All’alba dell’era nucleare, un giornalista indipendente australiano di nome Wilfred Burchett andò in Giappone per documentare i postumi del bombardamento atomico di Hiroshima. L’unico problema era che il Generale Douglas MacArthur aveva dichiarato off-limit il Giappone meridionale, impedendo l’accesso alla stampa. Più di 200.000 persone morirono nei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, ma nessun giornalista occidentale ha visto di persona le conseguenze e ha raccontato la storia. I media mondiali si sono obbedientemente radunati sulla USS Missouri, al largo delle coste del Giappone, per documentare la resa dei Giapponesi.
Wilfred Burchett decise di andarci da solo. Era determinato a vedere personalmente cosa avesse fatto questa bomba nucleare, e capire di che cosa trattasse questa nuova e decantata arma. Nonostante gli ordini del Generale MacArthur, salì quindi su un treno e viaggiò per trenta ore fino alla città di Hiroshima.
Sceso dal treno, Burchett si è ritrovato in un incubo. La devastazione che ha incontrato era diversa da tutte quelle che aveva visto durante la guerra. La città di Hiroshima, con una popolazione di 350.000 persone, era stata rasa al suolo. Edifici a più piani erano stati ridotti a pali carbonizzati. Vide le ombre delle persone bruciate sui muri e sui marciapiedi. Incontrò persone con la pelle che si scioglieva. All’ospedale vide pazienti con emorragie cutanee viola, cancrena, febbre e rapida perdita di capelli. Burchett fu tra i primi a vedere di persona e a descrivere l’avvelenamento da radiazioni.
Burchett di sedette su alcune macerie con la sua macchina da scrivere Baby Hermes. Il suo articolo [in inglese] cominciava così:
“A Hiroshima, trenta giorni dopo che la prima bomba atomica ha distrutto la città e scosso il mondo, le persone stanno ancora morendo, in maniera misteriosa e orribile, persone che sono state ferite durante il cataclisma da un qualcosa di sconosciuto che io posso descrivere solo come il flagello atomico”
Continuò, battendo a macchina le parole che ci tormentano ancora oggi:
“Hiroshima non sembra una città bombardata. Sembra come se un rullo compressore le fosse passato sopra e l’avesse schiacciata via dall’esistenza. Scrivo questi fatti nel modo più distaccato possibile, nella speranza che fungano da monito al mondo”
L’articolo di Burchett, intitolato “Il flagello atomico”, fu pubblicato il 5 settembre 1945 sul London Daily Express. La storia causò scalpore in tutto il mondo. I lettori furono scioccati dalla schietta reazione di Burchett all’orrore.
“Nel primo terreno di prova della bomba atomica ho visto la più terribile e spaventosa desolazione di quattro anni di guerra. A confronto, un’isola bombardata del Pacifica sembra un paradiso. I danni sono di gran lunga più grandi di quanto le fotografie possano mostrare.
Quando arrivi a Hiroshima, puoi guardarti intorno per venticinque e forse trenta miglia quadrate. Riesci a malapena a scorgere un edificio. Vedere una tale distruzione compiuta da un uomo, ti dà una sensazione di vuoto nello stomaco”
Il violento reportage indipendente di Burchett è stato un fiasco per le pubbliche relazioni delle forze armate americane. Il Generale Douglas MacArthur doveva aver fatto di tutto per limitare l’accesso dei giornalisti alle città bombardate, la sua censura militare mitigava e persino bloccava gli articoli che descrivevano l’orrore. La versione ufficiale dei bombardamenti atomici minimizzava le vittime civili e respingeva categoricamente le notizie dei persistenti effetti mortali delle radiazioni.
I giornalisti, i cui articoli erano in disaccordo con questa versione degli eventi, furono messi a tacere: George Weller del Chicago Daily News riuscì ad arrivare a Nagasaki e scrisse un pezzo di 25.000 parole sull’incubo che aveva trovato lì. Poi fece un errore cruciale: sottopose l’articolo alla censura militare. Il suo giornale non ricevette mai la sua storia. Successivamente Weller sintetizzò la sua esperienza con la censura di MacArthur, con l’espressione “hanno vinto”.
Uccidere il Messaggero
Le autorità americane risposero alle rivelazioni di Burchett nella maniera tradizionale: attaccarono il messaggero. Il Generale MacArthur ordinò di espellerlo dal Giappone (l’ordine fu successivamente revocato) e la sua macchina fotografica con le foto di Hiroshima sparirono misteriosamente mentre era all’ospedale. Gli ufficiali americani accusarono Burchett di essere influenzato dalla propaganda giapponese. Deridevano l’idea degli effetti patologici della bomba atomica. Le forze armate americane diffusero un comunicato stampa subito dopo il bombardamento di Hiroshima, che minimizzava il numero delle vittime, enfatizzando invece il fatto che l’area bombardata era il luogo di importanti obiettivi industriali e militari.
Quattro giorni dopo che la storia di Burchett era schizzata sulle prime pagine di tutto il mondo, il General Maggiore degli Stati Uniti Leslie R. Groves, direttore del progetto della bomba atomica, invitò in Nuovo Messico un gruppo selezionato di trenta reporter. Il principale di questo gruppo era William L. Laurence, vincitore del premio Pulitzer e giornalista scientifico del New York Times. Groves portò i reporter sul luogo del primo test atomico. La sua intenzione era dimostrare che sul luogo non restava alcuna radiazione atomica. Groves era fiducioso che Laurence avrebbe seguito la linea militare e il Generale non ne fu deluso.
L’articolo in prima pagina [in inglese] di Laurence, intitolato “Il sito della bomba atomica americana smentisce le fandonie di Tokyo: i test nel raggio del Nuovo Messico confermano che è l’esplosione, non le radiazioni, a causare i danni”, fu pubblicato il 12 settembre 1945, dopo tre giorni di ritardo dovuti alla censura militare.
L’articolo cominciava dicendo: “Lo storico terreno in Nuovo Messico, scena della prima esplosione atomica della terra e culla di una nuova era della civiltà, oggi ha dato la risposta più efficace alla propaganda giapponese sul fatto che le radiazioni siano state responsabili delle morti anche successive al giorno dell’esplosione, il 6 agosto, e che le persone che arrivavano a Hiroshima contraessero delle malattie misteriose dovute a persistente radioattività”. Laurence affermò senza remore che il tour dell’Esercito aveva l’intenzione di “smentire queste dichiarazioni”.
Laurence cita il Generale Groves: “I Giapponesi dichiarano che le persone sono morte per le radiazioni. Se è vero, il numero è stato molto basso”.
Laurence continuava poi il suo notevole editoriale su ciò che era successo:
“I Giapponesi stanno ancora continuando la loro propaganda atta a creare l’impressione che noi abbiamo vinto la guerra in modo scorretto, tentando così di suscitare compassione nei loro confronti e ottenere condizioni più miti… quindi, all’inizio, i Giapponesi hanno descritto dei “sintomi” che non suonano veri”.
Ma Laurence lo sapeva bene. Aveva osservato il primo test della bomba atomica il 16 luglio 1946 e aveva nascosto la verità su ciò che sapeva in merito al fallout radioattivo in tutto il deserto sudoccidentale, che aveva avvelenato i residenti e il bestiame locali. Aveva tenuto la bocca chiusa sui picchi dei contatori Geiger tutto intorno al luogo del test.
William L. Laurence ha continuato scrivendo una serie di dieci articoli per il Times, che sono serviti come brillante tributo all’ingegnosità e ai risultati tecnici del programma nucleare. Attraverso questi e altri articoli, ha minimizzato e negato l’impatto del bombardamento sugli esseri umani. Laurence vinse il Pulitzer per i suoi articoli.
Sul libro paga del Governo

Il Generale Leslie Groves (a sinistra), capo militare del progetto Manhattan, col professore Robert Oppenheimer (sulla destra). (U.S. Army)
A quanto pare William L. Laurence non riceva lo stipendio solo dal New York Times. Era anche sul libro paga del Dipartimento della Guerra. Nel marzo 1945 il Generale Leslie Groves aveva avuto un incontro segreto con Laurence presso il New York Times per offrirgli il lavoro di scrivere i comunicati stampa per il Progetto Manhattan, il programma americano per lo sviluppo delle armi atomiche. L’intenzione, secondo il Times, era di “spiegare le complessità del funzionamento di una bomba atomica con un linguaggio da profani”. Laurence ha anche contribuito alla scrittura di dichiarazioni sulla bomba per il Presidente Truman e per il Segretario di Guerra Henry Stimson.
Laurence accettò l’offerta con entusiasmo e, come scrisse il saggista Harold Evans in una storia del giornalismo di guerra, “la sua curiosità scientifica e lo zelo patriottico forse non gli facevano vedere che lui stava allo stesso tempo compromettendo la sua indipendenza giornalistica”. Evans raccontò:
“Dopo il bombardamento, il brillante ma prepotente Groves ha costantemente eliminato o distorto gli effetti delle radiazioni. Ha respinto le notizie dei morti giapponesi come ‘bufale o propaganda’. Anche il Times di Laurence si è intromesso dopo gli articoli di Burchett e ha ripetuto a pappagallo la linea governativa”.

Immagine del bombardamento di Nagasaki fotografata da Charles Levy da uno dei B-29 Superfortress utilizzato nell’attacco. (Ufficio dell’Informazione di Guerra).
In effetti, molti comunicati diffusi dall’Esercito dopo il bombardamento di Hiroshima – che, in assenza di resoconti dal vivo, furono spesso riportati parola per parola dai giornali americani – furono scritti da nessun altro che Laurence.
“Il mio è stato un onore, unico nella storia del giornalismo, quello di preparare i comunicati stampa ufficiali del Dipartimento di Guerra da diffondere in tutto il mondo” si vantava Laurence nelle sue memorie “Dawn over Zero” [Alba sul punto Zero]. “Nessun onore più grande potrebbe esserci per un giornalista o, del resto, per nessun altro”.
“Bill l’Atomico” Laurence adorava le bombe atomiche. Aveva fatto una crociata per il programma nucleare americano già a partire dai suoi articoli del 1929. Il suo duplice status di agente governativo e giornalista gli ha portato un livello di accesso senza precedenti agli ufficiali militari americani; volò addirittura con lo squadrone di aerei che sganciarono la bomba atomica su Nagasaki. I suoi resoconti sulla bomba atomica e del suo utilizzo avevano un tono agiografico, intrecciati di descrizioni che trasmettevano una soggezione quasi religiosa.
Nell’articolo di Laurence sul bombardamento di Nagasaki (è stato trattenuto dalla censura militare fino a un mese dopo il bombardamento), lui descriveva così la detonazione sopra Nagasaki che ha incenerito 100.000 persone:
“Sbalorditi, abbiamo visto che andava verso l’alto come una meteora che parte dalla Terra invece che dallo spazio, diventando sempre più viva a mano a mano saliva verso il cielo attraverso le nuvole bianche… era una cosa vivente, una nuova specie, nata proprio davanti ai nostro occhi increduli”.
In seguito, Laurence ha raccontato le sue impressioni sulla bomba atomica:
“Stando vicino e guardandola mentre si stava trasformando in una cosa vivente, di forma così perfetta che ogni scultore sarebbe orgoglioso di averla creata, uno…sentiva la presenza del sovrannaturale”.
Laurence è stato bravo a mantenere i segreti del suo padrone, dal bloccare le notizie delle radiazioni mortali nel Nuovo Messico al negarle per il Giappone. Anche il Times è stato bravo a mantenere i segreti, rivelando soltanto il doppio status di Laurence come portavoce governativo e reporter del 7 agosto, il giorno dopo il bombardamento di Hiroshima, e quattro mesi dopo Laurence ha cominciato a lavorare per il Pentagono. Come hanno scritto Robert Jay Lifton e Greg Mitchell nel loro eccellente libro ‘Hiroshima in America: 50 anni di negazione’, “Ecco il principale reporter scientifico della nazione, gravemente compromesso, che non solo non poteva ma neanche voleva rivelare tutto ciò che sapeva dei rischi potenziali della più importante scoperta scientifica del suo tempo”.
Un Lawrence diverso. Le radiazioni: prima ci sono, poi non ci sono più
Una svolta curiosa in questa storia riguarda un altro giornalista del New York Times, che ha scritto su Hiroshima. Il suo nome, ci crediate o no, era William Lawrence (la sua firma era W.H. Lawrence) ed è stato a lungo confuso con William L. Laurence (anche Wilfred Burchett confonde i due uomini nelle sue memorie e nel suo libro del 1983 “Ombre di Hiroshima”). A differenza del vincitore del premio Pulitzer del Dipartimento della Guerra, W.H. Lawrence ha visitato e ha scritto su Hiroshima lo stesso giorno di Burchett (dopo aver volato con lo squadrone di aerei che bombardarono Nagasaki, William L. Laurence fu successivamente richiamato negli Stati Uniti dal Times e non visitò le città bombardate).

L’articolo di prima pagina di Lawrence, il 5 settembre 1945, intitolato “La visita a Hiroshima prova che è la città più danneggiata al mondo”
L’articolo originale [in inglese] di W.H. Lawrence da Hiroshima fu pubblicato il 5 settembre 1945. Raccontò in maniera oggettiva gli effetti mortali delle radiazioni e scrisse che i dottori giapponesi erano preoccupati per il fatto che “tutti quelli che erano a Hiroshima quel giorno morivano a causa degli effetti a lungo termine della bomba”. Ha descritto come “persone che erano state solo lievemente ferite in quel giorno dell’esplosione, perdevano l’86% dei globuli bianchi, sviluppavano una febbre di 104 gradi Farenheit [40 gradi Celsius], cominciavano a perdere i capelli e l’appetito, vomitavano sangue e alla fine morivano”.
Abbastanza stranamente, W.H. Lawrence si è contraddetto una settimana dopo in un articolo intitolato “nessuna radioattività nelle macerie di Hiroshima”. Per questo articolo, la macchina della manipolazione del Pentagono aveva messo la quarta in risposta al raccapricciante racconto del “flagello atomico” di Burchett. W.H.Lawrence scrisse che il Generale di Brigata T. F. Farrell, capo delle missione della bomba atomica a Hiroshima del Dipartimento della Guerra, “ha negato categoricamente che [la bomba] abbia prodotto radioattività pericolosa a lungo termine”. L’articolo di Lawrence cita solo Farrell; il reporter non cita mai la sua testimonianza diretta delle persone che morivano per le radiazioni di cui aveva scritto una settimana prima.
Le testimonianze contrastanti di Wilfred Burchett e William L. Laurence sarebbero storia antica se non fosse per una svolta moderna. Il 23 ottobre 2003 il New York Times ha pubblicato un articolo sulla polemica [in inglese] in merito al premio Pulitzer assegnato nel 1932 al reporter del Times Walter Duranty. Ex corrispondente in Unione Sovietica, Duranty ha negato l’esistenza di una carestia che ha ucciso milioni di Ucraini nel 1932 e nel 1933.
Il Consiglio del Pulitzer diede il via a due inchieste per prendere in considerazione di togliere il premio a Duranty. Il Times “si è rammaricato degli scivoloni” del suo reporter e ha pubblicato un editoriale firmato in cui si afferma che il lavoro di Duranty è stato “tra i peggiori lavori apparsi sul giornale”. L’attuale direttore esecutivo del Times, Bill Keller, ha condannato l’“ingenuo e acritico riportare la propaganda” di Duranty.
Il 21 novembre 2003 il Consiglio del Pulitzer decise di non revocare il premio a Duranty, concludendo che non c’era “alcuna chiara e convincente prova di deliberato inganno” negli articoli che hanno vinto il premio.
Come apologeta di Iosif Stalin, Duranty è un bersaglio facile. Che dire dell’”inganno deliberato” di William L. Laurence nel negare gli effetti letali della radioattività? E che dire del fatto che il Consiglio del Pulitzer ha consapevolmente consegnato il premio più importante del giornalismo ad un addetto stampa pagato dal Pentagono, che ha negato la sofferenza di milioni di Giapponesi? Il Consiglio del Pulitzer e il Times approvano “l’acritico riportare la propaganda”, purché venga dagli Stati Uniti?
E’ atteso da tempo che il premio venga tolto all’apologeta di Hiroshima.
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Articolo di Amy Goodman e David Goodman pubblicato su Consortium News il 4 agosto 2020
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per Saker Italia.
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—,,una domanda si pone: nessuno dei Media più importanti degli USA si è chiesto se sarebbe stato meglio sentire qualche scienziato fisico-nucleare sulla presunta assenza di radioattività della Bomba di prova nel Nuovo Messico e di conseguenza anche di quelle esplose in Giappone?
Amy Goodman e David Goodman danno per scontato che la carestia del 1932-33 ci sia veramente stata,e che Duranty fosse un apologeta di Stalin. Ma ci furono anche gli ingegneri americani assunti in URSS,in campo minerario e per la realizzazione delle gigantesche dighe per l’elettrificazione del paese attorno agli anni 30 che una volta tornati in patria, nelle loro memorie non hanno menzionato alcunchè di questa carestia. Daltronde ormai tutti i colcos avevano macchinari e trattori,non più gli aratri di legno degli anni dal 1922 al 1928 e potevano disporre di risorse idriche e fertilizzanti,e se una regione veniva colpita da carestia gli ammassi ottenuti dalle altre regioni consentivano di compensare le mancate produzioni.