Electric Yerevan’ sta andando fuori controllo
Gli armeni sono scesi in strada per protestare contro l’aumento programmato del 17-22% delle bollette dell’energia elettrica voluto dalla Armenian Electricity Network, in risposta al drammatico deprezzamento del dram armeno nel corso dell’ultimo anno (almeno pari in percentuale allo stesso aumento di prezzo). Anche se è comprensibile che in una nazione che economicamente non se la passa troppo bene, alcuni possano essere adirati per un aumento di 85$ all’anno, molti trovano preoccupante che certi individui non abbiano trovato niente di meglio da fare che armarsi e attaccare con ferocia la polizia, ed è sconcertante che i partecipanti preferiscano rigettare gli appelli del governo al negoziato, se tutto ciò che vogliono è solo l’annullamento degli aumenti delle bollette dell’energia elettrica. Dopo centinaia di arresti nei giorni scorsi per attività di teppismo, alcuni gruppi di persone stanno attualmente bloccando l’arteria principale della capitale ed hanno minacciato di marciare sul Palazzo Presidenziale, sulla scia di quello che hanno già fatto i loro predecessori dell’Euro-Maidan. Sempre più quello che poteva essere iniziato come un legittimo movimento di protesta, sembra essere stato deviato in un tentativo di rivoluzione colorata.
La situazione attuale
L’opposizione all’aumento delle bollette andava avanti fin dal maggio scorso, ma è stato solo da lunedi che l’iniziativa “no all’esproprio” è stata in grado di portare migliaia di contestatori nelle strade. Si sono riuniti in Piazza della Libertà, nel centro della città ed hanno chiesto l’annullamento dell’aumento. Il Presidente Serzh Sargsyan ha suggerito loro di scegliere cinque portavoce con cui lui potessa parlare, ma la folla ha rifiutato. Più tardi nella notte, alcuni provocatori interni hanno indotto la gente a marciare contro il Palazzo Presidenziale e, dopo il rifiuto di disperdere la loro manifestazione illegale, la polizia antisommossa è stata costretta all’uso dei cannoni ad acqua ed a massicci arresti per ripristinare l’ordine. Negli scontri che sono seguiti sono rimasti feriti 17 agenti di polizia e 7 manifestanti e alcuni dei 237 arrestati sono stati trovati in possesso di coltelli, tirapugni, manganelli e spranghe di ferro.
Il giorno dopo i contestatori erano arrivati ad essere 15.000, e ancora una volta la folla ha rifiutato il secondo invito del Presidente Sargsyan a negoziare. Probabilmente erano incoraggiati dalla dichiarazione ufficiale degli Stati Uniti sulla questione che, in uno stile che ricordava la sua prima risposta all’Euro-Maidan, asseriva:
“siamo turbati dalle notizie di un eccessivo uso della forza da parte della polizia per disperdere la folla la mattina del 23 giugno, come anche da diversi resoconti di abusi da parte della polizia sui fermati. Inoltre siamo preoccupati dalle voci secondo cui sarebbero stati specificamente presi di mira durante l’operazione i giornalisti ed il loro equipaggiamento. E’ tassativo che il governo conduca un’investigazione completa e trasparente sulle segnalazioni di eccessivo uso della forza da parte della polizia, in pieno accordo con la legge armena.”
Proprio come in Ucraina, quando un movimento di protesta anti-governativo sostenuto dagli Stati Uniti (ne più e ne meno come quello formatosi in Armenia) si oppose completamente a tutti i tentativi delle autorità di ripristinare la legge e l’ordine in risposta alle loro illegali provocazioni per conto terzi. La dichiarazione di implicito sostegno ai disordini è stata il segnale per gli organizzatori dei moti di Yerevan per occupare Baghramyan Avenue, la strada principale che porta al Palazzo Presidenziale e bloccarla, nella giornata di mercoledì, con un insieme di bidoni della spazzatura ed una “muraglia umana”. Il Ministro dell’Educazione ed alcuni parlamentari dell’opposizione hanno fisicamente preso parte a questa manifestazione, facendo capire come ci sia una spaccatura all’interno del governo. Quelli che sono dietro le quinte di questo movimento di destabilizzazione, hanno già ribattezzato il loro movimento “Yerevan elettrico” e questo è stato il segnale per tutti i gruppuscoli loro affiliati sparsi per la nazione di uscire allo scoperto e trasformare la protesta nella capitale in una ribellione che attraversa tutta la nazione.
Dietro le scene
Le caratteristiche di coordinamento dello “Yerevan elettrico” e le sue inquietanti somiglianze con l’Euro-Maidan ci fanno capire come esso si sia trasformato in una rivoluzione colorata. Tutti questi tentativi di cambio di regime hanno bisogno di un evento per galvanizzare la gente e occorre un pretesto per portare avanti le attività sovversive; un impopolare aumento delle tariffe elettriche ha soddisfatto questi requisiti di base. Dal momento che siamo anche in presenza di un elemento di genuina protesta, questo crea una copertura plausibile ed è possibile operare con la copertura di migliaia di manifestanti , facendone dei veri e propri scudi umani, e anche questo è un elemento in comune con l’Euro-Maidan. Le somiglianze però non si fermano qui, dal momento che lo “Yerevan elettrico” comporta anche una rete organizzativa clandestina, anch’essa indirizzata al cambio di regime.
Agli inizi di giugno, un’organizzazione fino ad allora rimasta nell’ombra chiamata “Contratto Civico” si è trasformata in partito politico ufficiale nazionale. La formazione è guidata da Nikol Pashinyan, un membro dell’opposizione già incarcerato per aver organizzato disordini popolari che, al congresso di inaugurazione del partito, ha dichiarato fiduciosamente che “stiamo fondando un partito che non intende stare a lungo all’opposizione e che prevede di prendere il potere in un prossimo futuro nella Repubblica Armena attraverso un voto popolare di fiducia”, e inoltre “la nostra speranza sono i giovani, siamo qui per aprire la strada del futuro ai giovani”. Una parte dell’attrazione che questo partito esercita su questo particolare target demografico potrebbe consistere nel fatto che questa è un’organizzazione di stampo nichilista che apparentemente è contro tutti (governo e opposizione attuale) ma non dice chi sostiene. Prevede in via del tutto ipotetica di presentare una piattaforma programmatica a ridosso delle elezioni parlamentari del 2017, ma fino ad allora fa da polo di attrazione per tutti gli scontenti, non importa di che cosa. Questo la rende una forza efficace nell’organizzare attività antigovernative, come si è visto molto bene dall’intensità dei disordini dei giorni scorsi.
Pashinyan è diventato la faccia più visibile dello “Yerevan elettrico”. Ha fatto la spola fra numerose stazioni di polizia per insistere sul rilascio dei suoi sostenitori finiti in guardina e ha continuamente offerto interviste ai media. Infatti è stato lui che ha dato l’ordine di creare la “muraglia umana” e che “tutti i precedenti e attuali membri del parlamento, studiosi, presentatori televisivi, avvocati, reporters, esponenti del clero e tutte le altre cariche pubbliche visitassero il luogo dove si svolgeva il braccio di ferro”. Se si pensa alla sua fretta di prendere il potere (come da programma di partito), ci si potrebbe aspettare che faccia pressione sui sostenitori di Contratto Civico perché richiedano elezioni anticipate rispetto alle date programmate del 2017 e 2018. Se facesse causa comune con i suoi vecchi alleati della coalizione di minoranza dell’opposizione nel Congresso Nazionale Armeno (7 seggi su 131), di cui alcuni membri ieri sono usciti dall’Assemblea Nazionale per mostrare solidarietà con lo”Yerevan elettrico” e attirasse ancora qualche parlamentare alla sua causa, allora questo scenario sarebbe certamente realizzabile. Inoltre, “iniziative civiche”, come le proteste contro l’aumento dell’energia elettrica, hanno attirato l’attenzione interessata della rete di “Open Democracy” di George Soros anche prima dell’attuale festino, mostrando come il famoso miliardario promotore di rivoluzioni colorate e la sua associazione siano profondamente influenti sul corso degli eventi.
Scopi geopolitici
Come in tutte le rivoluzioni colorate, quelli che sostengono lo “Yerevan elettrico” sono motivati da interessi geopolitici concreti. Vogliono insediare un governo anti-russo che faccia uscire l’Armenia dall’Unione Economica Euroasiatica e rompa la storica amicizia fra entrambi gli Stati, seguendo il modello portato avanti dal governo insediatosi dopo il colpo di Stato dell’Euro-Maidan. Pashinyan è un feroce critico di tutti gli aspetti dello speciale rapporto che l’Armenia ha con la Russia ed ha esperienza con organizzazioni anti-governative, da qui la sua attuale designazione a leader di fatto della rivoluzione colorata. Gli Stati Uniti vogliono inoltre trascinare la Russia in un nuovo conflitto militare sulla questione del Nagorno-Karabakh, usando nazionalisti di recente insediamento (post-golpe) come Pashinyan per aggravare la situazione con l’Azerbaijan fino allo scontro vero e proprio, scontro in cui la Russia, con i suoi obblighi verso l’Armenia derivanti dall’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva e la sua 102° base militare a Gyumri, finirebbe inevitabilmente per essere coinvolta. Gli Stati Uniti non sono riusciti ad ottenere dalla Russia in Ucraina un disastroso intervento militare stile-afgano, ma questo non significa che non cercheranno di fare la stessa cosa nel Caucaso, dopo un possibile successo dello “Yerevan elettrico”.
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Articolo di Andrew Korybko, pubblicato su Thesaker.is il 24/06/2015
Tradotto da Mario per Sakeritalia.it
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