17 luglio 2014
Parto sempre qualche giorno prima a pensare a questa data, un po’ come il 2 di maggio della strage di Odessa dello stesso anno, della stessa guerra, degli stessi autori.
E siamo arrivati a 5 anni.
5 anni non sono molti, eppure nemmeno un servizio in coda ad un tg ricorda l’eccidio di tanti civili.
Parlo del volo MH17 della Malaysian Airlines che sorvolava i cieli in guerra dell’Ucraina, che incredibilmente nessuno aveva chiuso ai voli civili. Era compito del governo ucraino chiudere lo spazio aereo sopra le zone di conflitto, ma non lo fece.
Era compito di Kiev almeno far deviare la rotta del volo dalle zone dei combattimenti in corso e infuocati in quei giorni, ma non lo fece, anzi, deviò un poco la rotta affinché passasse esattamente tra le città di Doneck e Lugansk, in un settore dove stavano avanzando i famigerati “battaglioni punitivi”, composti da esaltati neonazisti come quelli arrestati l’altro giorno in Italia. Tanti erano i compiti di Kiev, ma si premurò soltanto di far passare proprio lì il volo.
Come ricorderete, l’abbattimento avvenne, pare, con un missile Buk non in dotazione alle forze indipendentiste del Donbass, ma in dotazione e schierato nel settore dalle truppe Ucraine con la funzione di prevenire un “eventuale” attacco aereo russo, così dicevano allora, dato che le forze di difesa del Donbass erano vicine alla debacle completa.
L’aeroporto di Lugansk il giorno prima era stato nuovamente catturato dalle forze di occupazione ucraine, le due città di Doneck e Lugansk di fatto separate, le truppe ucraine si stavano incuneando lungo il confine est nel tentativo di separare le difese degli indipendentisti dalla Russia, e finirono a migliaia chiusi in una sacca con decine di carri armati, cannoni, camion, e munizioni di ogni genere, catturati dopo poche settimane dalle forze di Doneck.
Tutto ci diceva che i cieli sopra quell’area fossero estremamente pericolosi, eppure nessuno li chiuse.
Altri 140 voli erano passati su quella rotta in quello stesso giorno.
Il giorno 14 dello stesso mese, tre giorni prima, un cargo militare ucraino An-26 che volava vicino al confine russo venne abbattuto o precipitò per un guasto, nessuno lo stabilì per certo e nemmeno ne parlarono più. Il giorno seguente però il ministro della Difesa della giunta golpista dichiarava che nessuna delle batterie antiaeree schierate al fronte dagli ucraini era caduta in mano alle forze indipendentiste; evidente il fatto di voler ribadire che: 1° intendeva incolpare i Russi, 2° a lui stesso risultava che le forze indipendentiste NON avessero disponibilità di batterie antiaeree tali da mettere in pericolo un volo in alta quota.
Comunque i membri dell’equipaggio si salvarono gettandosi col paracadute, altro indicatore che forse è stato un guasto e non un missile: vennero poi fatti prigionieri dalle truppe di Lugansk.
Eppure non chiusero i cieli ai voli civili.
Alle ore 13,20 ora locale cessavano le comunicazioni tra l’MH17 e la torre di controllo di Dnepopetrovsk, che fino ad allora lo aveva seguito.
I resti dell’aereo esploso in volo ed andato in pezzi, caddero su una vasta area vicino il villaggio di Torez.
Da subito le forze ucraine che avanzavano nei pressi tentarono con una offensiva di raggiungere la zona ed impossessarsi dei resti ma non vi riuscirono. Iniziarono un bombardamento di artiglieria che impedì per molti giorni agli investigatori internazionali di raggiungere l’area, sebbene scortati dalle forze di difesa di Doneck. Alla fine, dietro pressioni internazionali, le truppe ucraine furono costrette ad interrompere le azioni di disturbo e bombardamento, e lasciare che gli ispettori raggiungessero il luogo dei resti dell’aereo. Vennero recuperate le scatole nere, subito consegnate alle autorità internazionali da parte delle forze indipendentiste, che aiutarono anche nel recupero dei poveri resti umani e successivamente dei resti dell’aereo sotto supervisione degli investigatori, che catalogarono tutto.
A distanza di anni non vi è verità univoca e certa sulla provenienza del missile, ma alcuni dati sono certi ed incontrovertibili:
1) Per ammissione stessa ucraina le forze di difesa indipendentiste non erano in possesso di alcuna batteria di missili Buk, ma solo di attrezzature antiaeree di tipo spalleggiabile, non adatte ad abbattere l’MH17 per gittata.
2) Le uniche batterie di Buk presenti per ammissione stessa ucraina antecedente l’abbattimento, erano batterie ucraine, sia a nord del fronte che nella parte sud, essendo le truppe di Kiev molto addentro al territorio del Donbass.

La mappa dei combattimenti in corso tra Torez e il confine russo: le forze ucraine sono interposte tra le truppe del Donbass e il confine russo. Sono indicate anche batterie lanciamissili
3) Subito gli ucraini produssero materiale manipolato ed alterato teso ad incolpare del disastro gli indipendentisti: il materiale venne analizzato, trovato manomesso, e riferito all’AN-26 di tre giorni prima, ma queste azioni possono dirci che vi fosse una qualche premeditazione.
4) Vennero presentate foto di batterie di missili Buk indicate come russe, ma fotografate in realtà in zone molto lontane dal settore del fronte e nella parte ovest dell’ucraina, per cui erano mezzi ucraini spacciati per russi.
5) Dalle matricole di alcuni componenti del missile prelevati sul posto ed analizzati anche da specialisti russi, risultò che si trattava di lotti di missili consegnati a suo tempo all’Ucraina, in epoca sovietica, e mai rientrati in Russia.
6) Seguendo lo stesso metodo di indagine russo, la commissione di indagine che , incredibilmente, non vedeva presenti esperti russi ma solo esperti ucraini, come mettere la volpe a guardia del pollaio, a distanza di quasi 5 anni si accorgevano di una targhetta intera e integra, ma non vista prima tra i resti del Boeing, e che era riferibile, guarda caso, ad un missile in dotazione non solo ai russi; ma sapevano incredibilmente anche a quale unità fosse in carico quel missile, nemmeno avessero avuto a disposizione i registri della ditta. Mancava solo che trovassero i passaporti degli operatori di batteria Russi, ed eravamo a posto.
7) C’è una sola verità, che 298 persone sono state ammazzate, poi ognuno creda a chi vuole, e che la loro sorte è stata decisa per specularvi sopra, come hanno fatto anche sulla loro morte.
Io la mia idea me la sono fatta negli anni, e più passa il tempo e vedo come funzionano le cose, più mi convinco di essere nel giusto.
Riposino in pace.
Stefano Orsi
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