E’ cresciuta da “una delle più grandi aziende di colletti bianchi di Washington DC” ed è diventata un fenomeno realmente globale. Nel suo nuovo libro da leggere assolutamente “La diffamazione”, Sharyl Attkisson, cinque volte vincitrice dell’Emmy Award e precedente reporter investigativa della CBS, rivela come i diffamatori sono diventati un’azienda enorme e multi-miliardaria.
Sharyl Attkisson dettaglia in maniera meticolosa come coloro che sono al potere, adattando il loro lavoro sulle tecniche di propaganda sviluppate dal defunto Dr. Joseph Goebbels, creino campagne di attacco ad hoc per distruggere la reputazione dei loro nemici e influenzare l’opinione pubblica a loro vantaggio.
Scrive “forze prezzolate architettano modi intelligenti e oscuri per cambiare lo scenario in un modo che non potete neanche immaginare”.
La ripetizione è un elemento essenziale per il successo della diffamazione.
“Un tentativo di persuasione deve limitarsi a pochi punti e ripeterli più e più volte”. Focalizza e ripeti, fino a quando l’audience non se lo ripete nel sonno. Molto presto non avranno altra scelta che crederci”
La frase “le armi di distruzione di massa dell’Iraq” ripetute a robot dai commentatori neoconservatori in vista dell’invasione dell’Iraq nel 2003, viene subito in mente.
“La nascita della diffamazione moderna”
Nel capitolo uno, “La nascita della diffamazione moderna”, la Attkisson fa notare come la CIA sia stata la responsabile promotrice, cinquant’anni fa, della frase “teoria della cospirazione”, “per utilizzarla come potente mezzo del dizionario del maestro della diffamazione”.
Un rapporto interno della CIA datato aprile 1967 avvisa i propri agenti all’estero di “impiegare strumenti di propaganda”, aggiungendo che “recensioni di libri e articoli sono particolarmente adatti a questi scopi”. Nel 1977 Carl Bernstein ha rivelato [in Inglese] che più di quattrocento giornalisti americani avevano segretamente svolto degli incarichi per la CIA nei precedenti 25 anni.
Tutto questo porta a chiedersi: oggi quanti giornalisti, e quante altre agenzie di intelligence alleate, stanno lavorando per questo, spingendo la linea dello Stato Profondo sulla politica estera e cercando di marginalizzare coloro che osano sfidarlo?
“Essere borkizzati”
La Attkisson afferma che, se c’era moltissima diffamazione negli anni ’60 e ’70, la diffamazione politica e organizzata “è entrata nel mercato contemporaneo” nel 1987, quando il presidente Reagan ha nominato alla Corte Suprema il giudice conservatore Robert Bork.
La campagna per fermare Bork ha portato a coniare un nuovo verbo. Spiega la Attkisson che “essere borkizzati” divenne il sinonimo di diventare lo sfortunato obiettivo di una campagna diffamatoria organizzata, scorretta e spietata.
Deriva infatti dal numero imprecisato di persone – di destra e di sinistra – che sono state “borkizzate”.
Scredita, rovina, distruggi
Questa è la strategia dei professionisti. La Attkisson descrive come i mercanti di diffamazione, che lavorano per le agenzie governative, società di PR, “think-thank”, fondi di investimento, agglomerati di mezzi di comunicazione o altri gruppi di lobby, tengano sempre sotto controllo il lavoro dei loro target, aspettando un piccolo errore che loro ritengano utile per poterli distruggere.
Potrebbe essere ri-twittare una persona o un sito definito “off limits” dai custodi dell’establishment. Oppure dire qualcosa di sbagliato in televisione o in una intervista radio.
La cosa importante dal punto di vista di un maestro della diffamazione, è amplificare il “misfatto” in misura spropositata. Costruire un senso di “sdegno”.
I pubblicitari vengono sollecitati per lanciare pubblicità. Viene fatta pressione sul datore di lavoro per licenziare. Tutti abbiamo visto succedere queste cose. Ma quante persone si rendono conto del grande quantitativo di denaro che va per queste operazioni?
“I maestri della diffamazione di oggi sono degli strateghi sofisticati. Leader ben pagati per interessi di ricchezza e potere” afferma la Attkisson.
Lei descrive l’astroturfing [tecnica di creazione a tavolino del consenso] come il cugino della diffamazione.
“E’ un mezzo che permette all’industria della diffamazione di mascherare parte del suo lavoro di maggiore influenza. L’idea è di tenere sempre il pubblico lontano dal sapere chi c’è esattamente dietro un particolare sforzo per influenzare l’opinione”.
Identità online multiple o false sono utilizzate per mettere alla prova e convincere le persone che un’opinione ha molto più appoggio di quanto ne abbia realmente, e per attaccare gli oppositori.
Non lo fa solo il governo, lo fanno anche le aziende e i gruppi privati di interesse.
La Attkisson racconta come un gruppo economico leader abbia usato almeno diciassette finti account social per diffamare gli oppositori di un oleodotto”.
‘Giornalismo transazionale’
Nel capitolo sei “Giornalismo transazionale: il mercato nero del commercio dell’informazione”, la Attkisson spiega come il governo sfrutti la sua intima relazione con i media amici dell’establishment per distruggere un obiettivo.
La gola profonda John Dodson ha svelato l’operazione “Fast and Furious”, il programma segreto del governo americano sulla circolazione delle armi, che ne permetteva la vendita ai cartelli messicani della droga.
Come per magia, comparvero sulla stampa degli attacchi contro di lui. “A un certo punto dello scandalo, qualcuno interno al governo che tentava di distruggere Dodson, ha passato segretamente alla stampa un fascicolo con informazioni altamente sensibili sul suo lavoro sotto copertura all’ATF (l’agenzia federale per l’alcool, il tabacco, le armi e gli esplosivi) e la stampa l’ha pubblicato”.
La Attkisson stessa divenne un obiettivo per aver fatto delle indagini sulla storia. Lei dichiara che “esperti legali hanno identificato intrusioni informatiche non autorizzate nei computer personali e della CBS. Sono stati in grado di vedere che gli intrusi hanno guardato i miei documenti collegati a Fast and Furious. Qualcuno ha anche piazzato dei documenti classificati nel mio laptop della CBS”.
Notizie false e fatti falsi
L’ultimo terzo del suo libro va nei dettagli della campagna presidenziale americana del 2016 (e le sue conseguenze) e di come sia stata totalmente dominata da campagne di diffamazione.
La Attkisson afferma che “come ha dichiarato il presidente Obama in agosto ‘nessuna persona seria (sic) avrebbe suggerito in qualche modo che si poteva persino manipolare le elezioni americane’. Ma quando Trump ha battuto la Clinton, la storia che The Donald era stato messo alla Casa Bianca dal ‘nemico ufficiale’ Vladimir Putin, ha raggiunti il parossismo”.
Scrive nella sezione intitolata ‘Russia, Russia, Russia!’ che “molti media la considerano come un fatto provato piuttosto che una teoria, anche se manca la prova pubblica”.
In una maniera davvero orwelliana, una campagna contro le “fake news” è stata lanciata negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, da parte proprio di coloro che sono in prima linea nel promuovere le fake news.
E’ diventato obbligatorio per i mercanti di diffamazione riferirsi ai media che sfidano le storie dell’establishment, come Sputnik o RT o altri siti alternativi di sinistra come The Canary, Evolve Politics o The Skwawkboxm, come a dei “venditori di fake news”.
Wikipedia è un altro forum menzionato dalla Attkisson: qui i mercanti della diffamazione lavorano senza sosta per danneggiare le reputazioni.
Chiunque può scriverci, quindi è la cosa più semplice al mondo da fare per agenti prezzolati che modificano malevolmente le pagine degli oppositori politici, ingrandendo la “critica” del soggetto e tenendo lontano le lodi o le definizioni positive. La Attkisson fa l’esempio delle modifiche ostili alla pagina di Jeff Gerth [in Inglese], vincitore del premio Pulitzer.
In uno degli ultimi capitoli cita anche le modifiche alla mia pagina Wikipedia, di cui parlo in dettaglio qui [in Inglese].
‘Diventata globale’
Di fatto, leggere il libro “La Diffamazione”, mi ha fatto capire meglio il senso della feroce e accanita campagna lanciata contro di me (e di mia moglie) per undici anni, campagna cominciata proprio dopo che ho criticato sul Daily Telegraph un libro pro-guerra scritto da un sostenitore neoconservatore favorevole alla guerra in Iraq. Campagna che la Attkisson tratta nell’epilogo del suo libro intitolato “La Diffamazione diventata globale”.
Appena uno capisce lo schema di queste campagne e il linguaggio sempre uguale utilizzato per screditare gli obiettivi ( “teorico della cospirazione”, “imbroglione”, “falso”, “razzista”, “sessista”, “estremista di sinistra”, “estremista di destra”, “negazionista” di questo, quello e di altro ancora), è molto più semplice capire la logica di ciò che sta accadendo.
Una delle definizioni usate regolarmente contro di me dal mio stalker e calunniatore seriale era “negazionista di Srebrenica”, cosa che io certamente non sono [in Inglese]. Anni dopo ho saputo (dai verbali trapelati dall’inaugurazione inglese della Henry Jackson Society, organizzazione favorevole alla guerra), che la stessa persona che mi ha regolarmente puntato, un certo Oliver Kamm, manager di fondi di investimento e blogger, è stato incaricato di mettere in circolazione la voce che l’accademico contrario alla guerra Noam Chomsky era un negazionista di Srebrenica [in Inglese].
Attualmente io sono in causa contro Kamm e i suoi dipendenti per ciò che mi hanno fatto passare. Se potete e volete, potete contribuire alla mia raccolta di crow-funding qui [in Inglese]. Tutti i contributi, grandi e piccoli, sono graditi.
‘Nulla capita per caso’
“La Diffamazione” cambierà sicuramente per sempre il modo di valutare gli attacchi online e sulla stampa, i ‘troll’ ossessionati e le campagne politiche.
Sarà possibile identificare un maestro della diffamazione dal linguaggio che usa e dalle tecniche che applica. Chi rovina la reputazione è velenoso ma ora, almeno, con la pubblicazione de “La Diffamazione”, abbiamo un altro antidoto per questo veleno.
Sharyl Attkisson conclude con queste parole:
“Una cosa su cui si può contare è che gran parte delle immagini che attraversano il tuo percorso è stato messo lì per una ragione. Nulla accade per caso. Ciò che dobbiamo chiederci non è tanto ‘è vero?’ ma ‘chi vuole che io creda questo e perché’ “.
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Articolo di Neil Clark per Sputnik News pubblicato il 6 settembre 2017.
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per SakerItalia.it
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