Una delle armi di guerra informativa più efficaci utilizzate durante le elezioni presidenziali del 2016 è stata la diffamazione dei bersagli politici dandogli del “bot russo” al servizio del Cremlino. I giornalisti sono stati boicottati, i canditati presidenziali calunniati [in inglese] e le vite incommensurabilmente danneggiate.

Attaccare gli obiettivi politici utilizzando una responsabilità presunta e infondata non è un’arte nuova, e non lo è neanche utilizzare i Russi come i cattivi. Joseph McCarthy e la gente della sua razza lo hanno fatto negli anni ’50 con la “caccia alle streghe” del maccartismo, e l’FBI tentò di farlo, tra gli altri, con Paul Robeson e Martin Luther King jr. Oggi quella tattica vergognosa è rispuntata. La diffamazione ora in voga è accusare qualcuno di sostenere la cospirazione QAnon, anche se non è vero.

La diffamazione degli avversari politici perché “sostengono” Q è passata dagli ambigui provocatori online ai notiziari televisivi. Sembra che all’improvviso ogni altra parola di certi conduttori ed esperti dei telegiornali via cavo cominci con “Q”, e che la maggior parte dei Democratici si sieda intorno al tavolo per cenare e discutere della cospirazione e come sta influenzando la classe di quarta elementare di Timmy.

Ironia della sorte, secondo l’ultimo sondaggio [in inglese] del Pew Research Center, quasi la metà del paese ha sentito parlare di QAnon, e la maggior parte di questa metà è composta da Democratici. La consapevolezza di Q è cresciuta notevolmente dal 23% di marzo al 47% di settembre.

Uno dei motivi è il veloce aumento dell’impegno nel fare pubblicità alla cospirazione estremista. E’ arrivato sempre più denaro ai mercenari digitali per umiliare e stalkerizzare via social non solo obiettivi individuali ma anche interi blocchi di preferenza elettorale.

QAnon è un’idea senza alcuna struttura, senza catena di comando e senza alcuna regola. Chiunque può aprire un canale YouTube o un account su un altro social media e dichiarare di essere un membro anonimo, quindi sfruttare e diffondere qualsiasi folle dichiarazione voglia fare. Con l’ascesa dei social media e il reclutamento di tecnologi di realtà virtuale e di “gaming”, questi consulenti hanno fornito nuovi mezzi e portato l’arte della calunnia ad un nuovo livello. Dai diffamatori TED Talks ai documentari approssimativi che dicono falsità su individui che non hanno nulla a che fare con QAnon, il danno causato all’obiettivo può essere grave. Spesso, chi rivolge le accuse fa riferimento a fonti non accreditate [in inglese].

Ma non possiamo bandire le persone che dicono cose folli. Che si tratti di antifa a Portland, di scandalose cospirazioni di Q o della Chiesa Battista di Westboro che protesta ai funerali, il Primo Emendamento protegge il discorso problematico.

Sempre più spesso, e indipendentemente dalla propria affiliazione politica, se si fa eco alla narrativa dell’establishment, si è esposti ad essere attaccati.

Screditare gli ex membri dell’intelligence

La campagna diffamatoria “Q” è stata utilizzata nel tentativo di screditare alcuni dei più rispettati ex membri della comunità dell’intelligence americana, tra cui la VIPS, Veteran Intelligence Professionals for Sanity [un gruppo di ex ufficiali della United States Intelligence Community]. Prendere di mira i membri della VIPS è strategico. Uno di loro è l’ex analista della CIA Ray McGovern, che ha diretto la National Intelligence Estimates [la raccolta delle valutazioni scritte più autorevoli provenienti dall’intelligence americana su specifici temi di sicurezza nazionale] e ha preparato i briefing presidenziali giornalieri per i presidenti Richard Nixon, Gerald Ford e Ronald Reagan; un altro è l’ex tecnologo dell’NSA Bill Binney [in inglese], anche lui preso di mira [in inglese] come facente parte dei “vertici” di Q.

Screenshot della grafica che appare al 47° minuto del video di TED-X Mid-Atlantic dal titolo “Esclusiva: smantellamento di QAnon.”

Per chi non lo ricordasse, VIPS è il gruppo che ha giustamente sfatato la falsa narrativa del “Russiagate” che pervadeva la presidenza Trump. Il rapporto di VIPS è stato portato alla ribalta dal The Nation con un articolo intitolato “Una nuova inchiesta solleva grandi domande sull’hackeraggio del Comitato Nazionale Democratico dello scorso anno[in inglese]. A causa di quell’analisi, i leader di VIPS sono stati accusati di lavorare per la Russia. Tornando al 2021, esattamente gli stessi leader sono accusati di essere membri del trust di cervelli di Q.

Un’altra tendenza preoccupante è l’uso di elementi stranieri per gestire la diffamazione di Americani. Per esempio, un diffamatore vive in Messico, mentre un altro, che vive in Europa, si autodefinisce ex membro di un gruppo di estremisti conosciuto come Anonymous. Sorge quindi la domanda: “Chi li paga?”.

E qual è il rischio potenziale di tutto questo nella società? Chi è preso di mira in questo modo può potenzialmente perdere il lavoro, la casa, gli amici. Il tutto perché decide di farlo qualche cyber-mercenario deviato o politicamente motivato sul libro paga di Washington o di un paese straniero.

Molte delle stesse potenti forze che hanno guidato il Russiagate sono le stesse che ora operano guidando le diffamazioni Q, in collusione con YouTube, Twitter e Facebook che eseguono i loro ordini. Ho parlato pubblicamente e molte volte contro Q perché sono convinto che sia una pericolosa operazione psicologica che danneggia chi è vittima di questo lavaggio del cervello, e gli innocenti che ne sono colpiti.

Ma negli ultimi mesi sui social media e sulla tv via cavo c’è stato un grande aumento di esperti e di ambigui personaggi che operano online che hanno trasformato le accuse di Q in moderni processi alle streghe di Salem. Adesso Q è un argomento di discussione, e ritrarre qualcuno in questa luce può screditarlo completamente, anche se innocente.

In certi giorni sembra che l’America sia entrata in quella sorta di distopia che Aldous Huxley ha descritto nel suo classico “Il nuovo mondo”. Se non vi dà da pensare, lo dovrebbe.

Trevor Scott FitzGibbon è presidente di Silent Partner e pluripremiato stratega di pubbliche relazioni, esperto di diritti umani e di protezione degli informatori per la lotta contro le campagne di disinformazione.

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Articolo di Trevor Scott FitzGibbon pubblicato su Consortium News il 4 febbraio 2021
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per Saker Italia.

[I commenti in questo formato sono del traduttore]


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