Domenica scorsa un gruppo di sconosciuti ha assaltato alcuni negozi di armi e una base militare nella città kazaka di Aktobe. Cercavano di impadronirsi delle armi. Gli assalitori sono stati catturati o uccisi. Le autorità del paese hanno introdotto il livello giallo di allarme terrorismo.
Perché i terroristi hanno scelto Aktobe?
Apparentemente non ci sarebbero i presupposti per tale scenario. Il presidente Nursultan Nazarbajev è riuscito a creare un ordinamento statale efficiente che poggia su solide basi economiche. Negli ultimi decenni, nonostante molti problemi e difficoltà, si è riusciti a mantenere una pacifica convivenza tra le varie etnie e una stabilità politica interna.
Ma nel mondo moderno i problemi sorgono non dove ci sono dei reali presupposti di carattere interno, ma riguardano piuttosto coloro che sfortunatamente si vengono a trovare in punti di sovrapposizione di interessi di attori geopolitici.
Così, ad esempio, il regime di Muammar Gheddafi era stabile ed economicamente prospero. Ciò nonostante, in un giorno tragico alcuni “ribelli” (riconosciuti in seguito dalla comunità internazionale come guerriglieri islamisti provenienti dall’estero) hanno assaltato una base militare a Bengasi e scatenato una guerra civile finita nella completa distruzione dello stato libico.
La rivolta armata ad Aktobe somiglia molto all’inizio della guerra libica. Solo che è fallita. Gli islamisti hanno devastato le armerie e cercato di impadronirsi di una base militare. Se ci fossero riusciti, allora senza dubbio, con l’arsenale in loro possesso, avrebbero potuto armare un piccolo esercito e tentare di creare un qualche “governo degli insorti”.
Aktobe è localizzata in una posizione tale da favorire proprio uno sviluppo di eventi sulla falsariga dello scenario libico. E’ una città abbastanza grande da poter diventare la capitale degli insorti. Allo stesso tempo, è lontana dagli altri grandi centri kazaki. E anche i principali raggruppamenti delle forze armate ne sono lontani, perché si concentrano lungo i problematici confini meridionali del Paese. Per giunta l’esercito è piuttosto piccolo rispetto all’immenso territorio kazako. Quindi sarebbe stato difficile spostare rapidamente una quantità di militari sufficiente per soffocare la rivolta, se questa si fosse estesa.
Aktobe è un crocevia di strade, e ciò avrebbe reso facili gli spostamenti di reparti volanti dei ribelli verso il sud, l’est e l’ovest del Kazakistan, e anche verso il nord, dove a un centinaio di chilometri si arriva al confine russo.
Cento chilometri più a sud, a un’ora e mezzo di strada sui tradizionali pick-up dei jihadisti per i quali la steppa kazaka è altrettanto praticabile quanto il deserto libico, si trova lo snodo ferroviario di Kandyagash. La ferrovia che passa per Aktobe porta anch’essa al confine russo. Per ferrovia o per strada, tra Aktobe e Orenburg sono 300 km, ma in via diretta attraverso la steppa il percorso si riduce alla metà.
Il confine tra la Russia e il Kazakistan, partner dell’Unione economica euroasiatica, è un confine aperto. E anche se non fosse tale sarebbe comunque difficile chiudere migliaia di chilometri di confine nella steppa. Per far questo ci vuole un esercito.
Nel mirino la Russia e la Cina
Il Kazakistan non è solo uno dei membri principali dell’Unione eurasiatica. E’ attraversato anche dalla via più breve per il transito delle merci cinesi verso la Russia e oltre, in Europa Occidentale – il ramo più promettente della nuova via della seta che dovrebbe collegare i mercati asiatici ed europei. Il Kazakistan, insieme alla Russia, è anche uno dei principali garanti della stabilità e della sicurezza in Asia Centrale. Inoltre, proprio attraverso il territorio kazako la Russia accede alle ex-repubbliche sovietiche, compresa la base militare in Tagikistan. I Paesi del sud dell’Asia Centrale già sotto la pressione jihadista dal territorio afghano, si troverebbero in trappola in caso di destabilizzazione del Kazakistan. I loro confini perderebbero la sicurezza praticamente per tutta la loro lunghezza (eccettuato il confine turkmeno-iraniano), e aiuti e sostegno potrebbero giungere soltanto per via aerea.
Quindi se la rivolta ad Aktobe fosse andata a buon fine, con un minimo di risorse si sarebbero potuti centrare diversi obiettivi.
Primo, il conflitto interno avrebbe tenuto impegnato l’esercito kazako, impedendogli di giocare il suo ruolo stabilizzatore nel sud dell’Asia Centrale.
Secondo, il transito delle merci dalla Cina alla Russia e all’Europa sarebbe stato minacciato, e interrotto nella peggiore delle ipotesi.
Terzo, il confine esteso e aperto tra la Russia e il Kazakistan avrebbe fornito possibilità illimitate per le bande jihadiste di penetrare sul territorio russo. A sua volta ciò avrebbe richiesto da parte di Mosca delle misure straordinarie per assicurare il confine meridionale. In questo caso, la Russia sarebbe stata costretta a indebolire il proprio raggruppamento militare a ovest e concentrare un maggior numero di militari per prevenire la penetrazione jihadista sul proprio territorio. Considerata l’elevata mobilità dei jihadisti e le poche risorse che richiedono (di solito si riforniscono sul posto), Mosca avrebbe dovuto impegnare a lungo numerose forze militari e risorse materiali contro un nemico di gran lunga meno numeroso ma inafferrabile.
Quarto, in caso di un minimo successo della rivolta, sarebbe stata destabilizzata tutta l’Asia Centrale. Cioè lungo i confini meridionali della Russia si sarebbe aperto un enorme buco nero (da Orenburg fino all’Oceano Indiano) che avrebbe divorato le già carenti risorse. Sarebbe stato impossibile richiuderlo in tempi brevi. Tutto questo avrebbe rappresentato un problema per decenni.
E infine sarebbero stati minacciati quei programmi di integrazione come l’Unione economica eurasiatica, l’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione e l’Organizzazione del trattato sulla sicurezza collettiva.
Possiamo immaginare che, grazie agli sforzi congiunti di Russia e Kazakistan nell’ambito del Trattato sulla sicurezza collettiva, la rivolta sarebbe stata rapidamente soffocata e sarebbe stata evitata la destabilizzazione della regione. Ma il fatto stesso della collaborazione militare tra Mosca ed Astana nelle regioni settentrionali del Kazakistan, dove è presente un’alta percentuale di popolazione russa, avrebbe permesso ai nostri “amici e partner” occidentali di ricominciare il discorso sull’interferenza russa negli affari interni dei paesi confinanti e accusarla di tentativi di ricostruzione dell’URSS. Sicuramente si sarebbero intrapresi tentativi di seminare zizzania, se non tra Mosca e Astana, almeno tra la popolazione russa e kazaka del Kazakistan, rafforzando l’isteria militare russofoba nei paesi limitrofi dell’est Europa.
La rivolta siriana ha destabilizzato tutto il Medio Oriente, quella libica l’Africa settentrionale. Entrambe le rivolte, e anche il colpo di stato in Ucraina, hanno creato seri problemi alla Russia e all’Unione Europea. La rivolta in Kazakistan avrebbe completato il quadro e avrebbe gettato nel caos il centro dell’Eurasia, rompendo tutti i legami economici e commerciali tra Europa e Asia.
In un quadro del genere, i programmi americani TTIP e TTP non avrebbero avuto alternative.
Per questo sono convinto che ad Aktobe abbiamo avuto a che fare con il primo ma non l’ultimo tentativo di scatenare una guerra civile in un paese chiave dell’Asia centrale.
Le forze dell’ordine kazake hanno reagito bene e ciò ci rallegra. Ma questo vuol dire che il prossimo tentativo sarà organizzato meglio. Non dobbiamo rilassarci.
*****
Articolo di Rostislav Ishchenko comparso su Vkontakte il 6 giugno 2016
Tradotto dal russo da Elena Petrova per Saker Italia il 9 giugno 2016
Bell’articolo. Da notare la dichiarazione di Russia e Kazakistan congiunta di alcuni giorni fa: La Russia ha regalato al kazakistan sistemi S 300P. Bella mossa di Putin per scongiurare possibili bombardamenti umanitari e rifornimenti aerei all’eventuale conflitto, anche se penso che il kazakistan sia un obiettivo difficile per gli Usa.