Ciò che è appena accaduto nella “Nazione Indispensabile” è niente meno che un 11 settembre geopolitico.
Ovviamente, con una differenza sostanziale: l’attentatore suicida è riuscito a sgusciare via dall’attacco, andato a buon fine, che puntava a decimare praticamente tutto l’establishment del partito della guerra-neocon-neoliberalcon-Wall Street-think tank-media corporativi.
E poi, una volta posatesi le ceneri, quando nessuno credeva di rivederlo, eccolo riapparire per calare “l’asso piglia tutto” [Gioco di parole sul verbo to trump = “calare l’asso o la briscola”].
La geopolitica interna è stata la chiave – come nella campagna elettorale di Trump la strategia di dominare il territorio della rust belt [“la fascia della ruggine”, ovvero i grandi distretti industriali del midwest, ora in totale decadenza], la demografia ed i rudimenti della lotta di classe – per infrangere efficacemente la tanto decantata “muraglia blu” democratica.
Nonostante i requiem già intonati – la “tragedia americana” volge al termine – non ci sarà una rivoluzione armata negli USA. Non ci sarà guerra civile. I “deplorevoli” hanno mostrato il dito medio alle élite della modernità liquida, ma non ci saranno accanimenti vendicativi da parte dei vincitori.
Ed a livello geopolitico – che è ciò che interessa soprattutto al mondo – non ci sarà nessuna “guerrafondaia in capo”.
Cuore di vetro
Donald Trump – populista o meno, certamente il collettore di una rivolta di massa degli esclusi e diseredati – è riuscito a distruggere il mito auto alimentantesi della “stabilità/prevedibilità/credibilità” delle istituzioni USA, poiché si trattava di qualità già svuotate di significato, decantate ormai solo da una manica di vanagloriosi funzionari dell’Impero (“uomini vuoti, uomini stupidi, teste di paglia”, per citare T.S. Eliot).
A parte la corruzione – debitamente rivelata da WikiLeaks [in inglese] – tutto ciò che veniva offerto era un’imperialista neocon-neoliberalcon “umanitaria”, con una spiccata predilezione per le “soluzioni” militari ai problemi creati e/o moltiplicati da quegli stessi funzionari dello “Eccezionalistan”.
Nessuna meraviglia, dunque, che “il banchetto dei mendicanti” abbia visto chiaramente attraverso la vetrina e – non bevendosi il mito della “esperta”, “capace” e “pragmatica progressista” – l’abbia lasciata rimbalzare contro il vetro.
Certo, ci sono ragioni per dubitare di cosa potrebbero architettare certi vecchi volponi quali Newt Gingrich o il Generale Michael Flynn come possibili membri del gabinetto. Ciò che è sicuro, però, è che le priorità cesseranno di essere il regime-change in Russia ed il contenimento della Cina in stile “pivot to Asia” (dopotutto, proprio Hillary è stata la madre del pivot).
Il Global Times, riflettendo ciò che pensa davvero l’élite cinese, ha colto sostanzialmente nel segno: “Trump non ha semplicemente battuto la Clinton, ma anche le convinzioni politiche delle tradizionali élite e dei poteri che lei appoggia”. Ciò che rimane da dire, è che Trump è uno con cui Pechino può fare buoni affari.
Il primo test sarà ovviamente a gennaio. Non possiamo dimenticare che, secondo il Pentagono, Russia e Cina – in quest’ordine – rimangono le due principali “minacce esistenziali” per gli USA.
Il Generale Joseph Anderson, incaricato dello Stato Maggiore dell’Esercito per le operazioni, la pianificazione e l’addestramento, ha sottolineato [in inglese] solo poco tempo fa come gli USA debbano fronteggiare minacce esistenziali da parte di “stati-nazione che agiscono aggressivamente nella competizione militare”. Ed il Capo di Stato Maggiore, Generale Mark Milley ha sottolineato come una guerra contro una di queste minacce o anche contro entrambe, sia “pressoché garantita”.
Toccherà al Presidente Trump disinnescare questa follia. A differenza di Hillary, che è una convinta sostenitrice della dottrina del first-strike nucleare, Trump ha quantomeno promesso, in uno dei dibattiti, che non sarà lui ad iniziare la Terza Guerra Mondiale.
Inoltre, non ci saranno più intorno i neocon/neoliberalcon a caldeggiare una politica interventistica “muscolare” dai confini della Russia fino al Mar Cinese Meridionale, passando per una no-fly-zone in Siria in stile “Al-Qaeda Air Force”. Trump non sembra incline a voler “mettere ordine” nel caos fomentato dall’Impero, dal “Siraq” alla Libia, dallo Yemen alla Somalia; ha solamente promesso di bombardare l’ISIS/ISIL/DAESH fino a polverizzarlo.
La disperata supplica [in inglese] dell’ex-vassallo segretario generale della NATO, Anders “nebbia di guerra” Rasmussen, [gioco di parole sul nome Fogh, con l’espressione “fog of war”] – “Abbiamo bisogno dell’America come poliziotto del mondo” – resterà inascoltata.
L’Iran, invece, resterà un punto caldo. Flynn, non scevro da indottrinamento neocon, è un “iranofobo” certificato. Il Presidente Iraniano Hassan Rouhani l’ha prevenuto, dichiarando che l’accordo sul nucleare Iraniano non è annullabile (e dal punto di vista del diritto, ha pienamente ragione).
Trump l’Eurasiatico?
Come sempre, alla fine i conti si fanno con la Cina. Al recente Forum di Valdai, Fu Ying, segretario del Comitato per gli Affari Esteri del Congresso Nazionale del Popolo Cinese, è andato dritto al punto: “la Cina vede l’attuale ordine mondiale dominato dagli USA come un disastro, ed è per questo che non ha nessuna intenzione di prenderne il posto. Perché la Cina dovrebbe ripetere gli stessi errori già commessi dagli USA?”.
Con Pechino che non intende prendere il sopravvento, mentre Trump si concentra sul rimettere in piedi gli USA, si profila l’apertura di un vuoto di potere geopolitico, anche se non è da escludere che Trump offra un accordo di condivisione del potere – proposta che la Cina non potrà rifiutare – basato sul mutuo rispetto delle sfere d’influenza.
Lo stesso si potrebbe prospettare riguardo all’isteria da “Guerra Fredda 2.0”; non è infatti improbabile che vedremo Trump accettare la Crimea come parte del nuovo status quo, un vero accordo Minsk II ed il rispetto della sfera d’influenza della Russia: in un batter d’occhio, la “Guerra Fredda 2.0” potrebbe dissolversi. Parliamo qui di un vero reset nelle relazioni – non quello di Hillary, che ha mostrato un Dipartimento di Stato così handicappato da non saper nemmeno scrivere correttamente la parola “reset” in russo.
E che dire dei trattati TPP e TTIP? Considerando l’avversione di Trump per il NAFTA, è improbabile che la duplice ossessione geo-economica e geo-strategica dell’amministrazione Obama abbia ancora vita lunga. Hillary era incantata dal binomio USA-EU come “il massimo obiettivo strategico” della nostra “alleanza transatlantica”, con ciò intendendo la NATO. Trump, dal canto suo, non è propriamente un entusiasta della NATO – a meno che tutti i membri non vi contribuiscano religiosamente con il 2% del loro PIL. Perciò non scommetterei su di un futuro innamoramento di Trump per una “NATO economica”.
Le conseguenze di tutto ciò nel lungo periodo sono qualcosa di realmente straordinario: la progressiva dissoluzione del blocco politico/economico/militare US-EU, in parallelo all’inesorabile ascesa dell’integrazione Eurasiatica – estesa dalla partnership Sino-Russa fino all’interconnessione con l’SCO e i BRICS.
Immaginate dunque Trump rovesciare completamente la dottrina del Dr. Zbig “Grande Scacchiera” Brzezinski: “Per rispondere efficacemente ad entrambe le estremità, occidentale ed orientale, dell’Eurasia, il continente centrale e più critico, gli USA devono giocare un doppio ruolo. Devono essere i promotori ed i garanti di una maggiore e più ampia integrazione ad Occidente, e devono essere i bilanciatori e mediatori tra le maggiori potenze ad Oriente”.
Gli USA non sono ormai più in condizione di fare da promotori, garanti, bilanciatori o mediatori di alcunché – a cominciare da sé stessi. Ora, immaginate Donald Trump rivelarsi in fin dei conti un eurasiatico nel cuore – per delega: ebbene, questo sì che sarebbe il terremoto-Trump definitivo.
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Articolo di Pepe Escobar pubblicato da Sputniknews.com il 09.11.2016
Traduzione in Italiano a cura di Jacobus per SakerItalia.it
[le note in questo formato sono del traduttore]
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