Nel 200° giorno dall’inizio dell’operazione militare speciale della Russia, la sera dell’11 settembre, la Russia ha lanciato per la prima volta attacchi missilistici mirati contro impianti termici ed elettrici ucraini. Sotto i colpi, a giudicare dai rapporti del Ministero della Difesa, sono cadute: la TEC-5 (centrale termica) di Kharkov, la TEC di Zmiev e la TEC-3di Pavlograd. I primi due si trovano nella regione di Kharkov, l’ultimo nella regione di Dnepropetrovsk. È stato anche riferito del colpo alla centrale termica di Kremenchug nella regione di Poltava.

Degli impianti termici ed elettrici sopra elencati, al 200° giorno dall’inizio dell’operazione speciale della Russia, la TEC di Kremenchug non funzionava – ha subito danni durante l’attacco missilistico alla raffineria di petrolio di Kremenchug e ha smesso di produrre elettricità. La TEC di Zmiev è stata bombardata ad agosto, ma l’11 settembre è stata oggetto di pesanti attacchi e, forse, è stata distrutta. Si segnala anche la distruzione di tre cabine di alta tensione.

In effetti, la TEC-5 di Kharkov ha subito il danno maggiore, che, come dovrebbe essere per un impianto di generazione termica, ha gestito due picchi giornalieri di consumo di elettricità. Anche tenendo conto del consumo di elettricità notevolmente ridotto dopo l’inizio dell’operazione speciale, il sistema energetico ucraino è comunque entrato in modalità di emergenza. 40 cabine sono risultate senza energia, 2 linee aeree da 750 kV (kilovolt) e 5 linee aeree da 330 kV sono state disconnesse. Ci sono state interruzioni dell’alimentazione in cinque regioni, ma sono riuscite a superarle abbastanza rapidamente a causa del flusso di elettricità dalla parte occidentale del Paese. La mattina successiva ha mostrato, dopo un altro picco diurno, che il sistema elettrico ucraino faticava a bilanciare produzione e consumi.

La stabilità del sistema energetico ucraino è stata influenzata da molti altri fattori, oltre ai bombardamenti:

  1. La perdita del controllo da parte di Kiev di oltre il 35% della capacità dell’industria energetica ucraina – 15 GW di capacità – dopo il 2014.

  2. Interruzione di parte della produzione di energia nella parte del Donbass controllato da Kiev (Le TEC Slavyanskaya e Uglegorskaya ).

  3. Arresto della centrale nucleare di Zaporozhye e danni alla terza unità idraulica della centrale idroelettrica Kakhovskaya (ci vorranno 1 anno e mezzo per il ripristino).

Se non fosse stato per la chiusura della centrale nucleare e la perdita di capacità di generazione nel Donbass, l’Ucraina non avrebbe avuto problemi particolari a causa di questi attacchi. Ma la centrale è stata spenta la mattina dell’11 settembre. Il giorno prima dello stop, nella centrale era in funzione una sola unità, quindi a meno del 15% della capacità installata. Non c’erano flussi di energia nel territorio dell’Ucraina a causa di danni alle linee elettriche (gli stessi ucraini li avevano causati in precedenza sparando con artiglieria pesante contro le linee elettriche). Allo stesso tempo, il sistema di misurazione del fondo radioattivo è stato spostato dai sistemi di Energoatom a quelli di Rosatom.

Kiev, con il bombardamento sistematico della centrale nucleare di Zaporozhye, ha cercato di convincere la Russia a lasciare Energodar, per la sua successiva trasformazione in una zona smilitarizzata. Quindi ha fatto diversi tentativi per catturare la centrale.

L’obiettivo è quello di far partire tutte le sue unità di potenza, che consentirebbe non solo di superare la stagione del riscaldamento senza problemi, ma anche di guadagnare fino a 70 miliardi di grivnie all’anno dalle esportazioni di elettricità.

La Russia e i territori liberati non risentono della chiusura della centrale idroelettrica di Kachovska e della centrale nucleare di Zaporozhye. La chiusura della centrale nucleare è stata utilizzata dalla Russia per collegare nuovi territori al suo sistema energetico. Entro il 23 giugno sono state ripristinate le linee elettriche tra la Crimea e la regione di Kherson, distrutte nel 2015. E ieri la regione di Zaporozhye ha iniziato a ricevere elettricità dalla Crimea. In effetti ora la Russia può tenere offline la centrale nucleare di Zaporozhye per tutto il tempo che vuole. E dopo il completamento della posa del gasdotto da Mariupol a Berdjansk (il lavoro dovrebbe essere completato all’inizio di ottobre), nulla minaccerà la stagione del riscaldamento nel sud liberato.

Ma i problemi dell’Ucraina sono solo all’inizio.

In primo luogo, c’è una chiara carenza di capacità di manovra nel paese. Le interruzioni di corrente a Kharkiv alle 15:00 potrebbero indicare che non c’è energia sufficiente non solo per superare i picchi di consumo, ma anche in pieno giorno. Pertanto si dovranno ridurre i consumi o far funzionare le unità inattive in altre stazioni. L’ulteriore crescita del consumo di elettricità a causa delle temperature più basse e l’uso di riscaldatori elettrici diventerà un fattore serio che destabilizzerà il sistema energetico dell’Ucraina.

In secondo luogo, l’esportazione di elettricità dall’Ucraina all’UE, principalmente in Polonia, è discutibile. Il calcolo iniziale di Kiev era di catturare la centrale nucleare di Zaporozhye e portarla alla piena capacità di 6000 MW. Letteralmente il 10 settembre, Kiev e Varsavia avevano concordato l’esportazione di elettricità ucraina in Polonia dalla Centrale nucleare di Khmelnytsky dal 10 dicembre, e la fornitura di 100mila tonnellate di carbone a settembre. Non è chiaro quale fosse il calcolo per la conclusione di un simile accordo, così come se Kiev contasse sul ritorno del controllo sulla centrale nucleare di Zaporozhye.

Ora l’uso dell’Ucraina da parte dell’UE come grande fonte energetica è in discussione. In discussione anche la fornitura di carbone, che, molto probabilmente, dovrà essere bruciato nei forni delle centrali termoelettriche sopravvissute per produrre energia elettrica. Vi è il rischio che le 1,9 milioni di tonnellate di carbone accumulate all’inizio della stagione del riscaldamento inizino ad essere consumate anche prima dell’inizio delle gelate.

In terzo luogo, vi sono rischi di interruzione della stagione di riscaldamento a Kharkov e Kremenchug. La centrale termica di Kremenchug non è stata riparata nemmeno dopo il primo attacco, la centrale termica Kharkov-5, che forniva calore a metà della città, richiederà riparazioni urgenti. Se sarà possibile realizzarle è una domanda a cui l’autore non ha risposte.

Un aspetto a parte è il margine di sicurezza residuo del sistema energetico ucraino. Non si è verificato alcun blackout, ma per il sistema di alimentazione il funzionamento in tali condizioni è anomalo, e porta ad una maggiore usura delle apparecchiature.

Ancora un paio di attacchi simili e c’è il rischio di un vero e proprio blackout, dal quale l’Ucraina, il cui sistema energetico è sincronizzato con quello europeo, potrebbe uscire solo con l’aiuto della Bielorussia o della Russia. Ma questo è impossibile per ragioni politiche. L’11 settembre Ukrenergo ha richiesto un flusso di emergenza di elettricità all’operatore del sistema energetico europeo ENTSO-E, ma non ha ricevuto assistenza.

In caso di blackout l’Europa non sarà in grado di alimentare un paese così vasto, sia per la mancanza di linee elettriche sufficienti per il flusso di energia elettrica, sia per la carenza di energia elettrica, che aumenterà con l’avvicinarsi del freddo.

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Articolo di Ivan Lizan pubblicato su Newsfront il 13 settembre 2022
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per Saker Italia.

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