanza indeterminate da consentirne un uso arbitrario. In linea di principio i “colpi di stato” dovrebbero essere posti in atto da un potere statale (per lo più l’esercito). In linea di principio le “rivoluzioni democratiche” dovrebbero rovesciare regimi dittatoriali (e l’Ucraina pre Maidan non lo era) ed essere finalizzate alla estensione e non alla compressione dei diritti civili. Tuttavia la casistica e le varianti dei “colpi di stato” e delle “rivoluzioni” sono tante da consentire un uso discrezionale di entrambe le espressioni che quindi, in definitiva, hanno un valore più propagandistico che descrittivo.
Crediamo che sia ormai giunto il tempo di tentare una profonda revisione degli eventi, revisione che richiederà prima il recupero delle premesse storiche rimosse dalle opposte semplificazioni, e poi la ricomposizione dei fatti in una chiave interpretativa originale e a nostro avviso più utile a comprendere l’accaduto. Anticipiamo la tesi che intendiamo sostenere: il 21 febbraio 2014 il potere di Kiev ha conosciuto una frattura istituzionale tanto profonda da provocare la dissoluzione dell’Ucraina come stato. Il paese esistito per 23 anni, l’Ucraina Unitaria, una paese neutrale in politica estera, multiculturale e multi religioso, è cessato. Sul suo territorio sono sorti diversi centri di potere di diversa estensione, il più grande dei quali (che per comodità espositiva chiameremo Ucraina Nazionalista, in quanto il nazionalismo di matrice galiziana ne è l’ideologia portante) ha occupato la capitale e pretende di legittimarsi quale erede giuridico dello stato dissolto, venendo in effetti accreditato come tale da molti attori internazionali. Tuttavia le premesse storiche e le modalità di trapasso dei poteri rendono a nostro avviso difendibile sia sul piano giuridico che nella sostanza la tesi secondo cui le istituzioni dell’Ucraina Unitaria non esistono più, sostituite da organismi politici del tutto nuovi: la Repubblica Nazionalista, le Repubbliche Popolari (ideologicamente parti costitutive del Mondo Russo), e la Repubblica di Crimea (unitasi alla Federazione Russa), che si disputano con le armi le spoglie dello stato unitario. Chi troverà convincenti i nostri argomenti dovrà concludere che Euromaidan non è stata una rivoluzione e nemmeno un colpo di stato, ma il de profundis dell’Ucraina Unitaria e l’inizio di una risistemazione cruenta dello spazio da questa occupata, il cui territorio viene riorganizzato intorno a una pluralità di centri di potere.
a) Kuchma e la nascita dell’Ucraina Unitaria (1994 – 2000). Dopo l’indipendenza l’Ucraina si trovò ad affrontare le stesse sfide che attendevano gli altri paesi dello spazio post sovietico (crisi economica, riconversione, disgregazione politica, sociale e morale) cui si sommavano alcune altre sue proprie (questione identitaria, irredentismo della Crimea, posizionamento internazionale). Successi e fallimenti nel risolvere tutti questi problemi sono legati alla figura di Kuchma, che ricoprì l’incarico di Presidente per un decennio, durante il quale il paese assunse una fisionomia istituzionale e internazionale definita. La politica di Kuchma potrebbe essere descritta come una politica di “unità nazionale” mirante ad integrare politicamente ed economicamente il nord ovest ed il sud est del paese, utilizzando il consenso raccolto nelle zone russofone per promuovere una politica di accentramento del potere e di intreccio di rapporti sia verso l’occidente che verso la Russia, creando un sistema di relazioni (spesso anche personali) che permettesse di individuare soluzioni concordate delle controversie. In particolare nel periodo ’94 – ’96 l’Ucraina Unitaria impostò la soluzione di alcuni problemi:
a1. L’assetto istituzionale. Il varo della Costituzione del 1996 impose al paese un sistema politico presidenziale. Il Presidente si vide riconosciuta la possibilità di nominare il Primo Ministro e di porre il veto sulla scelta dei componenti del gabinetto da parte del premier. Il sistema elettorale misto (metà dei deputati eletti con sistema maggioritario, metà con sistema proporzionale) costituiva un ostacolo alla formazione di partiti politici organizzati visto che i deputati eletti nelle circoscrizioni uninominali erano per lo più indipendenti, con conseguente debolezza delle maggioranze parlamentari. Così come tratteggiata nella costituzione del 1996 la figura presidenziale rappresentava una sicura garanzia per l’unità del paese.
a2. La posizione internazionale. Dopo avere sconfitto con il supporto determinante della popolazione del sud est nelle elezioni del 1994 il primo presidente dell’Ucraina indipendente Kravchuk e la sua piattaforma filo occidentale in politica estera, Kuchma inaugurò un corso di sostanziale equidistanza fra occidente e Russia. Kravchuk aveva lasciato sul tavolo diverse questioni potenzialmente esplosive: l’irredentismo della Crimea, lo status di potenza nucleare dell’Ucraina, la concessione alla Russia del porto di Sebastopoli. La Presidenza Kuchma pose mano a questi problemi individuando una soluzione concordata sia all’interno che all’estero. Con il memorandum di Budapest del 5 dicembre 1994 il paese rinunciò allo stato di potenza nucleare ottenendo garanzie per la propria integrità territoriale. L’Ucraina rimase membro di una Comunità di Stati Indipendenti ormai svuotata dei principali contenuti (esercito e moneta), compiendo i primi passi per la richiesta di associazione all’Unione Europea (con l’accordo di collaborazione e cooperazione del 19 febbraio 1998).

Eltsin (Russia), Clinton (USA), Kuchma (Ucraina), Major (Regno Unito) firmano gli accordi di Budapest
a3. I rapporti con la Russia. Vennero stabilizzati nello spirito del memorandum di Budapest con l’accordo di Sochi sulla provvisoria spartizione della flotta del Mar Nero del luglio 1995, con il trattato sulla spartizione della flotta del 28 maggio 1997, e infine con il trattato di amicizia, cooperazione e collaborazione del 31 maggio 1997, che concedeva in uso ventennale (quindi fino al 2017) alla Russia la base di Sebastopoli.
a4. L’irredentismo della Crimea. Sin dalla dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina le autorità della Crimea e quelle centrali iniziarono una serrata trattativa per definire il grado di autonomia della penisola russofona. I dirigenti locali tentarono a più riprese di varare una Costituzione che assegnasse alla Crimea una indipendenza sostanziale (indicendo anche un referendum che il 27 marzo 1994 approvò la bozza di Costituzione del 1992, che riconosceva alla penisola una indipendenza di fatto, con una percentuale del 78,4%) ma il Consiglio Supremo di Kiev fu sempre in grado, con il tacito accordo di Mosca, di fare valere il principio affermato nella Costituzione del 1996 secondo cui la Costituzione della Repubblica della Crimea doveva essere approvata dal Parlamento centrale Ucraino.
a5. La questione linguistica. Venne risolta nella Costituzione del 1996 riconoscendo in linea di principio l’ucraino come sola lingua nazionale, e tuttavia assegnando al russo lo stato di lingua “garantita” (art. 10 della Costituzione). Ai fini pratici, nella vita quotidiana, l’uso dell’uno o dell’altro idioma era indifferente nell’Ucraina Unitaria.
Alla fine degli anni ’90 l’Ucraina Unitaria sembrava una realtà consolidata. Nelle elezioni parlamentari del 1998 ed in quelle presidenziali del 1999 (in cui Kuchma venne riconfermato) il voto si divise fra destra e sinistra, come in tutti i sistemi democratici non travagliati da problemi identitari. Il decennio successivo avrebbe però dimostrato che questo consolidamento era solo superficiale.
b) Il modello unitario alla prova (2000 – 2004) All’ inizio del 2000 il modello unitario iniziò ad incontrare difficoltà crescenti. Fra il 2002 ed il 2004 la NATO portò a termine un ulteriore allargamento, assorbendo importanti paesi dell’Europa sud occidentale come Romania, Bulgaria, Slovacchia e stati baltici (la Polonia faceva già parte dell’alleanza dal 1999). Lo stesso processo venne compiuto dall’Unione Europea fra il 2004 ed il 2007. Il consolidamento dell’espansione ad est del complesso politico euroatlantico rese più attuale la questione del posizionamento internazionale dell’Ucraina. Nello stesso periodo la Federazione Russa iniziò il processo di ricostituzione e rafforzamento che fermò e poi invertì la crisi politica, economica, militare e sociale degli anni ’90 ed intraprese un processo di riaccentramento dello spazio geopolitico ex sovietico (l’ “estero vicino”). I margini di manovra della dirigenza ucraina, alla ricerca di una posizione intermedia che consentisse al paese di conciliare le proprie divergenze interne, iniziarono di conseguenza ad assottigliarsi. La Galizia (la regione nord occidentale cattolica e storicamente legata alla Polonia, culla del nazionalismo ucraino) prese a manifestare crescente insofferenza per la politica di mediazione del governo centrale e ad agire secondo logiche di nazionalismo ucraino. Questa tendenza produsse una reazione, se pur meno accentuata, nell’immaginario del sud est. Gradualmente le due comunità presero a percepirsi come entità distinte. Ricordiamo alcuni snodi importanti:
b1. Nelle elezioni parlamentari del 1998 la Galizia votò in massa la prima formazione politica su base regionale: il Narodnyi Rukh Ukrajiny, antesignana di una lunga serie di movimenti nazionalistici prodotti dal nord ovest;
b2. Il 22 novembre 2002 in conseguenza di un incontro ad alto livello tenutosi a Praga venne stabilita una cooperazione militare NATO Ucraina denominata Piano di Azione NATO Ucraina ed un Piano di Obiettivi NATO Ucraina per il 2003;
b3. L’Ucraina contribuì con un contingente di 1.650 uomini alla missione multinazionale in Iraq. Con 18 vittime il contingente Ucraino, stanziato ad Al Qut, sotto il comando Polacco, fu il quinto per numero di perdite in Iraq (dopo USA, Regno Unito, Italia e Polonia);
b4. In occasione delle elezioni parlamentari del 2002 per la prima volta il paese presentò la tipica spaccatura fra nord ovest e sud est, con violenze nel periodo elettorale. Yushenko, leader di un blocco di forze filo occidentali, riportò una vittoria nei confronti del partito comunista, votato massicciamente nel sud est. Grazie al sistema elettorale misto, la quota uninominale assicurò però la presenza, al Consiglio Supremo, di una pattuglia di indipendenti sufficientemente nutrita da stemperare le tensioni;
b.5. Nei primi mesi del 2004, molto prima della “rivoluzione arancione” il Consiglio Supremo abolì la componente uninominale della legge elettorale, nella speranza di rinforzare il ruolo dei partiti e quindi del Parlamento. In effetti la riforma produsse gli effetti auspicati nelle elezioni del 2006 e 2007 (prima che il paese tornasse al sistema proporzionale e maggioritario misto), ma essendosi nel frattempo il dibattito politico polarizzato su basi identitarie, la riforma ebbe l’effetto di esacerbare la contrapposizione fra blocchi regionali;
b.6. Le contrapposizioni esplosero in una gravissima crisi istituzionale in seguito alle elezioni presidenziali del novembre 2004 (le vicende note come “rivoluzione arancione”). Non si intende qui ripercorrere il complesso svolgimento della crisi, che esamineremo solo con riguardo alle sue implicazioni istituzionali nel successivo punto c. Vogliamo solo sottolineare come, retrospettivamente parlando, le passioni scatenate in quei giorni ebbero un effetto devastante ed irreversibile sullo sviluppo (e sulla crisi) dell’Ucraina Unitaria. La riforma costituzionale che ne seguì indebolì la figura del Presidente, concorrendo (con la riforma elettorale) all’indebolimento del sentimento unitario. La contrapposizione dei giorni di novembre dicembre 2004 contribuì a scavare un fossato incolmabile nel panorama politico del paese.
c) L’accordo costituzionale dell’8 dicembre 2004 La crisi politica apertasi dopo le elezioni del 21 novembre 2004 presenta delle similitudini assai suggestive con quella di dieci anni più tardi. Crediamo che questo precedente abbia influito grandemente a livello psicologico sulla condotta degli attori coinvolti nel 2014. Nei giorni chiave di febbraio Yanukovich credette possibile un accordo che consentisse da un lato il passaggio dei poteri all’ opposizione, in cambio della conservazione del sistema politico che aveva gestito il paese nel precedente ventennio, come era successo nel 2004. Questa decisione, cui il Presidente Ucraino si indusse in parte per motivi di debolezza caratteriale, in parte nella sincera aspettativa di seguire nuovamente il percorso tracciato dieci anni prima conservando l’unità del paese, non solo non produsse il risultato atteso, ma accellerò il processo di dissoluzione delle istituzioni. Il contesto politico nazionale ed internazionale, infatti, era assai mutato. Ricordiamo alcuni passaggi significativi della “prima” crisi ucraina:
c1. il 22 novembre, poche ore dopo l’elezione e senza che i risultati finali fossero proclamati dalla commissione elettorale, il presidente del comitato per la Politica Estera del Parlamento Europeo, Elmar Brok, denunciando brogli elettorali, minacciò l’imposizione di sanzioni europee all’Ucraina;
c2. il 23 novembre l’opposizione parlamentare si insediò al Consiglio Supremo e tentò di tenere una sessione pur in assenza del numero legale. Viktor Yushenko, il candidato sconfitto al ballottaggio del 21 novembre dal primo ministro Viktor Yanukovich, prestò ugualmente giuramento come Presidente davanti in una assemblea non legalmente costituita;
c3. Il 23 novembre Sergij Tihipko, presidente del comitato elettorale di Yanukovich, diede le dimissioni e si propose come mediatore avanzando la proposta di una ripetizione del ballottaggio presidenziale in cambio di una riforma costituzionale che modificasse in senso parlamentare l’architettura istituzionale presidenziale del paese;
c4. Il 26 novembre si costituì un comitato di mediatori internazionali inteso ad appianare le divergenze fra le parti. Del comitato facevano parte, oltre al Presidente uscente Kuchma, il Presidente della Polonia, quello della Lituania, l’Alto Rappresentante per l’Unione Europea Solana, il segretario dell’OSCE, il Presidente del Consiglio Supremo ucraino e Boris Gryzlov, Presidente della Duma Russa. Contemporaneamente, al fine di propiziare una soluzione politica, al Consiglio Supremo, questa volta riunito in sessione valida, maggioranza ed opposizione parlamentare votarono assieme una declaratoria di invalidità del ballottaggio del 21 novembre;
c5. Il 28 novembre a Severodonetsk (Lugansk) si tenne un un Congresso delle Autonomie Locali del sud est che concluse i lavori chiedendo un riforma federale dello stato in caso di salita al potere di Viktor Yushenko. Il giorno dopo le autorità locali di Donetsk e Lugansk indissero un referendum per l’autonomia fissando la data per la celebrazione al 5 dicembre 2004;
c6. Il 1 dicembre la minoranza tentò un nuovo colpo al Consiglio Supremo votando la destituzione di Viktor Yanukovich dalla carica di Primo Ministro. La seconda votazione raggiunse infine un incerto numero legale pur con violazioni procedurali in seguito alla defezione di alcuni parlamentari dalla maggioranza del Partito delle Regioni;
c7. Il gruppo dei mediatori internazionali raggiunse un accordo nei termini proposti il 23 novembre da Segij Tihipko il 6 dicembre;
c8. il 7 dicembre Yushenko annunciò alla folla dei suoi sostenitori radunata in piazza dell’Indipendenza (Majdan) l’intesa raggiunta. Gli organizzatori delle manifestazioni, però (in primis l’organizzazione giovanile “Pora” emanazione locale delle formazioni “rivoluzionarie” diffuse in seguito all’ esperienza di Otpor in Yugoslavia, forza d’urto delle proteste) rifiutarono di disperdersi, mantenendo il controllo degli edifici pubblici occupati ed offrendo a Yushenko una “sponda” preziosa nei passaggi successivi;
c9. L’8 dicembre il Consiglio Supremo votò con una maggioranza di 402 si, 21 no e 19 astensioni la modifica della Costituzione n. 2222/04 per la redistribuzione dei poteri fra Parlamento, Premier e Presidente, la ripetizione del ballottaggio alle presidenziali per il 26 dicembre e il conferimento al Presidente del potere di nomina dei governatori regionali. La modifica costituzionale venne controfirmata seduta stante dal Presidente uscente Kuchma, con una procedura di approvazione ritenuta illegittima dalla stessa Assemblea del Consiglio d’Europa e che nel 2010 provocò la declaratoria di invalidità della riforma da parte della Corte Costituzionale. In forza della riforma la nomina del Primo Ministro venne sottratta al Presidente divenendo di competenza parlamentare. Venne pure sottratto al Presidente il potere di nomina e di destituzione di tutti i Ministri (ma lo conservò per il Ministro della difesa e quello degli Esteri).
Questo voto permise di risolvere provvisoriamente la crisi istituzionale Ucraina del 2004. Il prezzo politico pagato per la soluzione fu alto. Il rafforzamento dei Parlamento, ormai polarizzato sulla dialettica fra nord ovest e sud est, e il corrispettivo indebolimento dell’autorità presidenziale, lasciarono non solo la società spaccata, ma anche la coscienza, nella comunità nazionalista, che gli indirizzi politici del paese potessero essere mutati con moti di piazza. Il potere centrale perse l’attitudine a rappresentare l’unità della nazione: i due Presidenti seguenti (Yushenko e Yanukovich) vennero percepiti come espressioni di una parte soltanto, e l’occupazione del potere divenne occasione, per ciascuna delle due fazioni identitarie in lotta, per conquistare delle posizioni di vantaggio sottraendo alla fazione rivale margini di manovra. La modifica parlamentare della Costituzione prendeva atto di questo processo, creando una sorta di coabitazione (il Parlamento avrebbe offerto un contrappeso al potere presidenziale). Ovviamente i problemi identitari si intrecciavano con altri, non meno urgenti di tipo sociale ed economico. E tuttavia la “colorazione” delle identità e delle vedute di politica internazionale finì per prevalere, sospingendo il paese verso una china prevedibile di divisione.
d). Interludio (2004 – 22 novembre 2013). La creatura di Kuchma sopravvisse dieci anni alla “rivoluzione arancione”. In questo periodo si avvicendarono al potere filo occidentali e filo russi. La struttura istituzionale mostrò segni crescenti di sofferenza. Ripercorriamo le vicende principali.
d.1. La presidenza Yushenko (2005 – 2010) fu contraddistinta da due tendenze costanti: l’acuirsi delle tensioni politiche ed economiche con la Russia, in particolare sulla questione della fornitura di gas russo all’Ucraina e del transito verso l’Europa occidentale e la crisi economica. Sul primo versante la Federazione Russa, in palese risposta al riallineamento politico annunciato dalla rivoluzione colorata, richiese che i prezzi di fornitura del gas all’Ucraina si allineassero a quelli di mercato: le resistenze della parte ucraina provocarono cinque anni di controversie e di tensioni, concluse con il catastrofico accordo sottoscritto dal Primo Ministro Tymoshenko nel 2009, accordo che portava il prezzo del gas per l’Ucraina a 450 dollari ogni 1.000 metri cubi (dai circa 50 precedenti). La crisi finanziaria si abbatté sul paese nel 2008, in parte in conseguenza dei più alti prezzi di accesso alle materie prime: il crollo della grivna, le difficoltà di accesso al credito, l’agonia di quasi tutte le strutture industriali si ripercossero velocemente sulla condizione delle famiglie: secondo un sondaggio del 2008 l’83% degli Ucraini dichiarava che il reddito era insufficiente all’alimentazione. Il disastro finanziario segnò la fine dell’esperienza politica della “rivoluzione arancione”.

2009: la crisi morde anche in Galizia. Su di un muro di Leopoli appare la scritta: “Yanukovich perdonaci”.
d.2. Uno dei primi atti del governo Yusehnko fu l’istituzione del “giorno della libertà”, una nuova festa nazionale fissata in corrispondenza dell’anniversario della rivoluzione arancione, a simboleggiare la natura definitiva della scelta politica veicolata dalla rivoluzione;
d.3. Nel novembre del 2007 il Governo ucraino lanciò una campagna di commemorazioni per il settantacinquesimo anniversario dell’ holodomor, la carestia del 1932 conseguita alle collettivizzazioni forzate staliniane: la manifestazione ebbe quale tema dominante la tesi secondo cui la carestia non ebbe solo finalità economiche, ma costituì un genocidio del popolo russo contro quello ucraino.
d.4. Nell’ agosto del 2008 la Georgia, utilizzando anche forniture militari ucraine ricevute dopo il 2004, intervenne militarmente nella regione autonoma dell’Ossezia Meridionale. La mossa del Presidente georgiano Shaakashvili e il successivo intervento russo provocarono contraccolpi anche in Ucraina, con la definitiva rottura fra il Primo Ministro Tymoshenko e il Presidente Yushenko. Il secondo venne accusato di peculato in relazione alla vendita di materiale militare, e la prima si sganciò dalla barca del Presidente che vistosamente stava affondando. Durante la crisi, peraltro, Yushenko aveva emesso decreti intesi a ostacolare il traffico russo nel porto di Sebastopoli, annunciando che l’affitto della base non sarebbe stato rinnovato alla sua scadenza.
d5. Il 19 dicembre 2008 Stati Uniti ed Ucraina firmarono una accordo di partnership militare, che prevedeva l’addestramento degli ufficiali Ucraini presso le sedi NATO e lo stabilimento di una rappresentanza degli Stati Uniti in Crimea.
d.6. Il 22 gennaio 2010, durante gli ultimi giorni di sua presidenza, Yushenko proclamò Stepan Bandera, discusso esponente dell’ultranazionalismo ucraino che organizzò un esercito collaborazionista durante la seconda guerra mondiale, “eroe nazionale”. Il decreto, estremamente controverso, venne annullato nel gennaio del 2011, dopo la vittoria elettorale di Yanukovich.
d.7. Il 2010 segnò un ritorno agli indirizzi politici dell’era Kuchma (la raccolta del consenso nel sud est come base di una politica di neutralità ed unità nazionale). La salita al potere di Yanukovich (7 febbraio 2010) si accompagnò ad un successo del Partito delle Regioni nelle elezioni locali, anche nel centro del paese, che si ripeté (anche se in misura meno netta) nelle consultazioni parlamentari del 28 ottobre 2012.
d.8. Pochi mesi dopo la vittoria elettorale di Yanukovich la Corte Costituzionale restituiva alla carica presidenziale i larghi poteri già detenuti fino al 2004. Sin dagli anni immediatamente successivi la “rivoluzione arancione” le comunità che detenevano la presidenza (gli occidentali durante il periodo di Yushenko e gli orientali durante quello di Yanukovich) avevano tentato di fare dichiarare incostituzionale per vizio procedurale la riforma del 2004, declaratoria che avrebbe rafforzato i poteri presidenziali. Il primo tentativo venne posto in atto da Yulia Timoshenko nel 2007: la Corte Costituzionale respinse però il gravame per irregolarità formali. Diverso esito ebbe il tentativo della maggioranza regionale al Consiglio Supremo nel 2010: il 1 ottobre 2010 la Corte dichiarò quindi l’illegittimità della riforma del 2004, in quanto la stessa era stata firmata da Kuchna senza preventivo parere della Corte Costituzionale. Questa decisione consegnò a Yanukovich i pieni poteri presidenziali di cui Kuchma aveva goduto durante il suo decennato. La decisione venne duramente contestata dall’opposizione e venne anche censurata in una nota della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa.
d.9 Nell’ ottobre 2010 Ucraina e Russia siglavano il Patto di Kharkov, con il quale l’Ucraina otteneva uno sconto di 100 dollari ogni mille metri cubi di fornitura di gas russo dietro cessione sino al 2042 della base si Sebastopoli (il cui affitto sarebbe scaduto nel 2017 secondo il trattato concluso da Kuchma nel 1997, citato nel precedente punto a.3). La procedura di approvazione del trattato da parte del Consiglio Supremo il 27 aprile 2010 venne conclusa fra accuse di violazione della Costituzione e di irregolarità procedurali da parte dell’opposizione.

21 aprile 2010: Alexei Miller per Gazprom e Yevhen Bakulin per Neftogaz firmano il Patto di Kharkov (alle spalle Dimitry Medvedev and Viktor Yanukovych)
d.10 Il 5 agosto 2011 la leader dell’opposizione, ex primo Ministro e candidata alla presidenza delle regioni Nord Occidentali Yulia Tymoshenko, imputata per malversazione in relazione all’accordo con la Russia sottoscritto nel 2009, avendo contravvenuto a diversi ordini restrittivi della Procura, venne arrestata. L’accusa di malversazione venne confermata dal Tribunale che l’11 ottobre 2011 la condannò a 7 anni di reclusione, sentenza confermata poi anche in appello (il 23 dicembre 2011) e dalla Corte Suprema (il 29 agosto 2012). Il caso sollevò un enorme clamore in Ucraina ed in Occidente, contribuendo all’ inasprirsi delle relazioni politiche;
d.11 Nel giugno luglio 2012 Polonia ed Ucraina ospitarono i campionati Europei di calcio: un evento immaginato nel 2005 ed assegnato alle due nazioni nel dicembre del 2006, nel clima seguito alla “rivoluzione arancione”. Con il mutare del clima politico l’evento si trasformò in una recriminazione per i mega impianti costruiti nel paese durante la recessione del 2008-09 e di tensione fra i Paesi europei occidentali ed il governo Ucraino sul caso Tymoshenko.
d12. Il 31 luglio 2012 il Consiglio Supremo approvò, in un clima di scontro al calor bianco con l’opposizione, la legge sui principi della politica linguistica statale che autorizzava le autorità regionali e locali a elevare a lingua ufficiale della regione o del distretto un idioma parlato da minoranze di consistenza superiore al 10% della popolazione regionale. In seguito alla legge 13 regioni elevarono il russo a lingua ufficiale. Tre distretti locali fecero lo stesso con Moldavo, Ungherese e Romeno.
d13. Il 21 novembre 2013 il Consiglio Supremo respinse tutte e sei le mozioni che avrebbero consentito all’ex primo ministro Yulia Tymoshensko di ricevere cure mediche all’estero, domanda questa che rappresentava una richiesta preliminare dell’Unione Europea per sottoscrivere il trattato di associazione. Lo stesso giorno un decreto del Governo ucraino sospese i preparativi per la firma del trattato di associazione; il Governo contro propose la creazione di una commissione trilaterale Ucraina – UE – Russia per risolvere le questioni commerciali pendenti. Il Primo Ministro Azarov sottolineò che la misura era stata adottata per prevenire gli effetti negativi, sull’economia ucraina, di una sottoscrizione dell’accordo, sottoscrizione già pianificata a Vilnius il 28 e 29 novembre successivi. L’adesione all’ Unione Europea, in ogni caso, non è stata mai una scelta pacifica nella pubblica opinione ucraina:
In conclusione i dieci anni di interludio seguiti all’uscita di scena di Kuchma videro il paese entrare in una logica irreversibile di contrapposizione sud est – nord ovest. Il presidente “arancione” Yushenko assunse decisioni propagandistiche che esacerbarono i rapporti fra le comunità senza risolvere nessuno dei problemi strutturali esistenti ed innescando la più grave crisi economica dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Grazie agli eccellenti rapporti intrattenuti dalla Russia con la Germania di Gerard Schreoder, Yushenko non riuscì a compiere passi sostanziali nell’avvicinamento alla costruzione europea e tutti i parametri economici del paese languirono ad abissale distanza da quelli dell’Europa occidentale. Yanukovich, al contrario, si mosse pragmaticamente, riuscendo con mezzi più o meno leciti a rinforzare la propria posizione fino a raggiungere una situazione simile a quella di Kuchma. Questo pragmatismo lo portò comunque troppo vicino a Mosca per la sensibilità ormai rinfocolata dei Galiziani, e ogni passo verso il rafforzamento del suo potere e la maggiore integrazione economica ad est contribuirono a farlo percepire dagli occidentali come “tiranno fedele a Mosca”. Nello stesso tempo, la sua debolezza, il suo atteggiamento conciliante, la sua attitudine all’ intrigo ed alla corruzione gli alienarono progressivamente anche le simpatie del sud est. Giunto infine alla resa dei conti, avrebbe potuto scegliere di trasformare l’Ucraina in una Grande Novorussia, stroncando con la forza le proteste, ma non seppe risolversi ad una rottura così profonda dell’ordine costituzionale. Il paese, comunque, nel novembre 2013, era già spaccato. Non volendo ricorrere alla forza, Yanukovich dovette subire quella altrui: l’Ucraina Unitaria si dissolse: non divenne una Grande Novorussia ma una Grande Galizia, e l’ Operazione Antiterrorsimo non si svolse a Leopoli sotto la sua Presidenza (sviluppo già chiaramente delineato nel febbraio 2013), ma a Donetsk sotto l’interim di Turchinov e con la Presidenza di Poroshenko.
e) Euromajdan: la nascita dell’Ucraina Nazionalista (22 novembre 2013 – 18 febbraio 2014). Non ripercorreremo giorno per giorno la cronaca degli eventi susseguitisi fra l’annuncio della mancata adesione all’ accordo di associazione all’Unione Europea e la dissoluzione dello stato unitario. Ci limiteremo ad esaminare la posizione assunta dai principali attori coinvolti:
e.1 l’opposizione. L’opposizione assunse quasi immediatamente atteggiamenti apertamente insurrezionali. Nella sua manifestazione popolare e “di piazza” non allentò mai la pressione sulle forze dell’ordine e sul governo. A livello istituzionale, da un lato si propose come contro potere dotato di una propria autonoma legittimità al di fuori delle istituzioni ufficiali dello Stato unitario, dall’ altro adottò una tattica negoziale spregiudicata, sedendosi al tavolo delle trattative, e approfittando dell’arrendevolezza di Yanukovich per concludere accordi (il 22 gennaio ed il 21 febbraio) mai rispettati, ma abilmente utilizzati per alzare continuamente la posta nelle tornate di trattative seguenti, dando ogni volta per acquisite le progressive concessioni del Presidente. La natura non istituzionale della protesta venne esplicitata immediatamente, come risulta da diverse dichiarazioni:
“O noi o loro. l’Ucraina deve insorgere. Abbiamo stabilito di creare il quartier generale in piazza Indipendenza. Facciamo appello ai partener occidentali di imporre sanzioni contro Yanukovich. Yanukovich non è più il nostro Presidente. Deve andarsene.” (Yatzenyk, 1 dicembre 2014)
“I nostri piani sono chiari: questa non è una manifestazione, non è un comizio, è una rivoluzione.” (Lutsenko, 1 dicembre 2014)
“Non accetterò accordi e decisioni che vanno contro gli interessi dell’Ucraina. La via d’uscita per il Paese sono solo le elezioni anticipate.” (Kitschko, 17 dicembre)
“Questa è la consegna per ciascuno di voi: non ce ne andremo dalla Piazza Maidan. Anzi, utilizzeremo ulteriori metodi di guerriglia e di blocco degli edifici amministrativi, non daremo pace e non faremo dormire l’attuale governo, creeremo un inferno per il governo che gli brucerà la terra sotto i piedi.” (Tyagnibok, 22 dicembre).
“Noi staremo sulla Piazza Indipendenza finché il governo non ascolterà la nostra voce, l’Ucraina dovrebbe diventare un unico Maidan.” (Turchinov, 22 dicembre)
“L’opposizione vuole niente meno che elezioni presidenziali anticipate.” (Klitsko, 19 gennaio)
“Dobbiamo iniziare il processo di formazione di organi del “governo del popolo”: il Parlamento, il Governo ed il Consiglio Municipale di Kiev. Dobbiamo raccogliere “milioni di firme tra gli ucraini.” (Tyagnibok, 19 gennaio)
“A causa del fatto che il regime di Yanukovich è ricorso alla violenza armata contro i manifestanti pacifici, incoraggieremo gli ucraini a prendere contatto con i punti di mobilitazione e a impegnarsi in unità di autodifesa, inviandoli nella capitale per difendere i loro diritti costituzionali.” (proclama del partito Svoboda, 20 gennaio)
“L’opposizione sta formando il proprio governo, è la decisione congiunta dei leader dell’opposizione e dell’ex Premier Julia Timoshenko” (Yatzenyk, 17 febbraio).
Il 24 gennaio l’opposizione riuscì ad occupare le amministrazioni locali in Galizia. Sebbene poco pubblicizzata, questa conquista fu uno snodo fondamentale della crisi, il vero atto di nascita dell’Ucraina Nazionalista, intesa come organizzazione politica avente una base territoriale sotto il suo diretto controllo. Nelle aree da loro controllate i Nazionalisti provvidero immediatamente a sopprimere le organizzazioni politiche in contrasto con l’ideologia fondante della nuova Ucraina galiziana: il Partito Comunista ed il Partito delle Regioni, le cui sedi vennero chiuse a forza.
La strategia di occupazione dei centri di potere venne messa in atto anche a Kiev, con l’occupazione di diversi edifici pubblici (fra cui il Municipio cittadino e diversi Ministeri). L’opposizione disponeva inoltre di formazioni paramilitari in grado di ingaggiare con successo le forze dell’ordine, e di colpirle in contesti di guerriglia urbana con armi rudimentali ma efficaci (fionde, spranghe, bottiglie incendiarie…). In un secondo momento, come testimoniato da diverse riprese, si dotarono di armi da fuoco, ricorrendo a tattiche belliche vere e proprie. Questa possibilità venne utilizzata con intelligenza, provocando ad arte la reazione delle forze dell’ordine e sfruttandola per alimentare l’escalation sia nel cotesto nazionale che in quello internazionale.
e2. Yanukovich ed il governo. Il Presidente Ucraino fino all’ultimo non capì che la natura del conflitto era profondamente diversa da quella del 2004. La sua strategia durante la crisi fu finalizzata al conseguimento di un accordo che conservasse l’integrità del patto costituzionale su cui si basava l’Ucraina Unitaria. Le misure di contrasto adottate, goffamente e senza alcuna risolutezza, erano viste dal Presidente semplicemente come leve negoziali finalizzate a propiziare la conclusione di un accordo a cui Yanukovich era certo si sarebbe alla fine giunti. Dopo i primi scontri seri, quelli del 30 novembre, il Presidente, tramite il proprio primo ministro Azarov, espresse “indignazione e preoccupazione” per la brutalità delle forze speciali. Dopo i fatti dell’11 dicembre (un tentativo assai moderato delle forze speciali che forzarono le barricate per sgombrare il municipio) Azarov annunciò “una indagine trasparente” per punire i responsabili. L’indagine poi avrebbe condotto all’ imputazione di sindaco e vicesindaco (che avevano contribuito alle operazioni di sgombero) per abuso d’ufficio. Per raggiungere l’intesa Yanukovich si dispose subito a notevoli concessioni. L’unico successo politico dei regionali in tutta la crisi, la legge sulla limitazione delle proteste approvata dalla Rada il 16 gennaio 2014 con grande fatica e fra mille polemiche, divenne subito oggetto di negoziazione il successivo 22 gennaio, in occasione del primo tentativo di accordo con l’opposizione. Nella trattativa del 22 gennaio Yanukovich si mostrò disponibile a cedere quasi tutta la linea: le sue proposte all’opposizione furono: revoca della legge del 16 gennaio, amnistia, formazione di un nuovo governo di unità nazionale a guida Yatzenuk, ritorno alla costituzione del 2004. L’opposizione in un promo tempo parve aderire a questo programma istituzionale, ma poi se ne distanziò giorno dopo giorno, quando apparve chiara la disponibilità di Yanukovich a concedere quanto offerto anche senza contropartite.
Comunque queste offerte furono ulteriormente incrementate con l’accordo costituzionale del 21 febbraio 2014. Viste le mutate condizioni rispetto al 2004, questa strategia di Unità e di accordo produsse risultati catastrofici. I filorussi nelle istituzioni rimasero sgomenti, e si persuasero che il Presidente mirava solo alla salvezza personale e alla conservazione di una posizione di potere dopo l’ascesa dell’opposizione: questa sensazione si mutò in panico nella nottata del 21 febbraio ed in una completa dissoluzione del sistema di potere unitario. I nazionalisti, dal canto loro, colsero la postura istituzionale del Presidente come un segnale di debolezza e come un incoraggiamento ad impadronirsi della capitale.
e3. I paesi occidentali. Nel mesi successivi alla rivolta del Majdan sono emersi diversi elementi che proverebbero il coinvolgimento dei governi occidentali nella promozione dei moti di febbraio. Il 3 febbraio 2015 Obama ha dichiarato in una intervista televisiva di avere “mediato un accordo per il trasferimento del potere in Ucraina”. Il 7 febbraio venne divulgata l’intercettazione di una conversazione telefonica dell’Assistente Segretario di Stato Victoria Nuland. Nonostante la conversazione sia passata alla storia per il brutale giudizio del diplomatico statunitense sull’ Unione Europea (il famoso “fuck the UE”) il vero interesse risiede nel palese ruolo di regista assunto dalla Nuland nello svolgersi della crisi. Il 9 febbraio sempre la Nuland dichiarò che gli Stati Uniti avevano investito 5 miliardi di dollari nella preparazione delle istituzioni politiche ucraine al cambio di regime. Al netto di queste prove indirette, comunque, il coinvolgimento dei diplomatici europei e statunitensi è dimostrato dalle cronache.
La Nuland visitò Kiev il 5 dicembre e l’11 dicembre (in questa circostanza fu protagonista di una distribuzione di generi alimentari ai manifestanti). Il senatore Mc Cain e il suo collega democratico Murphy arringarono le folle del Maidan il 15 dicembre, incontrando poi i capi dell’opposizione a Monaco il 1 febbraio. La baronessa Ashton, capo della diplomazia dell’Unione Europea, visitò Kiev solidarizzando con la piazza il 28 gennaio (assieme a 12 europarlamentari) ed il 5 febbraio. Questa continua presenza dei diplomatici occidentali, non solo nella capitale in veste di mediatori, ma fisicamente nelle piazze e nelle strade occupate dai nazionalisti, fornì un propellente indispensabile alle proteste, tanto più che venne accompagnata da condanne di durezza crescente nei confronti del governo Azarov e del Presidente. La strategia occidentale creava un ciclo autocatalitico: la presenza dei diplomatici occidentali rinfocolava la protesta, che provocava la reazione della polizia, che a sua volta giustificava la condanna delle istituzioni atlantiche.
Vediamo alcune prese di posizione:
“Il Governo ucraino deve soddisfare le aspettative della gente o deluderle e rischiare di fare sprofondare il paese nel caos e nella violenza.” (Nuland, 6 dicembre)
“L’Ucraina non ha altra soluzione che entrare in Europa, perché questa è scelta di principi e valori.” (Shaakashvili, 7 dicembre)
“Esprimiamo insoddisfazione per il modo con cui le autorità ucraine hanno risposto alle proteste pacifiche in piazza dell’Indipendenza a Kiev, essendo impegnate forze speciali armate di ruspe e manganelli, il tutto invece rispettare i diritti democratici e la dignità umana. Questa risposta delle autorità è inaccettabile, e non ha nulla a che fare con la democrazia.” (Kerry, 12 dicembre)
“L’Ucraina farà un’Europa migliore e l’Europa renderà migliore l’Ucraina. Il mondo libero è con voi, l’America è con voi ed io sono con voi.” (Mc Cain, 15 dicembre)
“L’Europa è aperta per l’Ucraina, ma non per l’attuale governo.” (Grybauskaitė, Presidente della Lituania, 20 dicembre)
“Sono particolarmente scioccata per le violenze e le torture subite da Dmitry Bulatov e per i tentativi di arrestarlo mentre giaceva ricoverato su un letto d’ospedale. E’ completamente inaccettabile e tutto ciò deve essere fermato immediatamente.” (Ashton, 1 febbraio)
“L’ UE ha imposto sanzioni contro l’Ucraina e l’embargo su esportazione di armi e attrezzature per la polizia.” (Ashton, 20 febbraio)
e4. La Russia, i russo ucraini, la maggioranza parlamentare. Euromaidan si tramutò, per la Russia, in una catastrofe politica e comunicativa. I sentimenti che la dirigenza russa in generale e di Putin in particolare nutrivano per Yanukovich, mano a mano che la sua politica attendista e dialogante si sviluppava, mutarono velocemente dalla perplessità alla delusione, al disprezzo. I Russi constatavano che quello che consideravano (erroneamente) il garante dei loro interessi stava cercando ad ogni costo una intesa con forze loro nemiche. Nello stesso tempo, la Russia si trovò in affanno sotto il profilo comunicativo e si rese conto di non avere gli strumenti propagandistici per contrastare le spinte occidentali. L’unica mossa russa per pilotare la crisi in proprio favore fu l’annuncio, il 15 dicembre, di un acquisto di titoli di Stato ucraini per 15 miliardi di dollari, ed uno sconto incondizionato di 100 dollari ogni 1.000 metri cubi sul prezzo del gas concesso a Yanukovich. Si trattava, palesemente, di una apertura di credito enorme, che superava di diversi ordini di grandezza qualsiasi iniziativa intrapresa dai governi occidentali. Tuttavia, anche questa sostanziosa dimostrazione di sostegno venne presentata in modo assai infelice, tanto che la propaganda avversaria ebbe buon gioco nel sostenere che Yanukovich stava “vendendo” il paese ai Russi.
Identica, anche se molto più tragica, la posizione delle comunità russo ucraine e del sud est, le forze che non erano ancora Novorussia, e che tuttavia percepivano di avere investito la propria fiducia in una rappresentanza politica che insisteva nel difendere una prospettiva unitaria ormai sfumata. Ci riferiamo agli uomini di orientamento filorusso che militavano nelle istituzioni, nelle amministrazioni locali, nei reparti antisommossa, nell’esercito, oltre che ai semplici cittadini. I continui annunci di Azarov e di Yanukovich che sconfessavano le iniziative della polizia antisommossa (azioni da loro stessi evidentemente ordinate), la decisione di mantenere regole di ingaggio moderate nonostante la natura sempre più aggressiva e insurrezionale delle manifestazionim (a spese dell’incolumità fisica degli agenti), la natura palesemente improvvisata di qualsiasi contromanifestazione organizzata dalle forze di maggioranza, le rese e le concessioni senza contropartite di Yanukovich, instillarono progressivamente una sensazione di sconforto, di smarrimento e di abbandono nelle comunità del sud est, che alla fine si chiamarono fuori da una contesa che riguardava ormai due orizzonti politici (Ucraina Nazionalista ed Ucraina Unitaria) a loro ugualmente estranei. Il disgusto per il comportamento del Presidente, che pareva seguire la propria linea politica e la propria convenienza personale disinteressandosi degli uomini che si assumevano resposabilità per la causa del sud est provocò disaffezione.
Simile lo stato d’animo della maggioranza parlamentare. Il 16 gennaio, con grande fatica e solo grazie ad una contestata votazione ad alzata di mano, la Rada approvò la legge sulla limitazione delle proteste, su cui la propaganda dell’opposizione costruì il mito del “giovedì nero” e delle “leggi dittatoriali”. Fu l’ultima prova della maggioranza parlamentare. Il 28 gennaio la maggioranza fu costretta da Yanukovich a piegarsi revocando la normativa approvata il 16 dai deputati della maggioranza con un cospicuo investimento del capitale politico personale. Lo stesso giorno il Presidente sacrificò il Primo Ministro, accettandone le dimissioni. Il corpo politico del Partito delle Regioni non resse alla prova. Alle votazioni del 28 gennaio già si presentò spaccato: solo metà presenziò alla camera per abolire, insieme alle opposizioni, il testo approvato 12 giorni prima. L’azione dimostrativa del 18 febbraio(di cui daremo conto), minacciando direttamente l’incolumità dei parlamentari, produsse infine il collasso della maggioranza.
In conclusione è importante comprendere le dinamiche che governarono gli eventi dal novembre 2013 alla dissoluzione dell’Ucraina Unitaria. Sin dagli esordi il fronte nazionalista fece mostra di puntare ad una rottura definitiva con il precedente ventennio. L’occupazione di fatto della Galizia da parte dell’opposizione nel novembre – dicembre e la costituzione di un contropotere politico unificato crearono nel corpo dell’Ucraina un nuovo stato, con dirigenza e controllo di una parte del territorio; una nazione portatrice di valori che confliggevano apertamente con la neutralità ed il multiculturalismo della creatura politica di Kuchma. Il fronte filorusso si presentava molto meno pronto all’appuntamento della storia. Nominalmente i filorussi detenessero tutte le leve del potere, questo rappresentava piuttosto un ostacolo politico che una risorsa. Il grande progetto di unità che trovava la propria espressione nel Partito delle Regioni non era, infatti, separatista: al contrario. Le comunità russe e russofone del sudest scoprirono con rammarico nel gennaio febbraio 2014 di avere investito tutto il proprio capitale politico ed il proprio peso economico sul progetto unitario, e si trovarono prigioniere di questo investimento. Le realtà politiche separatiste alla fine del 2013 nel sud est erano assolutamente residuali: chi faceva politica in Crimea, a Kharkov e nel Donbass aveva come unico obiettivo quello di andare a Kiev. I dirigenti del Partito delle Regioni erano padroni dello Stato e guardavano con scarso interesse al modello della Russia, un paese in cui i loro colleghi erano costretti ad una notevole disciplina istituzionale. Yanukovich e il Partito delle Regioni non compresero il mutare degli eventi e si disposero a giocare di nuovo nel 2013 la partita che avevano già disputato nel 2004, alla ricerca di un accordo costituzionale che potesse di nuovo consentire il trapasso pacifico del potere all’ opposizione salvaguardando l’unità dello stato e consentendo ai veri portatori degli interessi nazionali un ritorno sul medio termine. Purtroppo, nel decennio trascorso, il panorama politico nazionale ed internazionale era irrimediabilmente mutato. Le classi dirigenti che avevano salvato l’Ucraina Unitaria nel 2004 non presero atto tempestivamente che la scommessa unitaria era persa, e che l’unico modo per fare valere le ragioni dei propri rappresentati era creare la Nuova Russia, una realtà che già esisteva nella percezione di tanti residenti del sud est, disgustati dalla violenza degli occidentali e dei Galiziani, e che tuttavia non trovava il modo di sostanziarsi un progetto politico, in parte proprio per colpa di Yanukovich e dei Regionali, stretti in un abbraccio mortale alle istituzioni morenti dell’Ucraina Unitaria.
Del resto, perché avrebbero dovuto fare diversamente? All’Ucraina Yanukovich e la sua corte, i politici regionali e gli oligarchi del sud est come Akhmetov e Tihipko dovevano tutto: il potere, la ricchezza ed una possibilità di manovra sconosciuta ai politici ed ai magnati russi, orami disciplinati dalla mano di ferro di Putin. I russo ucraini avevano dato tanto all’ Ucraina Unitaria e l’Ucraina Unitaria aveva costituito a loro favore una invidiabile rendita di posizione a cui non seppero e non vollero rinunciare tempestivamente. Questa dissonanza, presto percepita dai rappresentati come un tradimento, provocò una catastrofe politica che consegnò ai Galiziani i centri del potere, facendo nascere l’Ucraina Nazionalista. Solo in seguito, dissolto il Partito delle Regioni, espatriato Yanukovich, sotto lo shock dato dallo spettacolo della violenta affermazione del nuovo potere nazionalista, i centri periferici del sud est animarono delle realtà politiche antagoniste: la Crimea Indipendente e le Repubbliche Popolari di Donestsk e Lugansk. Si trattò, comunque, di una reazione tardiva, che il potere nazionalista, dopo essersi consolidato, riuscì in una certa misura a contenere.
f) La dissoluzione dell’Ucraina Unitaria.
f.1. L’ Assalto al Parlamento. Il 18 febbraio le forze nazionaliste erano ormai pronte per l’assalto finale. Avevano preso il controllo di tutta l’Ucraina nord occidentale e avevano fatto affluire nella capitale forze sufficienti ad occupare stabilmente un nucleo di edifici amministrativi di Kiev. Se esaminiamo la mappa che indica la provenienza geografica delle vittime sul Maidan (manifestanti e forze di polizia) appare chiaramente che già nelle giornate di febbraio era in atto una vera e propria guerra civile fra Nord Ovest e Sud Est del paese.
Il 18 febbraio era calendarizzata al Consiglio Supremo la discussione sulla riforma costituzionale, e i manifestanti decisero di muovere verso il parlamento per “liberarlo” con una “offensiva pacifica”. Gli scontri con le forze dell’ordine degenerarono presto in un conflitto a fuoco e per la prima volta il Consiglio Supremo si trovò nel bel mezzo della guerriglia urbana. Ecco una mappa degli scontri, in cui si registrarono 16 vittime fra i manifestanti e 10 fra le forze dell’ordine:
Negli scontri i dimostranti diedero alle fiamme la sede del Partito delle Regioni in Uliza Lispkaja (a pochi passi dal Parlamento): due gli impiegati morti nell’ incendio.
Nella notte fra il 18 ed il 19 si sparse la voce che migliaia di armi da fuoco erano state sottratte dagli arsenali a Leopoli e venivano inviate al “fronte” nella capitale.
La notte del 18 febbraio fu l’ultima in cui una azione di forza da parte del Governo avrebbe potuto ristabilire la situazione. Yanukovich, però, decise di annullare gli ordini di sgombrare i dimostranti e di riprendere le trattative, consegnando di fatto il controllo del Parlamento ai Nazionalisti.
Il 19 febbraio fu una giornata interlocutoria: i servizi di sicurezza nazionali (SBU) annunciarono l’inizio di una “operazione anti terrorismo” (ATO) intesa a riportare sotto il controllo del Governo centrale le regioni secessioniste del nord ovest. Tuttavia il passare del tempo denunciava in maniera sempre più chiara la decisione del Presidente di non intraprendere iniziative risolutive.
Il 20 febbraio gli scontri ripresero nuovamente, mentre il Consiglio Supremo era riunito. Presto il livello del confronto si innalzò fino alla guerra. I cecchini incominciarono a mietere decine di vittime sia fra le fila della polizia che in quelle dei dimostranti (non è nostra intenzione affrontare in questa sede le varie teorie sulla provenienza dei tiratori, ci limitiamo a citare una recente inchiesta della BBC su quei giorni) mentre le forze insurrezionali facevano prigionieri contingenti di polizia.
In questo contesto si produsse il collasso della maggioranza parlamentare. A poche centinaia di metri dalla prima linea, con ben presente il ricordo dell’incendio della sede del Partito delle Regioni, che aveva dimostrato come la loro incolumità non fosse garantita, i Parlamentari della maggioranza iniziarono a mostrare segni di un crollo psicologico imminente. Si verificò la defezione di una ventina di rappresentanti regionali che votarono con l’opposizione una mozione che richiedeva il ritiro delle forze speciali e delle forze di sicurezza dispiegate in città e la sospensione della “operazione antiterrorismo” lanciata dalla SBU. Si creò quindi una nuova, esigua, maggioranza (l’esito del voto fu 238 favorevoli, 233 contrari) con la quale il Parlamento chiedeva la rimozione dell’unica barriera che si frapponeva fra l’edificio che lo ospitava e le forze nazionaliste. La maggioranza parlamentare non aveva retto alla prova.
f.2. L’accordo costituzionale del 21 febbraio 2014. La deliberazione del Consiglio Supremo del 20 febbraio non era vincolante per le forze dell’ordine, non essendo stata firmata da Yanukovich e dal Presidente della camera Ryback. Ciò che la rese effettiva fu la sottoscrizione, da parte del Presidente e delle forze di opposizione, di un Accordo sulla risoluzione della crisi politica in Ucraina ispirato al precedente conforme del 2004. L’accordo venne sottoscritto da Yanukovich in qualità di Presidente, da Klitschko (del partito Udar), da Yatsenyuk (del paritito Bat’kivščyna) e da Tyagnibok (del partito Svoboda). Assistitettero, come garanti, il Ministro degli Esteri tedesco Steinmeier, quello polacco Sikorski e quello francese Fournier. Il rappresentante delle Federazione Russa Lukin, che aveva partecipato alle trattative, rifiutò di sottoscrivere l’accordo “non vedendo le condizioni per la sua attuazione”.
Ecco il testo dell’accordo (in sei punti):
Preoccupati per la tragica perdita di vite umane in Ucraina, nel tentativo di fermare immediatamente lo spargimento di sangue, risoluti ad aprire una strada alla soluzione politica della crisi, noi firmatari concordiamo quanto segue:
- Entro 48 ore alla firma dell’accordo verrà adottata, firmata e promulgata una legge speciale che ripristinerà la Costituzione del 2004, con le modifiche apportate sino a quel momento. I firmatari dichiarano la loro intenzione di formare una coalizione e quindi un Governo di unità nazionale entro i 10 giorni successivi;
- Verrà iniziata immediatamente e portata a termine entro il settembre 2014 una riforma costituzionale che bilanci i poteri del Presidente e del Governo;
- Le elezioni presidenziali si terranno subito dopo l’adozione della nuova Costituzione, e non oltre il dicembre 2014. Sarà adottata una nuova legge elettorale, sarà riformata la composizione della Commissione Elettorale Centrale su base proporzionale e in conformità con le regole dell’ OSCE e della Commissione di Venezia;
- I recenti atti di violenza saranno oggetto di inchiesta sotto la vigilanza delle autorità, dell’opposizione e del Consiglio d’Europa;
- Le autorità non imporranno lo stato di emergenza. Governo ed opposizione compiranno seri sforzi per assicurare la normalizzazione della vita nelle città e nei paesi rilasciando le sedi della pubblica amministrazione e gli edifici pubblici e liberando strade, parchi e piazze. Le armi illegali dovranno essere consegnate entro 24 ore dall’ entrata in vigore della legge speciale di cui al punto 1). Dopo questo periodo tutti i casi di porto d’armi abusivo saranno soggetti alla legge penale del paese. Le forze di governo ed opposizione abbandoneranno le logiche di contrapposizione. Il governo userà le forze di sicurezza solo per la difesa fisica dei luoghi pubblici;
- I ministri degli esteri di Francia, Germania, Polonia e il rappresentante speciale della Federazione Russa invocano una immediata cessazione della violenza e del confronto.
Se confrontiamo la crisi del 2004 e quella del 2014 seguendo punto per punto l’esposizione proposta (si veda il precedente punto c) troviamo un completo parallelismo in tutti i dettagli: c1. Intervento dell’Unione Europea; c.2 Tentativo dell’opposizione di costituire una legalità alternativa; c.3 Defezione di alcuni parlamentari regionali; c4. Costituzione di un comitato di mediatori internazionali; c5. Contromanifestazioni nel sud est; c6. Delibera del Consiglio Supremo a favore dell’opposizione; c7. Accordo dei mediatori internazionali; c8. Resistenze da parte dei dimostranti alla soluzione negoziale; c9. Riforma costituzionale. Nell’intenzione di Yanukovich il processo politico del 21 febbraio avrebbe dovuto consentire un trapasso dei poteri nella salvaguardia del sistema complessivo e dell’assetto costituzionale.
Come sappiamo, ciò non avvenne. Oltre alle motivazioni già illustrate (sub d) occorre tenere conto del fatto che la tornata di trattative del 2004 si era svolta fra tre soggetti, in presenza di un mediatore (il Presidente Uscente Kuchma) che le parti consideravano più o meno terzo. Viceversa, nonostante gli sforzi, nel 2014 Yanukovich non riuscì ad accreditarsi come mediatore, ed i suoi tentativi in tal senso ottennero solo il risultato di provocare lo sbandamento di chi lo sosteneva. Inoltre, a differenza dell’8 dicembre 2004, il 21 febbraio 2014 il bilancio di morte e distruzione era inoltre già tale da creare una frattura insanabile ed un baratro psicologico incolmabile fra le parti.
f.3. La dissoluzione dello Stato Unitario. La caduta di Kiev. La notizia dell’ avvenuto accordo gettò nello sgomento le forze dell’ordine, i funzionari ministeriali e la pubblica amministrazione che avevano gestito la repressione della rivolta nei mesi precedenti, oltre che i militanti del Partito delle Regioni e del Partito Comunista e i deputati che ormai si riunivano in una zona di guerra. Nel pomeriggio del 21 febbraio 2014, in poche ore, l’Ucraina Unitaria si dissolse. Tutti i militari e tutti i corpi delle forze di sicurezza rientrarono nelle caserme, peraltro obbedendo alla deliberazione del Consiglio supremo del giorno precedente. Una inchiesta del New York Times fa luce su questi momenti (pur equivocandone totalmente il significato):
Un ufficiale dei corpi di sicurezza racconta che: “Il Ministro era scomparso, e nessuno rispondeva alle telefonate.”. Alla fine venne ricevuto da un ufficiale di medio rango che gli disse di andarsene perché: “Tutti i capi stavano scappando. Non mi venne ordinato che ce ne andassimo. Mi venne semplicemente detto che io e i miei uomini avremmo potuto andarcene se volevamo.”. Aleksander Khodakovsky, che in febbraio comandava una unità d’elite delle forze speciali Alfa, e ora si trova a capo della Brigata Vostok dell’Esercito Novorusso racconta: “Iniziammo a capire che non ci sarebbe più stato un governo centrale, che tutto stava cadendo a pezzi. Capimmo che tutte le mediazioni degli europei non avevano sortito nessun risultato.”. Andry Tereschenko, un comandante del Berkut di Donetsk, racconta che il 18 febbraio 16 dei suoi uomini erano stati uccisi, e il diffondersi della voce che stavano arrivando da Leopoli migliaia di armi da fuoco prelevate nei depositi dell’esercito li gettò nel terrore: “Era già una insurrezione armata, e sarebbe diventata anche peggio. Capimmo che tutte quelle armi sarebbero state portate a Kiev.”. Racconta il Ministro degli Esteri Polacco Sikorski, che aveva partecipato alla firma dell’accordo: “Fu incredibile. Tre quarti d’ora dopo la firma, dopo qualche preghiera, uscimmo dall’edificio e, con noi, uscì tutta la polizia antisommossa. Non solo dalla residenza presidenziale, ma da tutti gli edifici governativi.”.
Non fu nemmeno necessario che i manifestanti respingessero i blandi inviti dei loro leader a sospendere momentaneamente i combattimenti (il che, comunque, avvenne già verso le tre del pomeriggio del 21, quando Yarosh e la folla riunita sul Maidan rifiutarono la smobilitazione e annunciarono che la lotta sarebbe continuata fino alla rimozione di Yanukovich, messaggio immediatamente raccolto dai tre firmatari Yatzenuk, Tyagnibok e Klitschko). Raggiunta la residenza presidenziale nei sobborghi di Kiev, Yanukovich si rese conto del fatto che fra lui e le compagnie dell’Autodifesa del Maidan e di Svoboda, armate fino ai denti, non era rimasto nemmeno un cordone di polizia. Dovette quindi partire per Kharkov con la massima urgenza per mettersi in salvo. Poche ore dopo, la 31ma compagnia della Autodifesa del Maidan di Leopoli irrompeva nella residenza presidenziale. Le milizie nazionaliste dilagarono. Ricorda Andrj Paryby, il “Comandante del Maidan” (uomo che ebbe peraltro un ruolo di primo piano anche nei fatti di Odessa del 2 maggio 2014): “Nel primo mattino del 22 febbraio l’Autodifesa del Maidan prese il pieno controllo del quartiere governativo. La settima compagnia occupò il Consiglio Supremo con una divisione di Settore Destro. Il Consiglio dei Ministri venne presidiato. L’amministrazione presidenziale venne occupata dalle compagnie diciannovesima e terza. La quindicesima occupò il Ministero degli Interni.” Così come il Regno d’Italia l’8 settembre 1943, l’Ucraina Unitaria svanì nel giro di una serata. La scena era pronta per l’ultimo atto.
f.4 Le votazioni del 21 febbraio. Nel pomeriggio del 21 febbraio, mentre le forze di polizia iniziavano a smobilitare, il Consiglio Supremo si riunì per iniziare a porre in atto gli accordi che, nello stesso momento, Yanukovich ed i capi dell’opposizione stavano sottoscrivendo. Poco prima delle cinque di pomeriggio la camera votò per il ripristino della costituzione del 2004 con una maggioranza di 386 voti favorevoli e nessun contrario. Illustrando la sentenza della Corte Costituzionale del 2010, che aveva annullato la riforma del 2004 (al precedente punto d.8), accennammo che i motivi dell’annullamento risiedevano in un vizio formale. E’ il momento di spiegare il problema più in dettaglio. La procedura di emendamento della Costituzione è stabilita dal titolo XIII della carta, che prevede le modalità di presentazione delle mozioni e le maggioranze richieste (diverse a seconda del titolo che si intende emendare). Stabilite le maggioranze, l’art. 159 della Costituzione ucraina afferma poi che le procedure di voto al Consiglio Supremo devono avvenire dopo avere ottenuto un parere di conformità dalla Corte Costituzionale. Ovviamente ciò non era stato possibile vista la procedura di emergenza utilizzata nel 2004 (la legge venne discussa, approvata, firmata seduta stante dal Presidente Kuchma e dal Presidente della Camera e promulgata senza alcun parere della Corte Costituzionale). Per lo stesso motivo anche lo stesso atto del 2014 era illegittimo per vizio procedurale. L’approvazione della modifica venne comunque letta da tutti coma una prima attuazione degli accordi: dopo il voto il Presidente del Consiglio Supremo Rybak si complimentò con il Parlamento e molti membri intonarono l’inno nazionale.
Intorno alle sei iniziarono a diffondersi le voci secondo cui le milizie nazionaliste stavano occupando progressivamente tutti gli edifici amministrativi. Nello stesso tempo 332 membri del Consiglio Supremo votarono per destituire il Ministro degli interni Zakharchenko. Stante la mancata sottoscrizione da parte del Presidente della riforma costituzionale (peraltro adottata con vizio di forma) e la sua non vigenza, considerando il fatto che la Costituzione del 1996 non prevedeva il diritto della Camera di destituire i Ministri attraverso voti di sfiducia individuali, anche questo atto deve considerarsi necessariamente illegittimo. La seduta si chiuse con la dichiarazione di abbandono del Partito delle Regioni da parte di una trentina di rappresentanti. Nonostante apparentemente l’assemblea si fosse svolta in conformità con gli accordi istituzionali raggiunti, nella sostanza il quadro era ormai saltato, e il Parlamento si muoveva in un contesto estraneo alla legittimità costituzionale.
f.5. Le votazioni del 22 febbraio. Alla riapertura dei lavori, nella tarda mattinata 22 febbraio, il Consiglio Supremo si trovava fisicamente occupato dalle forze nazionaliste. Questa situazione è documentata non solo dalla dichiarazione di Paruby, anche da cospicua documentazione fotografica.
Esistono anche testimonianze di violenze fisiche ed intimidazioni ai danni di deputati della fazione regionale e comunista, come ad esempio Vitalij Grushevij e Igor Kaletnik.
Non vi è certezza di quanti parlamentari parteciparono ai lavori. In un primo momento se ne registrarono 248 (la vecchia opposizione più i “transfughi” del giorno precedente). In seguito pare si aggiungesse “una novantina” di deputati regionali. Circa centoventi parlamentari di opposizione non parteciparono più ai lavori all’assemblea sino al suo scioglimento, mentre la maggioranza formatasi il 20 febbraio gestì il potere fino a maggio. I lavori parlamentari risultano da elementi assai incerti, ed è assai arduo ricostruire l’accaduto nel dettaglio, in ogni caso alcuni fatti paiono acclarati. Come primo atto dell’assemblea il Vicepresidente lesse la lettera di dimissioni del Presidente Rybak. In seguito Yanukovich sostenne che il Presidente fosse stato indotto alle dimissioni con un attentato e minacce, informazione che l’interessato smentì. La sessione vide l’Assemblea esprimersi su alcuni punti importanti:
- Le dimissioni del Presidente Rybak e del Vicepresidente Kaletnik (approvate con 326 voti favorevoli);
- L’elezione del nuovo Presidente della Rada. Turchinov pronunciò immediatamente una dichiarazione di assunzione di “pieni poteri” da parte del Consiglio Supremo: “L’unico corpo istituzionale legittimo rimasto è il Consiglio Supremo, e in questa veste votiamo oggi. I compiti principali oggi sono: il voto per il nuovo Presidente dell’Assemblea, per il Primo Ministro e per il Ministro degli Interni.” e quindi venne eletto Presidente con mozione approvata con 288 voti favorevoli;
- La nomina di un nuovo Ministro degli Interni della persona di Arsen Avakov;
- Una dichiarazione di sfiducia nei confronti del Procuratore Generale Pshonka (approvata con 247 voti);
- Una dichiarazione con cui si affermava che Yanukovich ”ha rinunciato in maniera incostituzionale all’esercizio dei poteri costituzionali, non adempiendo ai suoi obblighi presidenziali” e si indicevano elezioni presidenziali per il 25 maggio 2014. Il neoeletto Presidente dell’Assemblea presentava la votazione con la seguente premessa: “Mi è impossibile reperire telefonicamente Viktor Yanukovich. In presenza dei deputati del popolo ha parlato con lui Arseniy Yatzenyk, il quale gli ha suggerito di scrivere immediatamente una lettera di dimissioni, e lui ha accettato la proposta. Ma dopo avere accettato, ha smentito questa notizia. In particolare il suo servizio stampa ha negato che lui avesse registrato il video di dimissioni.” A favore della decisione a quanto pare votarono 328 deputati;
- Una risoluzione che consentiva il rilascio immediato di Yulia Timoshenko;
Formalmente, tutte le decisioni del 22 febbraio (con la sola, possibile, eccezione della sostituzione del Presidente dell’Assemblea) sono illegittime per due ordini di motivi: tecnici e di vizio nella formazione della volontà dell’Assemblea. Vediamoli nel dettaglio.
Motivi tecnici. La destituzione del Ministro dell’Interno, la destituzione del Procuratore Generale (art. 122) e la Grazia (art. 105 n. 27) spettavano, secondo la Costituzione del 1996, al Presidente. Dovendosi ritenere, per i motivi illustrati ove abbiamo esaminato l’invalidità delle deliberazioni del 20 febbraio (punto f.4), che la modifica Costituzionale non fosse né valida né efficace tale inefficacia si ripercuote sugli atti successivi compiuti in violazione del testo del ’96.
La rimozione di Yanukovich merita un esame più approfondito. Su questo punto la questione della Costituzione vigente non influenza il giudizio, visto che le modifiche del 2004 non avevano variato la casistica di cessazione dei poteri presidenziali. L’articolo 108 della Costituzione stabiliva dunque che “il Presidente dell’Ucraina esercita i propri poteri sino all’ avvenuta assunzione dell’ufficio da parte del suo successore. L’autorità del Presidente dell’Ucraina è soggetta a cessazione in caso di: 1) dimissioni; 2) incapacità all’esercizio dell’Autorità Presidenziale per motivi di salute; 3) rimozione dall’incarico con procedura di messa in stato di accusa; 4) morte.”. Non essendovi dubbio sul fatto che Yanukovich non sia morto, non si sia dimesso, e non fosse malato al momento della votazione, resta da esaminare solo il caso della messa in stato di accusa, disciplinato dall’ art. 111 della Costituzione: “Il Presidente dell’Ucraina può essere destituito dalle sue funzioni in esito di una procedura di messa in stato d’accusa se commette tradimento o altri crimini. La mozione di destituzione del Presidente dell’Ucraina con procedura di messa in stato di accusa deve essere promossa dalla maggioranza dei membri del Consiglio Supremo dell’Ucraina. Il Consiglio Supremo dell’Ucraina deve istituire una speciale Commissione Investigativa, composta di un Procuratore all’ uopo designato e da ispettori che conducono l’indagine. Le conclusioni e le proposte della Commissione Investigativa devono essere illustrate in seduta del Consiglio Supremo dell’Ucraina. Sulla base delle prove assunte il Consiglio Supremo, con una maggioranza di almeno due terzi, adotta la decisione di porre il Presidente dell’Ucraina in stato di accusa. La decisione di destituire il Presidente dell’Ucraina dal suo ufficio in conseguenza della procedura di messa in stato di accusa deve essere adottata dal Consiglio Supremo con una maggioranza di almeno tre quarti dei suoi membri, dopo che il caso è stato esaminato dalla Corte Costituzionale dell’Ucraina, dopo che è stato fornito il suo giudizio sulla corretta osservazione della procedura costituzionale di indagine e sul caso oggetto della messa in stato di accusa, e dopo che è stato assunto il giudizio della Corte Suprema sulla effettiva natura criminale o di tradimento delle circostanze contestate al Presidente dell’Ucraina.”
Ora, confrontando questa procedura con quella posta in atto dal Consiglio Supremo il 22 febbraio, dobbiamo rilevare che:
- Il Presidente può essere destituito solo per avere commesso tradimento o un crimine. Nessun tradimento né crimine è stato formalmente contestato in Assemblea, salvo il fatto di “non avere adempiuto agli obblighi presidenziali” il che di certo non è tradimento nè crimine;
- Il Parlamento (salvo quanto più oltre specificato) ha formato una maggioranza semplice che avrebbe potuto incardinare validamente la procedura di messa in stato di accusa;
- Non è stata creata alcuna Commissione Investigativa, né nominato un Procuratore o condotte indagini;
- Non sono state presentate le conclusioni della Commissione e non si è dato luogo al voto richiesto con la maggioranza di due terzi;
- Il caso non è stato sottoposto per parere alla Corte Costituzionale ed alla Corte Suprema;
- Non è stato tenuto un voto conclusivo. In ogni caso, il voto espresso non ha raggiunto la maggioranza richiesta. Sempre fatti salvi i vizi nella formazione e nella raccolta della volontà dell’assemblea (che si illustreranno), la mozione ha raccolto 328 voti, mentre i tre quarti di 450 è 338. Sotto un profilo giuridico la mozione di destituzione doveva considerarsi respinta.
Non sussiste il minimo dubbio che la procedura di destituzione del Presidente messa in atto il 22 febbraio sia stata illegittima. Prima di illustrare i vizi nella formazione del consenso, intendiamo esaminare brevemente i tentativi di interpretazione conservativa del voto proposti dai nazionalisti.
Si è detto che Yanukovich “non è stato destituito” ma “ha rinunciato ai poteri” essendosi allontanato dalla propria residenza. Inoltre è stato sostenuto che Yunukovich avesse “tradito” non avendo sottoscritto la modifica costituzionale prevista nell’ accordo istituzionale del 21 febbraio 2014 e votata dal Consiglio Suopremo il pomeriggio del medesimo giorno.
Entrambe le argomentazioni sono pretestuose. Il Presidente non “rinunciò ai propri poteri”, semplicemente fuggì, visto che già la sua persona era inseguita dagli stessi uomini dell’Autodifesa del Maidan che rispondevano (anche) agli ordini di Turchinov, il quale, il giorno appresso, sollevò in Assemblea questa puerile accusa. E’ noto che già nella mattina del 22 febbraio drappelli armati occuparono la residenza presidenziale abbandonata poche ore prima. La fuga di Yanukovich venne raccontata da un testimone di eccezione, il Presidente Russo Putin, in occasione dell’incontro tenutosi a Valdai il 24 ottobre 2014- Ecco cosa disse: “Sappiamo tutti cosa è successo a Kiev. “Nei giorni successivi, nonostante le nostre conversazioni telefoniche, nonostante la firma dei ministri degli esteri, appena Yanukovich ha lasciato Kiev, la sua amministrazione è stata occupata con la forza e con essa gli uffici governativi. Lo stesso giorno hanno sparato alla scorta del Procuratore Generale dell’ Ucraiana, ferendo uno degli uomini della sicurezza. Yanukovich mi ha chiamato e mi ha detto che gli sarebbe piaciuto incontrarmi per un colloquio. Ho accettato. Abbiamo deciso di incontrarci a Rostov perché era vicino e lui non voleva allontanarsi troppo. Ero già pronto a prendere l’aereo, quando è venuto fuori che lui non poteva nemmeno arrivare li. Stavano già iniziando a usare la violenza contro di lui, a tenerlo sotto tiro. Lui e i suoi collaboratori non sapevano nemmeno esattamente dove andare. Non ve lo nascondo: lo abbiamo aiutato a raggiungere la Crimea, dove è rimasto per qualche giorno. La Crimea era ancora Ucraina, al tempo. In ogni caso la situazione a Kiev si stava sviluppando molto rapidamente e violentemente, sappiamo cosa è successo (anche se magari il pubblico mondiale lo ignora): ci sono stati dei morti ammazzati, della gente arsa viva. Sono andati negli uffici del Partito delle Regioni, hanno sequestrato i funzionari e li hanno ammazzati, bruciandoli vivi nelle cantine. In queste circostanze, non c’era modo di permettergli di tornare a Kiev. Tutti hanno stracciato gli accordi con l’opposizione garantiti dai ministri degli esteri e dalle nostre conversazioni telefoniche. Si, vi dirò francamente che lui ci ha chiesto di aiutarlo a riparare in Russia, e noi lo abbiamo fatto. E’ tutto.”
Putin forza la verità spostando i disordini a dopo la sigla dell’accordo (in realtà la situazione era già fuori controllo quando l’accordo venne firmato) ma rivela un particolare illuminante a proposito della situazione in quei giorni: già il 23 febbraio Yanukovich non poteva più spostarsi in sicurezza nemmeno a Kharkov, una città in cui il suo partito aveva sempre ottenuto maggioranze schiaccianti e in cui il 22 febbraio il Governatore filorusso Dobkin aveva tenuto il primo incontro di protesta contro gli sviluppi di Kiev, e doveva chiedere l’aiuto dei servizi segreti russi per raggiungere sano e salvo la base di Sebastopoli. Palesemente il non essere a Kiev era, per Yanukovich, una circostanza indipendente dalla sua volontà.
I rimproveri di inadempimento degli obblighi assunti con l’accordo istituzionale sono ugualmente infondati per lo stesso motivo, ed inoltre perché, 1) i nazionalisti furono i primi a violare l’accordo ancora fresco di firma, dilagando nella città dopo il ritiro della polizia antisommossa e 2) orologio alla mano, alle 17.00 del 22 febbraio Yanukovich non era inadempiente dovendo firmare (secondo l’intesa) la modifica (peraltro incostituzionale per le note violazioni procedurali) della Carta entro “48 ore” (punto primo dell’accordo riportato per esteso nel punto f.2 della presente trattazione) e quindi entro le 17.00 del 23 febbraio, non del 22, quando Yanukovich venne destituito. Le obiezioni sono quindi prive di fondamento.
Vizio nella formazione della volontà dell’Assemblea. Oltre alle violazioni procedurali e regolamentari esposte, i voti del 22 febbraio appaiono invalidi per una ragione palese: al momento del voto l’Assemblea non si trovava affatto in un contesto fisiologico di garanzia della regolarità dei lavori e dell’incolumità dei membri. Al contrario: l’edificio ove si riuniva presumibilmente già dal pomeriggio del 21 febbraio, ma certamente dalla mattina del 22, venne fisicamente occupato dalla milizia nazionalista, ovvero da un embrione di forza armata (si tratta degli elementi che in seguito andranno a costituire i ranghi ed i quadri della “Guardia Nazionale” e dei “Battaglioni Punitivi” nelle operazioni militari del sud est).
E’ facile immaginare quale potesse essere lo stato d’animo della fazione regionale e di quella comunista in tali circostanze. Una pattuglia, non particolarmente legata al potere di Yanukovich né mediaticamente esposta, defezionò spostando il baricentro dell’assemblea e regalando all’ opposizione la maggioranza parlamentare sin dal 20 febbraio. Più di un quarto dell’assemblea rinunciò a prendere parte ai lavori, temendo palesemente (e a ragione, come avrebbero dimostrato alcuni episodi di vandalismo ed aggressioni successive) per la propria incolumità fisica. Altri (la famosa “novantina” di deputati regionali che giunse a lavori già iniziati), privati di qualsiasi garanzia e tuttavia influenzati dalla memoria dei fatti seguiti l’accordo del dicembre del 2004, continuarono ad agire nell’interesse di una Ucraina Unitaria ormai svanita, cercando di convincersi che le illegalità sempre più evidenti che si stavano commettendo fossero esecuzione sostanziale dell’accordo istituzionale del 21 febbraio e, nello stesso tempo, cercando di un qualche futuro politico personale. Solo il 24 febbraio alcuni di essi si resero conto che la conservazione del quadro istituzionale precedente i moti era una illusione e dichiararono la loro intenzione di “passare all’ opposizione”.
L’osservazione del filmato che riprende il momento della votazione mostra chiaramente una situazione fuori controllo: solo i banchi dell’estrema destra sono inquadrati. L’atteggiamento tenuto dai nazionalisti è palesemente intimidatorio. Di più: le fugaci inquadrature del centro e della sinistra dell’emiciclo mostrano moltissimi seggi vuoti, una situazione incompatibile con l’immagine dell’assemblea rappresentata dallo schermo dopo il voto elettronico.
Questi ultimi sono sospetti che difficilmente potranno sostanziarsi in accuse provate. Al contrario, la circostanza della presenza, intorno all’ edificio del Parlamento, delle milizie nazionaliste è un fatto assolutamente certo in quanto pacificamente ammesso da tutte le parti. Circostanza che indica un vizio insanabile della volontà espressa dall’ Assemblea.
Peraltro il vizio formale e quello di consenso, in ultima analisi, sono due aspetti dello stesso problema: i vincoli procedurali sono imposti proprio per evitare che la volontà dell’Assemblea venga forzata e condizionata dall’ esterno in maniera violenta, improvvisa e repentina.
f.6. Un problema di qualificazione giuridica. Non vi è quindi nessun modo per ricondurre i fatti del 21 e 22 febbraio 2014 ad un trapasso legale di poteri. In Russia questi eventi vengono correntemente definiti “colpo di stato”, in occidente “rivoluzione”. L’impressione è che entrambe queste espressioni non colgano l’aspetto essenziale della crisi Ucraina. Un colpo di stato, una rivoluzione, sono soluzioni temporanee della continuità istituzionale di un ordinamento, ma nella perpetuazione dell’ordinamento stesso. Nessuno dubita che l’Italia fascista fosse ancora Italia o che l’Iran khomeinista sia un successore giuridicamente credibile della Persia. In Ucraina, invece, la questione istituzionale si è sovrapposta ad una questione nazionale latente, ma già evidente almeno da dieci anni. Il trauma ha semplicemente dissolto lo Stato Unitario espellendo la componente culturale russa dalla struttura istituzionale del Paese.
Retrospettivamente parlando l’evento più importante della riunione del Consiglio Supremo del 22 febbraio fu l’allocuzione con cui Turchinov proclamò che il Consiglio Supremo era “l’unico organo istituzionale legittimo rimasto”. Se si considera che in quel momento lo stesso Consiglio era di fatto presidiato dalle milizie, espressione della piazza nazionalista (composta in maggioranza da Galiziani), si deve necessariamente concludere che quell’ Assemblea non era (più) espressione delle vecchie istituzioni unitarie, ma stava di fatto creando una nuova legalità, che non trovava giustificazione nella precedente cornice istituzionale, ma bensì nella situazione di fatto venutasi a creare con il collasso dello Stato.
Non ha quindi senso chiedersi se il 22 febbraio l’Ucraina abbia subito un colpo di stato od una rivoluzione, perché quel giorno l’Ucraina si è dissolta, e sulle sue ceneri è nata un nuovo soggetto di diritto internazionale, la cui legittimità venne tratta dal sostegno popolare, dal controllo del territorio e dall’esercizio della forza. E’ vero: questo soggetto venne riconosciuto dal consesso internazionale come l’erede giuridico del vecchio, così come la Federazione Russa venne riconosciuta erede dell’Unione Sovietica. Ciò accadde per interesse politico (da parte dei paesi occidentali) o economico (da parte della Russia) oltre che in omaggio ad esigenze di utilità pratica. Tuttavia, così come non vi è dubbio che la Federazione Russa (se non altro per motivi di diversa estensione geografica) non è l’Unione Sovietica, allo stesso modo l’Ucraina Nazionalista non è l’Ucraina Unitaria. L’Ucraina Nazionalista è una creatura giuridica totalmente nuova, che non fa più riferimento a due nazionalità (russa e ucraina) ma ad una sola, e che nel primo anno della sua esistenza si è comportata in maniera assolutamente coerente con la propria matrice ideologica, procedendo al completo rinnovo di tutte le cariche statali e dei vertici delle forze armate, costituendo corpi speciali di provata fedeltà galiziana e nazionalista, abrogando la “legge sui principi della politica linguistica statale “ del 31 luglio 2012 (si veda il precedente punto d.12; l’abrogazione è attualmente in attesa di controfirma presidenziale), tentando di prevenire la formazione di grandi movimenti politici portatori degli interessi della comunità russa e russofona, lanciando la nota “operazione antiterrorismo”, bandendo il Partito Comunista, istituendo una “Commissione per le Epurazioni” poi sostanziatasi nelle legge del 16 settembre 2014, revocando (il 23 dicembre 2014) la dichiarazione di neutralità del paese.
Tutte queste iniziative denunciano chiaramente una totale discontinuità con il precedente indirizzo istituzionale ed una nuova legalità basata sul nazionalismo galiziano. Ha ragione Poroshenko quando afferma che “i Galiziani sono il fondamento della struttura statuale Ucraina.”. L’unica precisazione che va aggiunta è che si tratta di una Ucraina diversa da quella esistita dal 1996 al 2014, una Repubblica che, nei suoi primi passi, ha tratto legittimità dalle espressioni di consenso popolare e dalla forza delle armi, non da una cornice istituzionale. Il che, sia detto per inciso, la accomuna agli altri stati epigoni dell’Ucraina Unitaria: la Repubblica di Crimea, la Repubblica Popolare di Donetsk e quella Lugansk che, giuridicamente, sono creature del tutto simili (anche se ideologicamente opposte). Altre manifestazioni di consenso e di volontà popolare, come la Repubblica di Kharkov e quella di Odessa, differiscono invece solo in questo: non hanno superato la prova di forza necessaria per affermarsi come realtà politiche e per dare vita ad embrione statale vitale.
f.6. Crimea, Donetsk, Lugansk. L’esame delle altre realtà statali nate dalla dissoluzione dell’Ucraina Unitaria non è oggetto della presente trattazione. Ci limiteremo, quindi, ad alcune osservazioni a completamento delle riflessioni proposte. Il collasso dell’Ucraina Unitaria costituì, per la Federazione Russa e per le comunità del Sud Est, una catastrofe politica e geopolitica paragonabile al crollo dell’Unione Sovietica. Dal punto di vista russo il problema non consisteva tanto nel temporaneo affermarsi in un paese tanto importante e tanto storicamente legato alla Russia di una classe dirigente visceralmente ostile e controllata da antagonisti strategici. Il problema maggiore era nel fallimento del progetto unitario, su cui la Federazione Russa e i russo ucraini avevano investito tutte le loro risorse politiche e l’immediata obsolescenza di tutta la classe politica regionale e comunista “amica”.
La storia di questo anno, dal punto di vista russo, è la storia della creazione, da zero, di un progetto politico irredentista capace di dare voce e forza alle comunità del sud est al di fuori della compagine statale dell’Ucraina Nazionalista. Questo grandioso progetto si è sviluppato su tutti i campi: ideologico, simbolico, intellettuale, religioso, politico e militare. Messa da parte la compromessa rappresentanza unitaria, la Russia ha aiutato i russo ucraini a creare la Novorussia, una espressione che fino ad otto mesi fa era una curiosità storico – filologica, ed ora è un ideale, una classe politica, due organizzazioni statali che controllano la regione più ricca e sviluppata dell’Ucraina Unitaria, una gamma di simboli (politici, religiosi, storici, canzioni, bandiere, stemmi) e soprattutto un potente esercito. Questo “miracolo” (una sorta di risposta orientale ai moti di Maidan) è praticamente compiuto ed oggi si tratta solo di individuare quali saranno le aree dell’Ucraina Unitaria che andranno ad integrare la compagine di questa costola filorussa.
Conclusioni. Crediamo di avere dimostrato che è possibile leggere gli eventi del Maidan come una storia di dissoluzione di un unico centro istituzionale e di ricomposizione politica intorno ad una pluralità di centri.
Le conseguenze di una simile lettura sono facili da trarre. Se ci induciamo a riconoscere al potere di Kiev e a quelli di Donetsk e Lugansk (ma anche di Sebastopoli) una pari dignità istituzionale, otteniamo prima di tutto una lettura formale della crisi più aderente alla realtà di fatto di quanto non lo sia l’interpretazione, corrente in occidente, secondo cui l’Ucraina Nazionalista e quella Unitaria sono la stessa cosa, mentre la secessione della Crimea e quella di Donetsk e Lugansk sono mere espressioni di un separatismo illegittimo. Ottenuto questo risultato (e in politica il riconoscimento formale di una situazione di fatto avvicina sempre alla soluzione di un problema), si potrebbe passare ad esaminare con onestà il problema più spinoso oggi sul tavolo: la configurazione territoriale delle diverse entità eredi dello spazio Ucraino. E’ palese, infatti, che l’attuale estensione territoriale della Novorussia non soddisfa pienamente i Russi e i Novorussi, che continueranno ad esercitare una pressione (anche violenta) sino ad ottenere un riconoscimento ragionevole delle proprie ragioni storiche, politiche, economiche e geografiche nella regione. Infine questo riconoscimento potrebbe giovare allo stato delle finanze nazionaliste, nel senso che sarebbe ragionevole ripartire fra i diversi stati successori i pesanti oneri di bilancio lasciati in eredità dallo stato unitario.
Siamo consapevoli che la soluzione suggerita è ad oggi, quasi utopistica. Ma è senz’altro preferibile, a nostro avviso, al protrarsi del confronto militare, unica alternativa possibile in mancanza di un compromesso che riconosca pienamente le ragioni di tutti i soggetti coinvolti.
Bellssimo articolo,dettagliato ed esaustivo su come siano andati veramente i fatti che hanno poi portato allo scatenarsi della guerra tra la Novorussia e il resto dell’ex Ucraina unitaria,dove comandano(x adesso)i neo-nazisti al potere a Kiev.
Purtroppo qui in occidente invece esiste nella maggioranza della opinione pubblica,la percezione,dovuta ovviamente alle bugie e falsità della stampa mainstream,che le cose siano andate in maniera diametralmente opposta.
Comunque prima o poi la verità sarà conosciuta da tutti,anche se dovrà trascorrere molto tempo,prima che venga divulgata e si affermi nei paesi occidentali.
un saluto
Alexfaro
Concordo con Alexfaro e aggiungo che ‘sakeritalia’ è uno splendido blog con articoli di elevata qualità umana e giornalistica. Un ringraziamento al Grande Capo Saker, ai traduttori e ai collaboratori di questa Comunità virtuale.