L’influenza sempre crescente di Russia e Cina in Asia centrale sta tenendo gli Stati Uniti abbastanza agitati. Prevedibilmente, negli ultimi due anni, Washington ha intensificato i suoi sforzi per dominare la regione attraverso mezzi sia economici che militari.
In questo contesto, l’enfasi che gli Stati Uniti hanno posto sullo sviluppo dei suoi legami con l’Uzbekistan merita una menzione a parte. La quantità di energia investita nell’approfondimento dei legami bilaterali è stata esaminata in modo molto dettagliato [in inglese] dalla società analitica americana Stratfor, che viene spesso definita l’ombra della CIA. Non sorprende che tutto questo trambusto non sia stato intrapreso per niente, poiché tra tutti i paesi dell’ex blocco sovietico l’Uzbekistan è di gran lunga il più forte. Questo è esattamente il motivo per cui Washington vuole sia Mosca che Pechino fuori da questa repubblica il prima possibile. Si dice che cercherà di rianimare i suoi legami economici con Tashkent nonostante il numero sempre crescente di investimenti fatti da Russia e Cina nello sviluppo dell’economia uzbeka. Allo stesso tempo, Stratfor non tiene segreto il fatto che gli Stati Uniti ancora una volta cercheranno di rovinare ogni accordo, unione o associazione in tutta la regione che non porterà benefici alla sua politica estera.
Non sarà un’impresa da poco, in quanto l’unico modo attraverso il quale gli Stati Uniti possono sperare di portare la Nuova Via della Seta (OBOR) ad una brusca frenata è attraverso la destabilizzazione dell’Asia centrale, e Pechino ne è pienamente consapevole. Inoltre, se Washington riuscirà a prendere piede in un certo numero di capitali locali, sarà in grado di esercitare un controllo più stretto sulla situazione nello Xinjiang cinese, popolato da musulmani. Poi, se dovesse riuscire nei suoi tentativi di radicalizzare la popolazione locale, Mosca si troverà particolarmente vulnerabile, dato che la Russia ospita una massiccia comunità musulmana, parte della quale viaggia regolarmente in Asia centrale a causa dell’assenza di restrizioni sui visti.
Gli sforzi di Washington per trasformare l’Uzbekistan in un pilastro dell’influenza occidentale sono dettati dal fatto che si tratta di un paese musulmano densamente popolato, che condivide un confine comune con tutti i paesi della regione, il che può aiutare gli Stati Uniti a raggiungere i propri obiettivi di politica estera a lungo termine in questa parte del mondo.
Lo scorso febbraio, a Tashkent si è svolta un’altra tornata di consultazioni tra uzbeki e statunitensi, con il Pentagono che ha chiesto un incontro di generali di alto profilo dell’Asia centrale e meridionale. Di recente è stato chiarito che gli Stati Uniti avrebbero sostenuto che l’Uzbekistan avrebbe svolto il ruolo di mediatore nei negoziati volti a risolvere il conflitto afghano.
Va notato che la cooperazione militare tra l’Uzbekistan e gli Stati Uniti ha raggiunto il suo picco dopo gli attacchi terroristici dell’11 Settembre. Allora, gli Stati Uniti piazzarono una base militare in questa repubblica, che venne utilizzata per facilitare le operazioni di Washington in Afghanistan. Tuttavia, le cose cambiarono in seguito agli eventi di Andijan [le proteste con vittime del 2005], quando Washington si sentì abbastanza audace da criticare Tashkent per la sua gestione della situazione. Tuttavia, le autorità uzbeke non erano inclini a sopprimere il loro orgoglio, e chiesero alle forze armate statunitensi di stanza nel paese di fare i bagagli e andarsene. Tuttavia, negli ultimi anni, i legami bilaterali tra Stati Uniti e Uzbekistan hanno iniziato a migliorare gradualmente, poiché le parti hanno trovato reciproco interesse nell’organizzare diverse attività militari insieme, il che è sottolineato dalle frequenti visite delle missioni militari statunitensi nella capitale uzbeka.
In questo contesto, Washington ha cercato di rafforzare in fretta la propria ambasciata in questo paese, inviando esperti veterani ad occupare varie posizioni a Tashkent. Pertanto, per coloro che hanno seguito da vicino la situazione in Uzbekistan, l’annuncio che Daniel Rosenblum è stato nominato nuovo ambasciatore degli Stati Uniti a Tashkent non è stato una sorpresa.
Questa decisione sembrerebbe essere in linea con la tendenza attuale di frequenti cambi degli ambasciatori statunitensi, specialmente quelli inviati in Asia centrale negli ultimi mesi. Questi gentiluomini godono della reputazione di famosi sobillatori, in particolare William Moser [in inglese] e John Pommersheim. Tuttavia, la nomina di Daniel Rosenblum non si adatta a questa tendenza. Dopotutto, non è un normale membro del Congresso o un altro sponsor della campagna presidenziale, ma un professionista esperto.
Daniel Rosenblum si è laureato all’Università di Yale, uno storico laureato in studi sull’era sovietica e in economia internazionale. In realtà, è un Vice Sottosegretario di Stato per l’Asia meridionale e centrale. Inoltre, a differenza del suo predecessore, non è solo un professionista, ma un uomo che ha lavorato sul campo per molti anni.
È curioso che l’Ambasciatore Rosenblum sia un diplomatico con una vasta esperienza nella gestione di ONG e organizzazioni pubbliche. Inoltre, suo padre trascorse decenni nei tentativi di indebolire l’Unione Sovietica attraverso la struttura delle organizzazioni ebraiche che promuovevano l’emigrazione dall’Unione Sovietica. Rosenblum Jr. ha portato avanti la fiaccola della promozione della politica estera degli Stati Uniti finanziando organizzazioni non governative in tutta la CSI attraverso l’USAID, con alcuni di quegli stati presi di mira da destabilizzazioni e tentativi di colpo di Stato.
Pertanto, la nomina di Daniel Rosenblum è la prova che la regione dell’Asia centrale è diventata la pietra angolare della politica estera degli Stati Uniti. Ma proprio come con le sue nomine in Tagikistan e Kazakistan, Washington si aspetta che i suoi esperti piantagrane usino l’esperienza accumulata nel corso degli anni per influenzare lo sviluppo dei processi politici in Uzbekistan e nell’Asia centrale nel loro insieme, in una mossa disperata per raggiungere l’obiettivo finale di portare la regione lontano da Russia e Cina.
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Articolo di Martin Berger pubblicato su New Eastern Outlook il 2 giugno 2019.
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per Saker Italia.
[le note in questo formato sono del traduttore]
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