Domenica [15 novembre n.d.r.] in alcune grandi città ucraine si è tenuto il tanto atteso secondo turno delle elezioni locali.

A parte il fatto che l’esito del voto si è rivelato prevedibile (a Kiev ha vinto Vitalij Klichko, a Dnepropetrovsk Boris Filatov e a Lvov il sindaco in carica, leader del partito “Samopomosch”, Andrej Sadovoj) la commissione elettorale centrale ucraina ha constato la bassa affluenza alle urne, con un totale del 33,08 per cento degli aventi diritto, nel dato generale.

Non solo ciò ha incoraggiato alcuni parlamentari ad esprimersi a favore dell’abolizione del secondo turno nelle elezioni locali, ma testimonia per giunta l’abbassamento del livello di interesse della gente ucraina nella politica.

Quello che rende ancora più grave tale situazione è il fatto che dappertutto ha vinto proprio il candidato che vanta la posizione più influente a livello concreto nella rispettiva regione.

In realtà, nonostante l’ardore rivoluzionario e le continue dichiarazioni sulla “nuova Ucraina”, tali risultati sono l’espressione del fatto che la distribuzione delle forze a livello regionale non è cambiata e che localmente sono i “principetti” della situazione ad amministrare la cosa pubblica, figure che con fermezza mantengono il potere nelle loro mani, cambiando il proprio orientamento politico esclusivamente in funzione di una congiuntura che muta continuamente.

In sostanza, malgrado l’estromissione di Viktor Janukovich, le decine di dichiarazioni pubbliche e discorsi di tutti i generi sui “valori europei”, il popolo ucraino non è riuscito a risolvere il principale problema della sua struttura statale , che consiste nel fatto che il paese viene governato da un circolo ristretto di soggetti (probabilmente non aveva nemmeno intenzione di farlo). Per quanto siano cambiate le persone nell’ amministrazione di Kiev, neanche le misure draconiane promosse ed appoggiate dall’ Occidente hanno cambiato questo ordine di cose.

Il politologo Oleg Nemenskij osserva che il secondo turno delle elezioni locali in Ucraina non fa che confermare le conclusioni, che già si potevano trarre dai risultati del primo  [del 25 ottobre n.d.r.].

“L’Ucraina, essendosi rifiutata di seguire un percorso di federalizzazione civile e controllabile, ha cominciato a frammentarsi in piccole “microregioni”, ha iniziato una “federalizzazione dal basso”, al livello delle unità amministrative regionali. Dappertutto vanno al potere le elites locali, le quali, senza servirsi di nessuna istituzione federale, si prenderanno cura di contrattare con determinazione con Kiev per ogni singola questione”. Osserva Nemenskij.

Bisogna inoltre notare che già nel primo turno delle elezioni locali è divenuto evidente che i partiti di livello nazionale prendono all’ incirca il 40 per cento dei voti, confermando che l’elettorato ucraino si sta orientando verso forze di carattere locale.

“Kiev in modo graduale perde potere a livello locale e smette di essere il centro dello stato, cosa che non accadde nelle precedenti tornate elettorali, inclusa quella che si tenne dopo la cosiddetta “rivoluzione” del 2004. Allora, nonostante il fatto che il paese fosse diviso in due parti, Kiev continuava a restare il suo centro e tutte le decisioni venivano prese nella capitale”. Conclude Nemenskij.

Nel momento attuale, secondo Nemenskij, Kiev continua a perdere la sua posizione al centro, mentre una parte fondamentale del processo decisionale sta passando a competenza locale e l’elettorato preferisce dedicare la propria attenzione alle elites del posto ed alle personalità di carattere regionale.

Al tempo stesso bisogna notare che il primo turno delle elezioni locali ha evidenziato che meno della metà degli elettori è andata a votare, e questo in una società estremamente politicizzata non ha senso. Nel secondo turno la situazione è soltanto peggiorata e l’affluenza alle urne si è rivelata ancora inferiore.

“Tutto questo è il segno della perdita di interesse della popolazione ucraina nel sistema politico attuale. Esso non viene considerato come un sistema che è espressione del potere popolare, o capace di risolvere problemi sia di carattere nazionale che locale. Questo significa che il popolo ucraino nel suo complesso ritiene che ogni decisione viene presa senza la sua partecipazione, esclusivamente in modo non democratico” argomenta Nemenskij.

Ciò ci permette di concludere che il popolo ucraino ha voltato le spalle al sistema politico del proprio paese, instauratosi grazie agli eventi del 2014. In questa ottica non è affatto sorprendente che tra tutte le grandi città, il blocco politico del Presidente Pietro Poroshenko conservi il potere soltanto a Kiev.

Una tale situazione richiama alla memoria il periodo della frammentazione feudale nella Rus’, quando la capitale formale era in un primo momento la stessa Kiev, poi Vladimir, mentre nei fatti le danze le dirigevano dei principati autonomi. Naturalmente un tale stato di cose non può non condurre ad una subordinazione dello stato a forze esterne, e qui il discorso non è solo riguardo all’ Orda. Può darsi che adesso in Ucraina la storia si ripeta.

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Articolo di Michael Hudson apparso su Novorus il 16 Novembre 2015
Traduzione in Italiano a cura di Pueno e Maria Italiani
 per SakerItalia.it

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