Dopo una lunga preparazione, Hillary Clinton ha infine annunciato l’inizio della sua campagna per la competizione presidenziale del 2016. Ma che cosa ha in serbo questa potenziale vincitrice per quanto riguarda le relazioni tra USA e Russia? Niente di buono, se il passato è un segno di quello che ci attende nel futuro.

Discutendo della possibilità di una presidenza della Clinton in un recente articolo per PolitRussia.com, l’analista Ivan Proshkin ha osservato come le speranze russe per l’uscita di scena di Obama, allo scopo di poter negoziare con chiunque venga dopo di lui, siano un punto discutibile qualora la Clinton diventasse il suo successore. “Non c’è niente di sbagliato nel sognare”, afferma l’analista, “ma un’analisi dei probabili risultati della campagna presidenziale del 2016 non ispira alcuna fiducia”.

Analizzando le chances della Clinton, gli osservatori russi degli USA, così come le loro controparti americane, puntano all’esperienza politica dinastica, alla sua sostanziale influenza politica ed ai suoi potenti sostenitori politici e finanziari, oltre all’assenza di un contendente repubblicano più dinamico. Inoltre, i segni di ripresa dell’economia, dopo quasi un decennio di recessione, non fanno certamente male ai democratici.

Perciò, se la “Lady di ferro della politica americana” è già circondata di esperti che la incoronano come 45° presidente, che cosa c’è, secondo questo analista russo, di così sconfortante circa un suo possibile regno?

Ebbene, da una parte abbiamo la forte retorica antagonista della Clinton verso la Russia, il suo “comportamento” e i suoi piani di partnership e cooperazione con i vecchi vicini sovietici. Durante il colpo di stato di Maidan e il referendum per la riunificazione della Crimea alla Russia, lo scorso anno, la Clinton aveva paragonato Vladimir Putin a Hitler, affermando che le azioni del leader russo nel crescente conflitto successivo al colpo di stato ucraino era simile a “ciò che Hitler aveva fatto negli anni ‘30”.

Difendendo ostinatamente il suo confronto tra Putin e Hitler come un richiamo a “una piccola prospettiva storica”, la Clinton aveva proseguito definendo il presidente come “un tipo duro dalla pelle delicata” e un “ex-agente del KGB freddo e calcolatore”. Questi commenti avevano ricevuto le acclamazioni sia dei membri del Congresso sia degli analisti di tendenza repubblicana. Durante un discorso in occasione di una raccolta di fondi, lo scorso ottobre, la Clinton aveva sostenuto che il presidente russo è un “bullo” e che gli USA devono “resistere, circondare e […] tentare di soffocare la sua capacità di aggressione”. L’ex Segretario di Stato aveva aggiunto, in termini estremamente chiari, che l’agenda della leadership russa “minaccia gli interessi americani”, facendo notare che il tentativo delle potenze europee di evitare l’ampliamento delle sanzioni contro la Russia era “uno sbaglio”.

Mentre i pezzi grossi repubblicani, i think-tank e gli analisti indipendenti definiscono spesso la nota iniziativa “Russia Reset” della Clinton come un esempio di “scarsa leadership” nei confronti della Russia, l’ex Segretario di Stato ha risposto ripetutamente di essere sempre stata scettica sulla possibilità di un reale miglioramento delle relazioni. Lo scorso luglio la Clinton aveva dichiarato: “Ho nutrito molto scetticismo nei confronti di Putin mentre ero al Dipartimento di Stato, anche perché pensavo che non avrebbe mai rinunciato alla sua visione di riportare la ‘madre Russia’ in auge tra le grandi potenze”.

E mentre la principale concorrente per la presidenza, a lungo non dichiarata, ha dovuto faticosamente cercare a casa propria i potenziali sponsor ed elettori “duri con la Russia”, non è difficile scorgere la prova che la Clinton faceva sul serio quando parlava di “Reset”. Nel 2012, quando il caos dell’Ucraina post-Maidan non era altro che uno scenario da incubo per gli analisti della sicurezza russi, la Clinton tenne un discorso a Dublino in cui avvertiva il pubblico in merito a quella che definì come l’intenzione russa di “risovietizzare la regione”. La Clinton ammetteva: “Non si chiamerà in quel modo”, dichiarando che “potrà essere definita come una unione doganale… una Unione Eurasiatica o qualcosa del genere. Ma non illudiamoci. Sappiamo qual è l’obiettivo e noi stiamo tentando di elaborare dei modi per rallentare o prevenire tutto questo”.

Inoltre la Clinton ha sostenuto le proprie parole con azioni concrete. Come sottolineato da Russia Insider in un articolo dell’ottobre scorso, il Dipartimento di Stato della Clinton ha “fortemente accentuato la linea antirussa e ha costretto l’Ucraina a scegliere tra l’Europa e la Russia, facendo piovere 5 miliardi di dollari sulle associazioni antirusse della società civile ucraina”. Il portale di analisi indipendente ha rilevato che l’ambasciatore Michael McFaul, durante le proteste del 2011-2012, era “l’uomo della Clinton a Mosca” mentre l’allora portavoce del Dipartimento di Stato, Victoria Nuland e l’ambasciatore USA in Ucraina, Geoffrey Pyatt, ricoprivano la funzione di consulenti sulla Russia per la Clinton. Questi ultimi due coordineranno la politica ucraina durante gli eventi di Maidan distribuendo biscotti e selezionando il personale politico di Kiev per il governo successivo al colpo di stato.

Perciò mentre i commentatori di tendenze conservatrici, i loro comitati d’azione politica e i think-tank possono dare l’idea di essere contrari alla Clinton, i due gruppi politici sono invece pienamente d’accordo per quanto riguarda la politica verso la Russia.

Nel suo articolo su PolitRussia, Proshkin osserva che l’intento politico della Clinton di isolare la Russia, formulato durante la carica di Segretario di Stato, almeno un anno prima del raffreddamento ufficiale delle relazioni a causa dell’Ucraina, “nega alla Russia il diritto portare avanti qualsiasi politica relativa alla sovranità nell’ex-Unione Sovietica, area che la Russia, per diversi motivi (anche storici e culturali), considera la propria area di interesse”. In questo modo “qualsiasi processo di integrazione tra i paesi dell’ex-Unione Sovietica sotto la leadership russa è definita con i concetti di “sovietizzazione”, anti-democraticizzazione” o altre terribili espressioni di questo tipo.

Proshkin sostiene che con “il tentativo di contenimento della politica di sovranità della Russia entro i limiti delle frontiere russe” la Clinton intende negare alla Russia “il diritto ad una politica estera in quanto tale”. L’analista indipendente crede che “ciò potrebbe significare che, dopo la possibile vittoria nel 2016, la signora Clinton tenterà non solo di sloggiare la Russia dall’Ucraina e dalla Crimea, ma anche dal Caucaso e dall’Asia centrale dove, grazie alle rivoluzioni arancioni, sarà possibile instaurare nuovi regimi [pro-USA], utili per ‘bloccare’ la Russia all’interno di un cordone sanitario”.

Per concludere, Proskin osserva che gli osservatori russi della politica Americana sono pressoché unanimi nel loro verdetto: se la Clinton dovesse essere eletta le relazioni russo-americane vedranno “un ulteriore peggioramento e potrebbero addirittura scivolare in una fase ‘più calda’ di questa nuova Guerra Fredda”. Considerando il tentativo della Clinton di “rimettere la Russia al suo posto”, mentre quest’ultima tenta di uscire dall’ordine mondiale guidato dagli USA, l’analista ritiene che una vittoria della Clinton assicurerà almeno altri quattro anni di relazioni gelide tra i due Paesi.

Nel 2009, durante il “Reset” delle relazioni tra Russia e USA, molto sollecitato e massicciamente propagandato, caratterizzato dalla risata schernitrice della Clinton con il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, i giornalisti russi notarono un errore di secondaria importanza sul piccolo pulsante rosso di reset esposto come simbolo della nuova era di migliori relazioni. Il famoso pulsante rosso su una scatola gialla e nera conteneva un piccolo errore di traduzione. Invece di “Perezagruzka” (reset), sul pulsante era scritto “Peregruzka” (sovraccarico). Sul momento fu archiviato come un pasticcio di secondaria importanza, ma il significato di quell’errore è cresciuto passando da un fenomeno insignificante ad un abisso che si approfondisce sempre di più. Col senno di poi questo errore da parte di un assistente potrebbe essersi trasformato in un segno precursore di eventi futuri. Se la Clinton dovesse aggiudicarsi la nomination, sconfiggendo i suoi rivali e diventando il prossimo presidente degli Stati Uniti, la “peregruzka” nelle relazioni con la Russia potrebbe davvero raggiungere nuovi apici.

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Articolo apparso su Sputnik il 12 aprile 2015

Traduzione in italiano a cura di r.k. per Sakeritalia.it

 

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