I politici mentono; come suo marito, Hillary Clinton mente più degli altri.
Ovviamente anche Donald Trump mente; ma la maggior parte delle affermazioni false e asserzioni senza senso che egli fa non sono bugie. Mentire richiede consapevolezza e volontà; Trump dice tutto ciò che gli viene in testa.
Tuttavia, come dalle bocche dei bambini, a volte dagli sfoghi incontrollati di Donald vengono fuori parole di verità.
Un esempio: la sua tesi che “il sistema è truccato”. Ha ragione su questo; è truccato. Ma non nel modo in cui egli sembra pensare.
Il dilemma di Donald.
Sarebbe difficile immaginare un tribuno del popolo meno plausibile di Donald Trump.
È ancora più difficile pensare a lui come un funzionario eletto di qualsiasi tipo, tanto meno un presidente.
Ma l’uomo ha alcuni punti di forza. Egli è scaltro, per esempio; e per essere scaltro, deve essere almeno un po’ in contatto con la realtà.
Nella misura in cui egli lo è, deve chiedersi cosa diavolo stesse pensando quando si è gettato nella mischia.
La mia ipotesi è che ha pensato ad una corsa per la Casa Bianca nel modo in cui, anni fa, ha pensato di diventare un personaggio televisivo. L’ha vista come un modo per promuovere se stesso e il suo marchio.
Se la sua campagna fosse naufragata fin dall’inizio, come tutti pensavano che sarebbe successo, avrebbe avuto ragione. Ma, da egoista che è, deve anche aver pensato a cosa sarebbe successo se la sua campagna fosse in qualche modo decollata.
Ha preso in considerazione l’implacabile osservazione che avrebbe poi dovuto sopportare? Si è fermato a pensare a come sarebbe stato essere demonizzato dalle élite politiche, economiche e mediatiche americane?
Probabilmente non lo sapremo mai.
Forse non poteva lasciarsi sfuggire la possibilità, per quanto remota, di essere adulato. Ma come poteva non essere cauto riguardo al danno che la sua campagna poteva arrecare alla sua reputazione e al suo marchio?
Un Donald più saggio se ne sarebbe tirato fuori mentre era ancora in tempo, ma la saggezza non è il punto forte di Trump.
Se lo avesse fatto, sarebbe tornato a costruire lussuosi palazzi del piacere, ostentare la sua ricchezza, e sfilare in giro con la moglie trofeo, affidandosi ai giornalisti da tabloid per raccontare al mondo le sue imprese.
Invece, ha scatenato un processo che non è più in grado di controllare.
Che semplicemente non sopporti di perdere – soprattutto contro una donna?
Perdere contro Hillary dovrebbe davvero farlo arrabbiare. Donald conosce i Clinton da troppo tempo, e li ha affrontati troppe volte, per avere un qualsivoglia rispetto per essi.
Così il povero bastardo è rimasto bloccato.
Per motivare la gente a votare – per Hillary, ma anche per i candidati meno importanti – i Democratici vogliono che la gente pensi che Trump potrebbe effettivamente vincere. Poiché è un bene per i loro indici d’ascolto, i magnati dei media li stanno aiutando con tutto il possibile, rivolgendosi ad “addetti ai lavori” di Washington troppo ottusi per sapere come fare di meglio.
Ma Trump è sulla buona strada per perdere alla grande a novembre; e, ad un certo livello, deve capire cosa lo attende.
Perdere alla grande deve sembrare per lui ancora più irritante del fatto che sarà Hillary quella che lo abbatterà.
Pertanto, la sua mossa migliore, anche così tardi, potrebbe essere proprio abbandonare.
Sicuramente ci ha pensato; ci hanno già pensato tutti gli altri. Ora che le convention sono finite, le voci che abbandonerà spuntano ovunque.
Questo potrebbe essere niente più che un pio desiderio da parte dei notabili repubblicani revanscisti, o la speranza disperata dei candidati minori repubblicani. Anche così, dove c’è fumo, a volte c’è il fuoco.
Chiamatelo “il dilemma di Donald”: dovrebbe andare avanti con quello che ha iniziato e ottenere la sconfitta? O dovrebbe sfidare la sua natura, ritirarsi, e limitare le perdite?
Dal punto in cui si trova, entrambe le opzioni sono impensabili.
Trump ha avuto un sacco di esperienza con affari immobiliari andati male. Lui sa come uscirne bene quando accade – come utilizzare le leggi fallimentari e le intimidazioni legali per impoverire gli altri e arricchire sé stesso.
Ma con questo sistema non funzionerà: i perdenti sono solo perdenti; e anche chi si arrende è un perdente. Qualunque opzione del dilemma scelga, per Trump non finirà bene.
C’è una piccola possibilità che i Repubblicani, di fronte al disastro, lo costringano in qualche modo ad abbandonare la gara; più Trump diventa oltraggioso – quando, per esempio, chiede al “popolo del Secondo Emendamento” di risolvere il problema di Hillary, o quando dice che Obama ha fondato lo Stato Islamico – più aumentano gli inviti a cacciarlo.
Ma non c’è modo in cui possa essere espulso, con o senza il suo consenso, senza distruggere il Partito Repubblicano più di quanto Trump abbia già fatto. Trump persevererà o se ne andrà; non c’è una terza via.
E così, senza altre alternative, ora non c’è nulla da fare per Trump, se non fabbricare scuse – mentre continua a scavarsi la tomba.
Definire il sistema “truccato” è una bella scusa, non ultimo perché è vero. Ma, ancora una volta, non è vero nel modo in cui lo pensa Trump.
Lui dice che è truccato contro di lui; di fatto, è vero il contrario. Trump è arrivato dov’è a causa di un sistema che favorisce i rivenditori con influenza politica e denaro ereditato, e che genera ricchezza attraverso attività dannose e improduttive, come il gioco d’azzardo e la speculazione immobiliare.
Tuttavia, il sistema è truccato contro quel genere di persone per le quali Trump pretende di parlare.
A Donald non poteva importare di meno; non ha nulla contro quel “sistema”.
La sua preoccupazione è rivolta solo alle prossime elezioni, e la sua pretesa è che è il sistema sia truccato solo contro di lui.
Lo è, o meglio lo era – ma senza successo.
Quando è apparso chiaro che Trump stava facendo meglio nelle primarie di quanto chiunque avesse previsto, l’establishment Repubblicano ha cercato di far deragliare la sua campagna – in combutta con i plutocrati che lo spalleggiano e Fox News. Hanno fallito in modo spettacolare.
Non sono stati in grado di manipolare le elezioni, perché molte delle persone che erano solite ascoltarli hanno finalmente capito che sono state usate, e si sono rifiutate di andare avanti.
L’unico candidato che può a buon diritto affermare che le primarie sono state truccate contro la sua candidatura è Bernie Sanders. Le prove circostanziali di ciò sono state schiaccianti fin dal primo giorno; le e-mail della Convention Nazionale Democratica che Wikileaks ha pubblicato lo hanno dimostrato definitivamente.
Non c’è da stupirsi che i Democratici non vogliano parlare del contenuto di tali messaggi di posta elettronica; hanno preferito distogliere l’attenzione con accuse infondate di un hackeraggio russo.
Aspettatevi di vedere molte cose di questo genere di cose una volta che Hillary tornerà alla Casa Bianca. Quando le cose andranno male per lei, il suo primo istinto, da neoconservatrice che è, sarà quello di demonizzare Vladimir Putin.
La predilezione di Hillary per tutte le cose militari e il suo istinto da Guerra Fredda costituiscono un pericolo chiaro e presente. Questo è il nostro futuro, non il “fascismo” Trumpiano.
È il nostro futuro, perché l’apparato del Partito Democratico ha avuto successo dove la sua controparte Repubblicana ha fallito. Ha mantenuto il suo potere; almeno per ora.
Che dire delle elezioni generali in arrivo l’8 novembre; potrebbero essere truccate?
Barack Obama ci ha messo una croce sopra: parlare di truccare un’elezione presidenziale è una sciocchezza, perché le elezioni sono organizzate a livello statale e locale, rendendo gli sforzi coordinati per truccarle impossibili da organizzare.
Né “il sistema”, né le prossime elezioni sono truccate contro Trump, ma dichiarare altrimenti serve i suoi scopi. Nella misura in cui si è rassegnato ad accettare la realtà, ha bisogno di scuse, e questa è la migliore in circolazione.
Possiamo quindi aspettarci che Trump la ripeta nelle prossime settimane, e anche tempo dopo che a qualcuno interesserà ancora.
Ma il sistema è truccato.
Indipendentemente da ciò che Trump voleva far intendere, quello che ha detto, preso alla lettera, è vero: il sistema è truccato – contro la democrazia e contro il governo del, da e per il popolo.
È stato progettato in questo modo.
La vera democrazia coinvolge più delle elezioni competitive. In una vera democrazia, i diritti fondamentali e le libertà sarebbero ripartiti equamente e nella misura più ampia possibile, e i cittadini avrebbero il potere in modo equo e, quindi, in linea di principio, sarebbero altrettanto influenti.
La “democrazia” americana non è affatto così.
In America oggi, i principali, ma non unici, ostacoli che si frappongono davanti al prodotto originale sono la disuguaglianza economica e il razzismo istituzionalizzato.
È sempre stato così, anche se gli ostacoli non sono trasparenti come una volta.
All’inizio, solo i proprietari bianchi potevano votare, poi solo gli uomini bianchi, poi solo gli uomini, poi finalmente anche le donne; ma fu solo nel 1965, quando Lyndon Johnson firmò il Voting Rights Act, che la maggior parte degli Afroamericani del Sud poté finalmente esercitare i diritti di voto che in teoria appartenevano loro.
Ci è voluto molto tempo, come aveva previsto Martin Luther King, ma l’arco della storia si è effettivamente “piegato lentamente verso la giustizia”. Anche così, i diritti di voto per le persone di tutti i colori e i generi sono ancora, per molti aspetti, più teorici che reali.
Paradossalmente, il periodo in cui gli Stati Uniti sono stati più vicini ad applicare l’ideale è stato quello dei primi giorni della Repubblica, quando i diritti di cittadinanza erano più limitati.
Era lo stesso nell’antica Grecia. Per i teorici democratici, la democrazia ateniese è sempre stata un modello. Ma la maggior parte degli Ateniesi adulti erano donne o schiavi, non cittadini a pieno titolo. Solo una piccola frazione di abitanti di Atene godeva di una qualsiasi parvenza di diritti di cittadinanza.
Nel caso americano, restrizioni legali ed extra-legali sul diritto di voto non sono, e non sono state, tutta la storia.
I fondatori della Repubblica hanno ideato anche impedimenti istituzionali di vario genere per tenere a bada la democrazia. La più importante è la camera alta della branca legislativa, il Senato, in cui ogni stato, indipendentemente dalle dimensioni, viene rappresentato in modo eguale.
C’è anche il Collegio Elettorale, che rende in modo efficace i cittadini di tutti gli stati, tranne una dozzina circa di “stati fluttuanti”, osservatori passivi delle elezioni presidenziali.
I fondatori volevano salvaguardare la proprietà privata. Erano quindi restii a dare potere alle masse nullatenenti. Fu fino a parecchi decenni dopo che ebbero elaborato una Costituzione per la Repubblica da loro fondata che i loro successori si resero conto di come le elezioni potevano essere utili per sostenere la proprietà privata.
Inoltre i fondatori volevano unire stati le cui economie dipendevano principalmente dalla schiavitù e stati le cui economie dipendevano più dal commercio e dal “lavoro libero”. Anche dopo che la Guerra Civile trasformò radicalmente questa situazione, le istituzioni continuarono a recare il marchio delle proprie origini.
Così accordiamo ancora potere smodato a stati scarsamente popolate; il milione e mezzo o giù di lì di cittadini del Wyoming ha lo stesso numero di senatori dei trentanove milioni di Californiani. Eppure noi affermiamo che le istituzioni americane sono “eccezionali” nel loro rispetto della democrazia – e le sosteniamo come modelli per il mondo.
Tutto questo trascina la nostra politica verso destra – garantendo in modo efficace i risultati che favoriscono lo status quo. Uno dei tanti modi in cui si fa questo è emarginare le voci che vengono fuori, da quello che Tariq Ali ha giustamente chiamato “il centro estremo”.
Così il sistema è di fatto truccato – contro i tentativi di democratizzarlo, e cambiarlo così in meglio.
Ciò che i commercianti del Nord, molti dei quali erano coinvolti nel commercio di schiavi atlantico, e i proprietari di schiavi del Sud hanno iniziato, Democratici e Repubblicani hanno continuato a perfezionarlo.
Il sistema di duopolio dei partiti che hanno architettato ha di fatto sostituito il controllo pubblico e il dibattito con campagne di marketing manipolatorie in cui i candidati si contendono i voti nel modo in cui Coca Cola e Pepsi competono per le quote del mercato delle bibite analcoliche – ma con la differenza che i Dr. Pepper del mondo delle bevande hanno una migliore possibilità di far bene dei candidati dei partiti indipendenti o terzi.
Non molto tempo fa, la situazione sembrava senza speranza. Tuttavia, ora sappiamo che è possibile, dopo tutto, distruggere la morsa del duopolio; sia il fenomeno Trump che l’insurrezione di Sanders lo hanno dimostrato.
Trump ha corso come Repubblicano; e ha vinto la nomination Repubblicana. Ma, così facendo, ha dato un colpo al Partito Repubblicano; uno dal quale non potrà mai riprendersi.
Le “combinazioni” nel contenimento dell’influenza commerciale o politica sono, come le catene, forti solo quanto i loro anelli più deboli. A causa dei suoi motivi distorti ed egoistici, Trump ha inavvertitamente danneggiato, e forse anche rotto, uno degli anelli della catena che disattiva la democrazia negli Stati Uniti.
Se ora non stesse appoggiando quella contro la quale ha apparentemente corso, Bernie Sanders avrebbe potuto ottenere una svolta storica simile. Deliberatamente e per il bene della democrazia, avrebbe potuto dividere il Partito Democratico. E se avesse accettato le sollecitazioni di Jill Stein e degli altri, avrebbe potuto aiutare spostare il Partito Verde fuori dai margini della vita politica americana.
In altri paesi sviluppati e non così sviluppati, in particolare quelli con sistemi parlamentari, ci si sarebbe quasi aspettato che qualcuno nella posizione di Sanders avrebbe abbandonato un partito che tratta i suoi punti di vista, e quelli dei suoi sostenitori, con tale disprezzo, e che ha intrapreso un percorso così terribile.
Ma i nostri Democratici e Repubblicani hanno fatto in modo che le iniziative indipendenti e di “terze” parti non prendano piede.
L’elezione era truccata contro di lui, in un modo più efficace di quanto non lo sia stata truccata contro Trump.
Ma se avesse in qualche modo vinto la nomination anche così, il sistema truccato, quello di cui Trump ha sempre beneficiato, avrebbe seguito anche lui – non perché proponeva quel qualcosa di più radicale che sostenevano molti democratici dell’epoca pre-(Bill) Clinton, ma perché la sua campagna ha assunto un aspetto “potere al popolo” che potrebbe, se non controllato, privarli del buon accordo che stanno cercando per loro stessi e i plutocrati che servono.
Le élite repubblicane ce l’hanno con Trump per la stessa ragione. Ma Donald è, in ultima analisi, un loro fratello di classe. Questo è il motivo per cui se gli sforzi per cacciarlo si dimostreranno inutili, come sicuramente avverrà, e se non cederà da solo, come probabilmente non farà, la maggior parte di loro finirà per schierarsi con lui – almeno ufficialmente.
La campagna Sanders, invece, ha minacciato più di un leader e sostenitore del partito politico; minacciava l’intera struttura di potere degli Stati Uniti. Fino al momento in cui Sanders non ha disertato, la minaccia era ancora troppo timida per minacciare gli interessi delle élite, ma c’era un rischio di radicalizzazione che i difensori dello status quo non potevano ignorare.
Cosa avrebbe fatto l’élite di potere in uno scontro Sanders contro Trump? I truccatori del sistema si sarebbero lamentati che il sistema è truccato? Non lo sapremo mai.
Possiamo essere sicuri, però, che il veleno puro dei titani della finanza, dell’industria e dei media corporativi cadrà sul Partito Verde di Jill Stein e Ajamu Baraka, nel momento in cui comincerà a vedere come se potesse fare abbastanza bene per il problema.
L’ira di Dio, o per meglio dire “la classe miliardaria”, scenderà su di loro non tanto per aiutare Hillary contro Trump – lei non ha bisogno di aiuto perché Trump è più che capace di sconfiggersi da solo – ma per impedire che le forze che promuovono la vera democrazia, il socialismo e un significativo ambientalismo diventino fattori importanti della politica americana.
Se le idee fossero quello che conta, la fazione Stein-Baraka potrebbe porre una profonda minaccia allo status quo, e quindi ai pochi che traggono beneficio da esso a spese di tutti gli altri, più di quanto abbia mai potuto fare la campagna di Sanders al suo apice.
Il New Deal Verde da loro proposto è altrettanto egualitario ed ecologicamente sano del “socialismo democratico” di Sanders, e, diversamente da Sanders, Stein e Baraka non sono imperialisti liberali e falchi militari. Si oppongono a quello che appoggia Sanders: il corso che ha preso la politica estera americana.
Ma i Verdi sono apparentemente in giro da sempre e non sono arrivati da nessuna parte. Perfino oggi, parlate alla gente di Jill Stein e la risposta più probabile sarà “Jill chi?”
Forse, comunque, col giusto genere di scossone, loro, come Trump, potrebbero fare quello che nessuno avrebbe ritenuto possibile. Quanto sarebbe ironico se l’appoggio di Sanders alla Clinton avesse quell’effetto! E quanto sarebbe meraviglioso!
Per molto tempo è stato chiaro che il Partito Democratico è impossibile da redimere; ora è anche più chiaro. Appoggiando la Clinton e di conseguenza il Clintonismo (neoliberismo, imperialismo e guerra) anche Sanders si sta rendendo impossibile da redimere.
Ma, come Dio, la Storia opera per vie misteriose.
Sanders ha abbandonato il suo ruolo muovendo l’arco della storia avanti quando è passato dalla parte del nemico.
Ma dopo la resistenza che i suoi sostenitori hanno dimostrato alla convention Democratica di Filadelfia, e adesso dopo la convention dei Verdi a Houston, l’idea che il movimento iniziato sotto l’egida della sua campagna possa sopravvivere alla tragica – o sleale? – diserzione di Sanders sta cominciando a sembrare più una seria possibilità che una tenue speranza.
Se accadrà questo, allora “il sistema” potrebbe finalmente diventare meno truccato di quanto sia attualmente.
A meno che e fino a quando non ci sarà in programma una vera rivoluzione – non il genere di cui Sanders parlava, ma una cosa seria – una rivoluzione che trasformerà lo stesso “sistema”, e non lo umanizzi semplicemente un po’, questo è il meglio che la nostra politica può ottenere.
Il capitalismo dal volto umano è sempre capitalismo, ma è molto meglio della versione Clintoniana; e più grande sarà il ruolo della politica di Stein-Baraka nella vita politica americana, migliori saranno le prospettive per muoversi oltre i suoi orizzonti.
*****
Articolo di Andrew Levine pubblicato su Counterpunch il 12 agosto 2016.
Traduzione in Italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.it
No comments!
There are no comments yet, but you can be first to comment this article.