Quello dell’energia elettrica è uno dei pochi settori ancora in grado di esportare rimasti all’Ucraina: nei primi tre mesi del 2016 Kiev è riuscita ad aumentarne l’esportazione del 30% rispetto allo stesso periodo del 2015. Le forniture vanno in Polonia, Ungheria, Romania e Moldavia, garantendo un reddito piccolo ma costante: un centinaio di milioni di dollari all’anno. A qualcuno potrà sembrare una cifra ridicola, ma per l’Ucraina è significativa, e per la sua industria energetica ancora di più.
La distruzione dell’economia nazionale, pianificata (nel quadro dell’accordo di associazione con l’UE) e non pianificata (di propria iniziativa) dal governo ucraino, sta portando ad un aumento del surplus di energia elettrica, nonostante un costante declino globale della sua produzione (del 20% rispetto al livello massimo raggiunto nel 2012). Tuttavia, le prospettive per il settore non sono affatto rosee.
Inoltre, la situazione nel settore energetico potrebbe rivelarsi, per l’Ucraina e per i Paesi limitrofi, un problema ancora di più grave di una guerra civile nel Donbass, con la progressiva disintegrazione delle catene di comando politiche e amministrative.
Il nucleare pacifico ma molto pericoloso
Quando si parla del problema della produzione ucraina di energia nucleare, ci si riferisce ai problemi connessi al tentativo di Kiev di sostituire, per motivi politici, il tipo di combustibile russo (quel che genera l’energia termica in un reattore nucleare) con i prodotti della società americana Westinghouse [incompatibili con le attuali centrali di tipo sovietico, NdT].
Finora questi esperimenti hanno portato solo a numerosi incidenti.
Ma gli esperimenti “politici” con le forniture di combustibile sono solo una parte del problema. Durante la prima metà del 2016, nelle centrali nucleari in Ucraina ci sono stati 9 incidenti gravi. E nessuno di loro è da attribuire direttamente al combustibile non compatibile. Semplicemente, i reattori stanno per concludere il loro ciclo vitale, e hanno iniziato a cadere letteralmente a pezzi.
Durante l’ultimo anno i tecnici nucleari ucraini non sono mai stati in grado di far funzionare simultaneamente più dei due terzi dei reattori esistenti, e nei primi mesi del 2016 il numero delle unità operative è sceso al 45% del valore nominale.
La ragione di tutto ciò è che la produzione dell’energia nucleare in Ucraina, con gli impianti costruiti ai tempi sovietici (così come tutto ciò che ancora è funzionante), dal 2010 in poi ha cominciato a esaurire le proprie capacità. Ad oggi, sei reattori hanno esaurito le proprie risorse, ma l’Ucraina continua ad adoperarli. Entro la fine del 2018, due terzi dei reattori nucleari (10 unità su 15) avranno raggiunto i limiti del loro esercizio. Ed entro la fine del 2020 in tutta l’Ucraina rimarranno solo tre unità.
Si può prevedere che nei prossimi quattro anni il numero di incidenti nelle centrali nucleari ucraine crescerà a valanga, e aumenterà il numero dei reattori inattivi.
Nel frattempo, la produzione di energia nucleare, che rappresenta il 30% della capacità energetica nominale, fornisce il 44% dell’energia elettrica effettiva generata dall’Ucraina, mentre un altro 57% è rappresentato dalle centrali termoelettriche, che forniscono il 43% dell’energia elettrica. Di conseguenza, l’imminente calo di produzione di energia nucleare comporterà la perdita di almeno il 30% di elettricità prodotta.
Voglio sottolineare che in questo caso non considero assolutamente quegli scenari catastrofici come Chernobyl o Fukushima, che con un minimo di abilità e di responsabilità del personale delle centrali nucleari si possono prevenire, anche nei casi peggiori.
Probabilmente, l’Ucraina sarebbe in grado di superare la perdita del 30% o anche del 40% della capacità di generazione dell’energia elettrica. Dopo tutto, in questo momento il Paese esporta elettricità in eccesso, e la progressiva paralisi dell’industria consente di aspettarsi un ulteriore calo dei consumi interni. Quindi, senza le esportazioni si potrebbe probabilmente fare a meno dell’energia nucleare. Ci sarebbero pur sempre dei problemi di capacità di gestione della potenza al picco di produzione ma, seppure sgradevoli, non certo fatali.
Le centrali termoelettriche hanno esaurito le loro capacità
Ma in realtà la situazione è molto peggiore di quanto possa sembrare a prima vista. L’attenzione dei media, dei politici e dell’opinione pubblica è incentrata sulla produzione di energia nucleare in Ucraina a causa della tradizionale paura di una catastrofe nucleare su larga scala. Tanto più che l’inadeguatezza delle autorità ucraine e la loro abitudine di affrontare complesse questioni tecnologiche (e magari anche di abolire le leggi di natura!) con decreti del Presidente e con votazione parlamentari, non ispirano molto ottimismo.
I problemi maggiori sono legati alla produzione dell’energia termica. Non si tratta solo della forzatura di sostituire (per ragioni politiche) il gas nelle centrali termoelettriche (perché è russo) con il carbone, che spesso è scadente (con la conseguente rapida usura delle attrezzature). La radice del problema risiede piuttosto nell’età delle centrali termoelettriche ucraine. Tutti i blocchi di queste centrali, indistintamente, sono stati costruiti negli anni ’60 – ’70. Nel corso degli ultimi 40 anni non è stata costruita neanche una nuova centrale, e la stragrande maggioranza di esse ha già più di cinquant’anni. Il 90% delle centrali termoelettriche è giunto così al limite del loro esercizio.
Di solito le notizie sugli incidenti nelle centrali termoelettriche, a differenza di quelle nucleari, non hanno molto spazio sulla stampa. Se in una centrale nucleare una porta si mette a cigolare, subito la popolazione circostante si prepara per un Armageddon nucleare, mentre se una centrale termoelettrica brucia completamente, nessuno viene a saperlo oltre al personale e ai pompieri.
Negli ultimi anni solo un caso ha avuto una certa risonanza, nel 2013, quando in seguito ad un’avaria alla centrale di Uglegorsk, la più grande dell’Ucraina, quattro unità operative su sette andarono distrutte, e tutto il sistema energetico ucraino risentì delle conseguenze. L’allora ministro dell’energia ucraino, Eduard Stavitskiy, si rallegrò pubblicamente che l’inverno, con i suoi picchi di consumo, era ormai alle spalle, altrimenti le conseguenze di una tale avaria sarebbero state molto più gravi.
La produzione di energia termica potrebbe quindi crollare in qualsiasi momento, molto più rapidamente di quella nucleare. Non ci sono e non si prevedono fondi per l’ammodernamento, sia del nucleare che del termoelettrico, e tanto meno per la costruzione di nuovi impianti. D’altronde, se nella situazione attuale qualcuno finanziasse Kiev per questo tipo di lavori, i fondi sparirebbero senza lasciar traccia, e la situazione del settore energetico cambierebbe solo in peggio.
Cosa crollerà prima?
Il nucleare e il termico forniscono insieme più dell’80% dell’energia elettrica prodotta in Ucraina. La messa fuori servizio nei prossimi quattro anni della sola metà della capacità produttiva disponibile (che è lo scenario più ottimistico), non solo priverebbe lo Stato di quasi la metà dell’energia elettrica attualmente prodotta, ma aumenterebbe anche notevolmente il carico sulla restante metà.
La leadership di Kiev potrà evitare la responsabilità di una catastrofe nazionale nel settore dell’energia solo nel caso in cui il sistema politico crollerà prima di quello energetico. Il che è naturalmente possibile, ma la cosa non aiuterebbe la popolazione del Paese, né i suoi vicini.
Il collasso del sistema energetico fermerà immediatamente praticamente tutta l’industria rimasta e anche l’agricoltura, che neanch’essa può funzionare senza elettricità. Oltre che a coltivare gli orti, la gente potrà dedicarsi, casomai, a ricamare le loro camicie tradizionali, ma a lume di candela.
Il crollo del sistema energetico del Paese lascerà le grandi città senza elettricità. E questo vuol dire non solo lampadine spente: TV, frigoriferi, lavatrici, forni a microonde e condizionatori d’aria si fermeranno negli appartamenti, e nei condomìni gli ascensori. Si provocherà l’arresto delle pompe elettriche che portano l’acqua nelle case e pompano i liquami fuori dalle città. Si spegneranno tutti i sistemi di sicurezza e di allarme, e i frigoriferi industriali in cui si conservano le scorte dei prodotti alimentari necessari per le città. Questo vuol dire lo stop dei trasporti urbani e interurbani, distributori di benzina fermi, registratori di cassa nei negozi che non funzionano, assenza dei collegamenti telefonici, e così via. Insomma, la fine del mondo su scala nazionale.
E se il sistema si arrestasse gradualmente, la popolazione potrebbe ancora rinvenire una qualche capacità di adattamento, ma se si dovesse verificare un crollo repentino, si tratterebbe di una catastrofe umanitaria per milioni di persone, con tutti i servizi vitali praticamente cancellati, e con ciò che resterebbe dell’Autorità non più in grado di gestire gli eventi.
Una simile catastrofe in un Paese come l’Ucraina, incastonato tra la UE e la Russia, non potrebbe non riguardare i suoi vicini. Naturalmente, possiamo ancora sperare per il meglio, ma dobbiamo ricordare che, secondo la tradizione ucraina, i guai arrivano tutti contemporaneamente.
Il crollo del sistema di Yanukovych si è verificato in una situazione di relativa stabilità, quando i problemi sono stati creati da un piccolo gruppo di scalmanati nel centro di Kiev, mentre nel resto del Paese si lavorava normalmente, e tutto funzionava relativamente bene. A due anni e mezzo dalla “rivoluzione permanente della dignità”, il Paese somiglia alla scenografia di un film: a giudicare dalla facciata si vedono delle città fiorenti, ma dietro le quinte di compensato e cartone colorato si trova solo una landa abbandonata. E una folata di vento un po’ più forte può far cadere in ogni momento la fragile scenografia.
Dopo un simile evento, le “iene” dell’Europa, concentrate al confine occidentale dell’Ucraina, cercheranno di accaparrarsi dei pezzi di territori dismessi, e poi i nostri “amici e partner” occidentali chiederanno insistentemente alla Russia di fare le “pulizie generali” nello spazio rimanente – il tutto gratis, si capisce.
Sarebbe opportuno informare gli “amici dell’Ucraina” negli Stati Uniti e nell’Unione europea, su quali problemi potrebbero trovarsi ad affrontare, se la reale politica della Russia nei confronti dell’Ucraina dovesse deludere le loro aspettative, e se rianimare il Paese reso “più europeo” dovesse invece toccare a loro.
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Articolo di Rostislav Ishchenko pubblicato su RIA Novosti il 22 giugno 2016
Tradotto in Italiano dal Russo da Elena Petrova per Saker Italia il 26 giugno 2016
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