E’ buio alla pausa di mezzogiorno (tropicale).

Jean Baudrillard una volta ha definito il Brasile “la clorofilla del nostro pianeta”. Eppure, una terra ampiamente riconosciuta a livello mondiale come il paese con il soft power della gioia di vivere, ha eletto a presidente un fascista.

Il Brasile è una terra devastata. L’ex paracadutista Jair Bolsonaro è stato eletto con il 55,63% dei voti. Anche se c’è stato il record di 31 milioni di schede bianche o nulle. Non meno di 46 milioni di Brasiliani hanno votato per il candidato del Partito dei Lavoratori, Fernando Haddad, professore ed ex sindaco di San Paolo, una delle megalopoli critiche del sud del mondo. Il vero fatto sorprendente è che più di 76 milioni di Brasiliani hanno eletto Bolsonaro.

Il suo primo discorso da presidente trasudava la sensazione di una jihad “trash” fatta da una setta fondamentalista, condita di onnipresente volgarità e di incitazioni di una dittatura per diritto divino, come via verso una nuova età dell’oro per il Brasile.

Il sociologo franco-brasiliano Michael Lowy ha descritto [in inglese] il fenomeno Bolsonaro come “politica patologica su larga scala”.

La sua ascesa è stata facilitata da una congiunzione senza precedenti di fattori tossici: l’impatto sociale di massa della criminalità, che ha portato alla convinzione diffusa che la repressione violenta sia l’unica soluzione; il rifiuto concertato del Partito dei Lavoratori, catalizzato dal capitale finanziario, dai rentiers, dal business agroalimentare e dagli interessi di pochi; lo tsunami evangelico; un sistema di giustizia che storicamente favorisce le classi più elevate ed è organico nella formazione – finanziata dal Dipartimento di Stato – di giudici e pubblici ministeri, tra cui il famoso Sergio Moro, il cui scopo fisso durante la presunta indagine anti-corruzione Car Wash, era di mandare Lula in prigione; l’assoluta avversione per la democrazia da parte di molti settore delle classi dominanti brasiliane.

Tutto questo sta per fondersi in un graduale e congenito shock neoliberale, radicalmente anti popolare. Parafrasando Lenin, un caso di fascismo all’ultimo stadio del neoliberismo. Dopotutto, quando un fascista spaccia un programma di libero mercato, gli vengono perdonati tutti i suoi peccati.

Il regno di BBBB

Bolsonaro: leader di una jihad “trash”

E’ impossibile capire l’ascesa di Bolsonaro senza considerare il contesto dell’estremamente sofisticata guerra ibrida scatenata sul Brasile da parte dei soliti sospetti. Che la NSA spiasse – a partire dal gigante dell’energia Petrobras fino al telefono mobile dell’allora presidente Dilma Roussef – era noto sin dalla metà del 2013, dopo che Edward Snowden aveva ha rivelato che negli anni 2000 il Brasile era stato il paese più spiato dell’America Latina.

La Scuola Superiore di Guerra di Rio, inginocchiata al cospetto del Pentagono, è stata sempre favorevole ad una graduale – ma sicura – militarizzazione della politica brasiliana in linea con gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Il curriculum delle migliori accademie militari americane è stato adottato acriticamente dalla Scuola Superiore di Guerra.

I manager del complesso industriale-militare-tecnologico brasiliano sono ampiamente sopravvissuti alla dittatura del 1964-1985. Hanno imparato tutto sulla guerra psicologia dalla Francia in Algeria e dagli Americani in Vietnam. Nel corso degli anni hanno fatto evolvere la loro concezione del nemico interno: non solo i proverbiali “comunisti” ma che la Sinistra nel suo complesso, oltre alle vaste masse di diseredati brasiliani.

Questo ha portato alla situazione attuale, in cui i generali minacciano i giudici se mai volessero liberare Lula. Il compagno di elezioni di Bolsonaro, il rozzo Generalito Hamilton Mourao, ha persino minacciato un colpo di Stato militare se non avessero vinto. Bolsonaro stesso ha detto che non avrebbe mai “accettato” una sconfitta.

Questo sviluppo della militarizzazione della politica si è perfettamente armonizzata con il Congresso brasiliano da cartone animato stile BBBB [bullet, beef, bible, bank, cioè proiettili, manzo, bibbia, banca].

Il Congresso è virtualmente controllato da forze militari, politiche e paramilitari; dalle lobby agroalimentari e delle miniere, con il loro obiettivo supremo di saccheggiare la foresta amazzonica; dalle fazioni evangeliche; dal capitale di banche e finanza. E confrontiamo tutto questo con il fatto che più della metà dei senatori e un terzo del Congresso sono indagati.

La campagna di Bolsonaro ha usato tutti i trucchi possibili per evitare ogni possibilità di dibattito in TV, fedele al concetto che il dialogo politico è per gli idioti, soprattutto quando non c’è nulla su cui discutere.

Dopotutto, il principale consulente economico di Bolsonaro, il “Chicago boy” Paulo Guedes, attualmente indagato per frode fiscale, ha già promesso di “guarire” il Brasile portando i soliti doni: privatizzare tutto, distruggere la spesa sociale, sbarazzarsi di tutte le leggi del lavoro e del salario minimo, permettere alla lobby della carne bovina di saccheggiare l’Amazzonia, aumentare il possesso di armi da parte di tutti i cittadini fino ai livelli super-NRA [National Rifle Association].

Non stupisce che il Wall Street Journal abbia normalizzato Bolsonaro come “populista conservatore” e “bonificatore brasiliano”. Questo appoggio infondato ignora che Bolsonaro è un politico da due soldi che ha passato solo due testi di legge in tutti i suoi scialbi 27 anni al Congresso.

 Whatsappami per la Terra Promessa

Anche se le grandi masse disinformate si rendono progressivamente conto della massiccia campagna-truffa manipolatoria che Bolsonaro ha fatto su WhatsApp (una saga tropicale post Cambridge Analytica), e anche se Bolsonaro ha promesso, per la cronaca, che dopo le elezioni di domenica gli oppositori potevano solo scegliere tra due opzioni (il carcere o l’esilio), tutto questo non è stato sufficiente per fermare il Brasile sul suo cadente e inesorabile cammino verso una distopica e militarizzata BET [Banana Evangelical Theocracy], cioè una Teocrazia Evangelica delle Banane.

Un gruppetto di uomini d’affari che, attraverso i fondi neri, finanziano una campagna di fake news multi-tentacolare su WhatsApp contro il Partito dei Lavoratori e Haddad, il candidato di Lula, in ogni matura democrazia sarebbero considerati come un grave scandalo.

WhatsApp è molto popolare in Brasile, molto più di Facebook. Doveva quindi essere correttamente strumentalizzato in questo remix brasiliano della guerra ibrida stile Cambridge Analytica.

Le tattiche sono state assolutamente illegali perché si proponevano come donazioni elettorali e donazioni aziendali non dichiarate (proibite dalla Corte Suprema del Brasile dal 2013). La Polizia Federale brasiliana ha avviato una indagine che ora è destinata a dirigere nella stessa maniera con cui i Sauditi indagano internamente sul fiasco alla Pulp Fiction di Istanbul.

Lo tsunami di fake news è stato gestito dai cosiddetti Bolso-minions. Sono un esercito di volontari ultra-leali, che purgano chiunque osi mettere in discussione il “Mito” (appena ci si riferisce al leader), mentre – 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 – trasformano i contenuti in meme, video virali falsi e dimostrazioni assortite della collera del “Bolso-sciame”.

Considerate l’indignazione di Washington nei confronti dei Russi che possono aver interferito sulle elezioni americane, presumibilmente utilizzando le stesse tattiche degli Stati Uniti e delle sue elite di “comprador” in Brasile.

Distruzione dei BRICS

Distruggere i BRICS (presidenza russa)

Per quanto riguarda Washington, in politica estera il Reichskommissar Bolsonaro potrebbe essere molto utile su tre fronti.

Il primo è quello geo-economico: fare la parte del leone nei vasti giacimenti “pre-salt” per i giganti dell’energia americani.

Sarebbe il seguito necessario per dare il colpo di grazia contro Dilma Rousseff, che nel 2013 aveva approvato la legge che destinava il 75% della royalty sulle ricchezze petrolifere all’educazione e il 25% all’assistenza sanitaria, corrispondente alla cifra significativa di 122 miliardi di dollari in dieci anni.

Gli altri due fronti sono geopolitici: far saltare dall’interno i BRICS, e far fare al Brasile il lavoro sporco nelle operazioni di cambio di regime in Venezuela, realizzando così l’ossessione di Washington di spezzare l’asse Venezuela-Cuba.

Usando il pretesto dell’immigrazione di massa dal Venezuela verso il tratto brasiliano dell’Amazzonia, la Colombia – elevata allo stato di partner chiave della NATO e sostenuta da Washington – deve contare sull’appoggio militare del Brasile per il cambio di regime.

E poi c’è la storia cruciale della Cina.

La Cina e il Brasile sono stretti partner BRICS. Ormai i BRICS sono essenzialmente RC (Russia e Cina), con grande disappunto di Mosca e Pechino che contavano su Haddad e sul fatto che seguisse le orme di Lula, fattore che è stato determinante nel rafforzare il prestigio geopolitico dei BRICS.

Tutto questo ci porta a un punto di svolta fondamentale nel colpo di Stato nella guerra ibrida in corso, quando cioè i militari brasiliani si sono convinti che nel governo della Rousseff si erano infiltrati degli agenti segreti cinesi.

Tuttavia, la Cina rimane il principale partner commerciale del Brasile, prima degli Stati Uniti, con un volume di scambi commerciali che lo scorso anno ha raggiunto i 75 miliardi di dollari. In parallelo, essendo un avido consumatore di prodotti brasiliani, Pechino già dal 2003 ha investito 124 miliardi di dollari in aziende e progetti infrastrutturali in Brasile.

Il Chicago Boy Guedes ha incontrato di recente dei diplomatici cinesi. Bolsonaro deve ricevere un’importante delegazione cinese proprio all’inizio del suo mandato. Durante la campagna elettorale, ha martellato sul fatto che “la Cina non sta comprando in Brasile, bensì comprando il Brasile”. Bolsonaro potrebbe provare a mettere la marcia su una mini sanzione-Trump contro la Cina. Ma deve rendersi conto che la potente lobby del business agroalimentare sta traendo immensi profitti dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina.

Un potente finale a sorpresa è garantito al summit dei BRICS del 2019, che si terrà in Brasile: immagino quel tipo tosto di Bolsonaro quando sarà faccia a faccia col vero boss, Xi Jinping.

Poi, che cosa ha in mente l’esercito brasiliano? Risposta: la “dottrina della dipendenza” brasiliana, cioè un vero incrocio neocoloniale.

A un certo livello, la leadership dell’esercito brasiliano è orientata allo sviluppo e all’integrazione territoriale, ai confini ben controllati e ad un “ordine” interno, sociale ed economico totalmente disciplinato. Allo stesso tempo credono che tutto questo dovrebbe essere svolto sotto la supervisione della “nazione indispensabile” [gli Stati Uniti].

I capi militari credono che il loro paese non sia abbastanza esperto per combattere il crimine organizzato, la cyber-security, la bio-security e, per quanto riguarda l’economia, per dominare completamente uno Stato minimale associato ad una riforma fiscale e all’austerity.

L’inevitabile conseguenza è considerare le nazioni sudamericane e africane come “untermenschen[sub-umane]: una reazione contro l’enfasi che Lula e Dilma hanno dato all’Unione delle Nazioni del Sud America (UNASUR) e a una più stretta integrazione energetica e logistica con l’Africa.

 Non si può escludere un colpo di Stato militare

Nonostante questo, c’è un dissenso militare interno, che potrebbe aprire una via possibile verso la rimozione di Bolsonaro, cioè un semplice pupazzo, a beneficio di una cosa reale: un generale.

Quando era al potere il Partito dei Lavoratori, la Marina e l’Aeronautica sono stati compiaciuti da dei progetti strategici, come un sottomarino nucleare, un caccia supersonico e dei satelliti lanciati da dei razzi “made in Brazil”. Rimane da vedere le loro reazioni in caso Bolsonaro metta fine definitivamente a questi passi avanti tecnologici.

La questione chiave potrebbe essere se ci sia un collegamento diretto tra il fior fiore delle accademie militari brasiliane e i “generali dipendenti” con le loro tecniche psicologiche, le diverse fazioni evangeliche e le tecniche post-Cambridge Analitica usate nella campagna di Bolsonaro. Sarà una nebulosa che unifica tutte queste cellule o una rete aperta?

Probabilmente la risposta migliore è fornita dall’antropologo di guerra Piero Leirner, che ha fatto approfondite ricerche nelle forze armate brasiliane e che mi ha detto [in brasiliano]: “non c’è un collegamento precedente. Bolsonaro è un fatto accaduto post. L’unica possibile connessione è tra certi tratti della campagna e la guerra psicologica”. Leirner sottolinea che “Cambridge Analytica e Bannon rappresentano l’infrastruttura ma la qualità dell’informazione, cioè mandare segnali contraddittori e poi dare un ordine decisivo come terza via, questa è la strategia militare da manuale della guerra psicologica della CIA”.

Ci sono però dei cedimenti. Leirner vede l’arco delle disparate forze che appoggiano Bolsonaro come un “lavoretto fatto a mano”, che prima o dopo si disintegrerà. Chi verrà dopo? Un Generale sub-Pinochet?

Esercito brasiliano: tenere d’occhio Bolsonaro

Perché Bolsonaro non è Trump

In “La strada verso il nulla. La rivolta populista e il futuro della politica”, David Goodhart dimostra che le forze trainanti del populismo non sono l’amore fascista per una ultra-nazione. E’ l’anomia, cioè quel sentimento di una vaga ed esistenziale minaccia posta dalla modernità. Si applica a tutte le forme di populismo di destra in Occidente.

Quindi abbiamo la contrapposizione tra i “da qualche parte” e gli “ovunque”. Abbiamo i “da qualche parte” che vogliono condividere la democrazia delle loro nazioni solo con l’etnia “domestica”, con una cultura nazionale non contaminata da influenze “straniere”.

E abbiamo gli “ovunque” che abitano nel vortice postmoderno e senza radici fatto di multiculturalismo e di viaggi all’estero per lavoro.  Questi sono una minoranza demografica ma una maggioranza all’interno delle elite politiche, economiche, educative e professionali.

Ciò porta Goodhart a fare una distinzione cruciale tra populismo e fascismo, ideologicamente e psicologicamente.

La distinzione legale standard può essere trovata nella legge costituzionale tedesca. Il populismo di destra è “radicale”, quindi legale. Il fascismo è “estremo”, quindi illegale.

Etichettare Trump come “fascista” è falso.  In Occidente Bolsonaro è stato etichettato come il “Trump tropicale”. Il fatto è che Trump è un populista di destra, che si trova a realizzare alcune politiche che possono anche avere il carattere della vecchia sinistra.

La cronaca mostra Bolsonaro come un razzista, misogino, omofobo, che arma la criminalità e che favorisce un bianco, patriarcale, gerarchico, etero-governato e “omogeneo” Brasile. Un’assurdità in una società profondamente ineguale ancora devastata dagli effetti dello schiavismo, dove la maggioranza della popolazione è di razza mista. Inoltre, dal punto di vista storico, il fascismo è la Soluzione Finale borghese e radicale per lo sterminio totale della classe lavoratrice. Il che rende Bolsonaro un fascista assoluto.

Trump è anche più moderato di Bolsonaro. Non incita i suoi sostenitori a sterminare in senso letterale i suoi oppositori. Dopo tutto, Trump deve rispettare il contesto di una repubblica con istituzioni democratiche di lunga data, anche se imperfette.

Non è mai stato così nella giovane democrazia brasiliana, in cui un presidente non dovrebbe ora comportarsi come se i diritti umani fossero un complotto comunista e dell’ONU. In Brasile la classi lavoratrici, le elite intellettuali, i movimenti sociali e tutte le minoranze hanno tutte le ragioni per avere paura del Nuovo Ordine. Citando Bolsonaro “loro saranno banditi dalla nostra madrepatria”. La criminalizzazione/de-umanizzazione di ogni opposizione significa, letteralmente, che decine di milioni di Brasiliani sono senza valore.

Parola a Nietsche

Il colpo di Stato in corso, fatto di sofisticata Guerra Ibrida, è iniziato in Brasile nel 2014, ha avuto un punto di flessione nel 2016, ed è culminato nel 2018 con l’impeachment di un presidente, l’arresto di un altro e la distruzione della destra e del centro-sinistra. E, in una maniera post-politica-steroidea, ha aperto la strada al neofascismo.

Ma Bolsonaro è un messaggio cifrato totalmente vuoto (e mediocre). Non ha la struttura politica, la conoscenza, per non parlare dell’intelligenza per arrivare così lontano, di punto in bianco, senza un iper-complesso, all’avanguardia, transnazionale sistema di intelligence a supporto. Non meraviglia che sia un prediletto di Steve Bannon.

Al contrario, la sinistra – come in Europa – ancora una volta si è bloccata in modo analogo. In nessuno modo un fronte progressista, specialmente in questo caso come era costituito all’undicesima ora, poteva verosimilmente contrastare lo tsunami tossico di guerra culturale, di politica dell’identità e di fake news micro-mirate.

Hanno perso la battaglia più importante. Almeno ora sanno che questa è una guerra totale e irriducibile. Per distruggere Lula – il primo prigioniero politico del mondo – le elite brasiliane dovevano distruggere il Brasile. Ancora, prevale sempre Nietzsche. Ciò che non ti uccide, ti rende più forte. L’avanguardia della resistenza globale contro il neofascismo, inteso come l’ultimo stadio del neoliberismo, si è ora spostato a sud dell’Equatore. No pasaràn.

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Articolo di Pepe Escobar pubblicato su The Saker il 31 ottobre 2018
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per SakerItalia

[le note in questo formato sono del traduttore]

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