Stefano Orsi intervista Marco Rizzo 01-09-2018 Torino
Alla festa Unità comunista di Torino, Stefano incontra Marco Rizzo, segretario nazionale del Partito Comunista e ne nasce una interessante chiacchierata. Buona visione
Un paio di appunti. Il primo sul presunto carattere un po’ imperialista, come tu dici, dell’azione della Cina in Africa. In questo caso gli elementi che balzano all’attenzione sono l’assoluta apertura da parte dei paesi africani verso la Nuova Via della Seta cinese, chiamata anche Belt Road Initiative (BRI) vissuta da questi come un’occasione di sviluppo e non come una strategia colonialista, e di contro la propaganda occidentale che la dipinge appunto con un carattere propriamente coloniale paventando da parte della Cina la creazione di quel debito il cui cappio l’Occidente ha stretto da sempre al collo dei paesi africani (L’ultima proposta di Xi Jinping è la cancellazione del debito ai paesi meno sviluppati). “La BRI è meglio intesa come antitesi del colonialismo. Mentre il colonialismo era la risposta occidentale al surplus commerciale dei regni asiatici e alla supremazia del modo di produzione asiatico, la BRI è una risposta del surplus commerciale della Cina al fatto che la quota USA del PIL globale diventa troppo piccola per generare la domanda di prodotti cinesi. Quindi la Cina deve investire in tutto il mondo per sviluppare Paesi che offrano un mercato ai prodotti cinesi contemporaneamente. Mentre il colonialismo è associato al declino dell’Asia, BRI riguarda la condivisione delle risorse della Cina in ascesa col resto del mondo. Prima dell’ascesa dell’occidente, la Cina era il primo produttore globale e quel periodo non è associato al colonialismo. Quindi la Cina che riprende la sua vecchia posizione non può essere definita colonialista; la BRI è una tesi contro il colonialismo.” Saikat Bhattacharya – http://aurorasito.altervista.org/?p=1557
Il secondo appunto riguarda il mancato intervento di Putin al consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a favore di Gheddafi. Credo, invece, che sia stata proprio il destino che l’Occidente a serbato alla Libia e al suo Presidente che ha spinto Putin a scendere in campo preparando il suo intervento con la creazione di un asse con la Cina. Dopo l’intervento in Iraq, quello in Libia esprime la chiara volontà di destabilizzare l’intero Medioriente rendendo chiaro e palese l’obbiettivo ultimo: l’attacco alla Russia e poi alla Cina, passando per l’Iran, con l’uso dello strumento del terrorismo islamista già messo a punto nel Caucaso e presente nella regione cinese del Xinjiang.
Provo affetto e stima per Rizzo, l’unica persona a sinistra intelligente e senza i paraocchi, ma su Putin credo che sbagli. Putin non è certamente un comunista e certamente come tutti i russi, dopo la stagione della Perestroika, era convinto, da persona pragmatica che deve fare delle verifiche prima di prendere decisioni, che importando le regole del liberismo economico avrebbero permesso al popolo russo di raggiungere lo stesso sviluppo che si viveva in Occidente, proprio come promettevano gli esperti dell’Harvard University inviati in Russia per attuare la “terapia d’urto” necessaria, e cioè, un piano di privatizzazioni a tappeto sostenuto anche dal FMI. Le conseguenze disastrose di quel piano aprirono ben presto gli occhi ai russi, primo tra tutti a Putin, uomo intelligente e competente come Eltsin voleva che fosse il suo successore credendo di fare un favore agli americani. Questo per dire che il patriottismo di Putin e la consapevolezza del fatto che dietro le regole del libero mercato si nascondevano delle mire imperiali sono state maturate un po’ alla volta e sotto la spinta dei provvedimenti che l’Occidente prendeva sia rispetto alla Russia stessa che rispetto alla sovranità di tutte le nazioni che ostacolavano in qualche modo l’unipolarismo a stelle e strisce. Quindi per Putin il quadro internazionale e le intenzioni dell’Occidente si sono chiarite progressivamente tanto è vero che all’inizio, nel 2002, aveva accettato l’invito fatto tramite Berlusconi a sedere nel consiglio della NATO. È stato il chiarirsi progressivo delle intenzioni dell’Occidente a portare Putin e Xi Jinping ad offrire al mondo un’alternativa multipolare al governo unico mondiale a guida USA. È in questa ottica che si pone la strategia della Nuova Via della Seta cinese ed è giusto, come fa Saikat Bhattacharya, sottolinearne la natura anticoloniale.
Un paio di appunti. Il primo sul presunto carattere un po’ imperialista, come tu dici, dell’azione della Cina in Africa. In questo caso gli elementi che balzano all’attenzione sono l’assoluta apertura da parte dei paesi africani verso la Nuova Via della Seta cinese, chiamata anche Belt Road Initiative (BRI) vissuta da questi come un’occasione di sviluppo e non come una strategia colonialista, e di contro la propaganda occidentale che la dipinge appunto con un carattere propriamente coloniale paventando da parte della Cina la creazione di quel debito il cui cappio l’Occidente ha stretto da sempre al collo dei paesi africani (L’ultima proposta di Xi Jinping è la cancellazione del debito ai paesi meno sviluppati). “La BRI è meglio intesa come antitesi del colonialismo. Mentre il colonialismo era la risposta occidentale al surplus commerciale dei regni asiatici e alla supremazia del modo di produzione asiatico, la BRI è una risposta del surplus commerciale della Cina al fatto che la quota USA del PIL globale diventa troppo piccola per generare la domanda di prodotti cinesi. Quindi la Cina deve investire in tutto il mondo per sviluppare Paesi che offrano un mercato ai prodotti cinesi contemporaneamente. Mentre il colonialismo è associato al declino dell’Asia, BRI riguarda la condivisione delle risorse della Cina in ascesa col resto del mondo. Prima dell’ascesa dell’occidente, la Cina era il primo produttore globale e quel periodo non è associato al colonialismo. Quindi la Cina che riprende la sua vecchia posizione non può essere definita colonialista; la BRI è una tesi contro il colonialismo.” Saikat Bhattacharya – http://aurorasito.altervista.org/?p=1557
Il secondo appunto riguarda il mancato intervento di Putin al consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a favore di Gheddafi. Credo, invece, che sia stata proprio il destino che l’Occidente a serbato alla Libia e al suo Presidente che ha spinto Putin a scendere in campo preparando il suo intervento con la creazione di un asse con la Cina. Dopo l’intervento in Iraq, quello in Libia esprime la chiara volontà di destabilizzare l’intero Medioriente rendendo chiaro e palese l’obbiettivo ultimo: l’attacco alla Russia e poi alla Cina, passando per l’Iran, con l’uso dello strumento del terrorismo islamista già messo a punto nel Caucaso e presente nella regione cinese del Xinjiang.
Provo affetto e stima per Rizzo, l’unica persona a sinistra intelligente e senza i paraocchi, ma su Putin credo che sbagli. Putin non è certamente un comunista e certamente come tutti i russi, dopo la stagione della Perestroika, era convinto, da persona pragmatica che deve fare delle verifiche prima di prendere decisioni, che importando le regole del liberismo economico avrebbero permesso al popolo russo di raggiungere lo stesso sviluppo che si viveva in Occidente, proprio come promettevano gli esperti dell’Harvard University inviati in Russia per attuare la “terapia d’urto” necessaria, e cioè, un piano di privatizzazioni a tappeto sostenuto anche dal FMI. Le conseguenze disastrose di quel piano aprirono ben presto gli occhi ai russi, primo tra tutti a Putin, uomo intelligente e competente come Eltsin voleva che fosse il suo successore credendo di fare un favore agli americani. Questo per dire che il patriottismo di Putin e la consapevolezza del fatto che dietro le regole del libero mercato si nascondevano delle mire imperiali sono state maturate un po’ alla volta e sotto la spinta dei provvedimenti che l’Occidente prendeva sia rispetto alla Russia stessa che rispetto alla sovranità di tutte le nazioni che ostacolavano in qualche modo l’unipolarismo a stelle e strisce. Quindi per Putin il quadro internazionale e le intenzioni dell’Occidente si sono chiarite progressivamente tanto è vero che all’inizio, nel 2002, aveva accettato l’invito fatto tramite Berlusconi a sedere nel consiglio della NATO. È stato il chiarirsi progressivo delle intenzioni dell’Occidente a portare Putin e Xi Jinping ad offrire al mondo un’alternativa multipolare al governo unico mondiale a guida USA. È in questa ottica che si pone la strategia della Nuova Via della Seta cinese ed è giusto, come fa Saikat Bhattacharya, sottolinearne la natura anticoloniale.